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Il lavoro precario vola con i voucher: turismo e servizi fanno il pienone

I dati del 2015 fanno della Puglia la quinta regione per ricorso ai buoni lavoro. Provincia di Lecce seconda solo a quella di Bari

LECCE – Dei quasi 5 milioni e mezzo di voucher venduti in Puglia nel 2015, circa un quarto ricade nell’ambito della provincia di Lecce che così è seconda nella classifica regionale, dietro solo a quella di Bari. Si conferma il boom del primo semestre e la crescita pare delineare una forma 

Per la precisione sono stati 1 milione e 351mila i voucher nel Salento. Lo dice uno studio sui buoni lavoro a cura del servizio Politiche del Lavoro della Uil. Per il segretario provinciale del sindacato, Salvatore Giannetto, la situazione è fuori controllo. Dai quasi 536 mila tagliandi del 2008 è passata ad oltre 115 milioni del 2015 mentre, in Puglia, il salto è da 2mila 443 voucher del 2008 a 5,4 milioni del 2015: “Il rischio, concreto, è che si alteri l’equilibrio tra la flessibilità avocata dalle imprese e le tutele minime per chi lavora.”

Nel complesso la Puglia è quinta nel panorama nazionale  quanto al numero di voucher emessi  – dietro Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Piemonte -e la metà degli stessi interessa settori come il turismo, il commercio e i servizi, che non sono quelli per i quali i buoni lavoro erano stati concepiti: ad esempio il lavoro domestico o le attività sportive.

Anche rispetto alla fasce d’età dei lavoratori coinvolti si nota una modifica “strutturale”: nel 2009 un voucher su due era destinato agli over 50 mentre nel 2014 l’80 per cento finisce nelle mani degli under 49. Il compenso netto medio è stato di 471 euro, lo stesso importo dell’anno precedente.

Dalla mappatura emerge in maniera nitida l’associazione tra voucher e province caratterizzate da un alto tasso di stagionalità del lavoro. “Con i voucher sarebbe pericolosa – osserva Giannetto – la sostituzione dei rapporti subordinati che, grazie alla contrattazione collettiva, presentano tutele che invece non può garantire il lavoro accessorio. E la soluzione di innalzare il tetto massimo di utilizzo a 7mila euro trovata con il Jobs Act non farà altro che cannibalizzare sempre di più potenziali rapporti di lavoro subordinato attraverso l’utilizzo di questo poco tutelante istituto per il lavoratore (i voucher non danno diritto a malattia, maternità, indennità di disoccupazione in quanto esentati da contributo) che nel tempo produrrà, inevitabilmente, pensioni minime, instabilità lavorativa, bassa professionalità, e un buco fiscale nelle casse dello Stato con un indebolimento del sistema di sostegno al reddito”.

Sul banco degli imputati finisce naturalmente la riforma del mercato del lavoro – nota come Job Acts – i cui decreti attuativi dovranno essere rivisti entro un anno dall’entrata in vigore della relativa legge: “Si pensi a correttivi – conclude Giannetto - quali la tracciabilità sana dei voucher con la comunicazione precisa dell’inizio e della fine del lavoro, l’esclusione di taluni settori già dotati di flessibilità in materia di rapporti di lavoro e l’abbassamento del limite economico da parte delle aziende”.

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