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Sabato, 20 Aprile 2024
Cultura Nardò

Livio Romano: "Non chiamatemi scrittore salentino"

Livio Romano non ha bisogno di presentazioni. E' uno scrittore che vive e lavora a Nardò e che un bel giorno si è ritrovato sugli scaffali delle librerie di tutta Italia

Livio Romano non ha bisogno di presentazioni. E' uno scrittore che vive e lavora a Nardò e che un bel giorno si ritrova sugli scaffali delle librerie di tutta Italia con un romanzo fuori dal comune, "Mistandivò", scritto in una lingua tanto particolare da meritare una pubblicazione nella collana "Stile Libero" di Einaudi. E' il 2001. L'anno successivo Sironi pubblica "Porto di Mare", mentre dal febbraio di quest'anno in libreria c'è "Niente da ridere". Livio romano ha già scritto un nuovo romanzo, pronto per essere pubblicato. E allora, mentre comincia questo lungo inverno e "Niente da ridere" sembra ormai appartenere al passato, gli facciamo un'intervista-bilancio, partendo dal presupposto che in molti abbiano letto il libro .E per chi ancora non l'avesse fatto lo consigliamo. Se non altro, ed è un invito rivolto al pubblico maschile, per fare la conoscenza di Wanda, una femmina fatale che, come dice lo stesso autore, ha smosso le coscienze di diversi lettori…

- Ricordo di averti definito una volta "scrittore salentino" e la cosa ti ha molto infastidito. Perché?

"E' vero, è un'espressione che non mi piace. Mi dà l'idea dello scrittore autoprodotto che pubblica a pagamento per gli amici e i parenti. Il vero scrittore scrive sempre, sviluppa una sua poetica che si evolve negli anni. In molti invece, ed è una pratica molto diffusa qui da noi, scrivono un libro, lo fanno pubblicare per pura vanità spendendo fior di quattrini, e lo regalano agli amici. Poi si sentono bravissimi. Ci sono le eccezioni, come Antonio Errico ad esempio. Lui è un vero scrittore. E poi, una cosa è sentirsi chiamare "scrittore salentino" a Torino, un'altra è la stessa espressione usata nel Salento. E in quest'ultimo caso non mi piace".

- Quando ti sei reso conto di essere un "bravo" scrittore, e quando un "famoso" scrittore?

"Mai, perché non mi sento bravo e neanche scrittore. Sono un modesto narratore che deve imparare ancora tutto. Mi sono reso conto però leggendo alcune recensioni, di aver inventato un mio stile, di aver trovato la mia voce narrativa che si fa spazio tra le altre e che è unica e sola. Di questo mi sento soddisfatto".

- Però sei l'unico scrittore nel Salento ad aver pubblicato per Einaudi, questo è un risultato importante.

"Sono molto più orgoglioso di Marsilio, la casa editrice di "Niente da ridere". Con Einaudi è stato il mio esordio, ero inconsapevole di quello che stava accadendo.Ora mi rendo conto che è molto più facile fare i fuochi d'artificio per Enaudi che scrivere un vero romanzo per un editore come Marsilio".

- Sei soddisfatto economicamente?

"Gli scrittori non sono mai ricchi, perché non si campa con la vendita dei libri. Quello che fa guadagnare è il contorno: articoli che ti vengono commissionati, recensioni, anche "marchette", tutto quello che fa parte dell'"industria culturale"".

- Con quale stato d'animo affronti la pubblicazione di un nuovo romanzo?

"Angoscia pura".

- Hai timore che possa non piacere? In fondo è esporsi al giudizio degli altri.

"Sì, anche se il primo ed il secondo li ho vissuti con molta incoscienza. Ho paura, come tutti coloro che fanno qualcosa per un pubblico. L'ideale sarebbe piacere sia al pubblico che alla critica. Niente da ridere è piaciuto molto ai lettori. Certa critica invece ha storto un po' il naso. Alcuni mi hanno addirittura ignorato, perché il romanzo è stato considerato più leggero e popolare rispetto agli altri. Ma era esattamente quello che volevo. Ho ricevuto centinaia di lettere, commenti, e-mail, da ogni parte. Ho conosciuto centinaia di persone alle quali il romanzo è piaciuto, ed è quello che volevo".

- Quando scrivi è come se stessi regalando un po' di te stesso ai tuoi lettori?

"No. Io racconto delle storie e cerco di farlo al meglio. Io scrivo per il pubblico e pubblico tutto quello che scrivo, non ho niente di nascosto nel cassetto".

- Inevitabile una domanda sul tuo prossimo romanzo. Di cosa si tratta?

"E' una storia notturna., o meglio, aurorale. Due uomini con una differenza d'età di 30 anni. Titolo, ancora provvisorio: Il mare perchè corre... E' un verso dello scrittore- poeta Bianciardi. E' una storia che si avvita su se stessa ambientata tra il Salento, Mostar, Verona e la Striscia di Gaza. Un romanzo un po' noir e un po' storico, ma alla fine è solo una storia d'amore".

- Il romanzo è pronto?

"Penso di sì. A dirla alla Umberto Eco: " Un romanzo è finito quando ti rendi conto che continuando a manipolarlo lo rovini". Per me è finito, ma ora c'è la fase dell'editing, i "consigli" dell'editore su come rendere "efficace" il romanzo".

- E in "Niente da ridere" cosa ti ha "consigliato" l'editore?

"Abbiamo eliminato molti flash back che appesantivano la storia, abbiamo cambiato la cronologia di molti avvenimenti, abbiamo fatto apparire Wanda, l'amante del protagonista, molto prima. Era il pezzo forte e difatti, come previsto, è stata molto apprezzata dai lettori..."

- Maschili naturalmente...

"Certo, maschili. Le donne invece hanno amato i passaggi dedicati al senso della vita, p. 308 e seguenti. Mi chiedono sempre di leggere quella parte".

- Che rapporto hai con il mondo della cultura salentino?

"Sono antipatico a moltissime persone perché ho una vita frenetica e non frequento la bohéme. Non lo faccio per snobismo, ma per mancanza di tempo. Per il resto ho tanti amici artisti, Winspeare in primo luogo, e leggo pacchi e pacchi di manoscritti. Qualcuno cerco anche di farlo pubblicare, vedi Francesco Lanzo o Elisabetta Liguori. Con gli editori ho un buon rapporto".

- Qual è lo scenario letterario del Salento? E' in fermento, è statico, è al passo con i tempi?

"E' una scena vivacissima e non c'è un unico denominatore che accomuna le diverse esperienze, ognuno segue vie diverse. C'è un grande fermento, è una delle realtà più vivaci d' Italia, e posso dirlo dato che ho girato moltissimo e le conosco tutte".

- Per diventare "famoso" è necessario andarsi a cercare gli editori fuori dalla nostra realtà?

"No, non è necessario, anche se nella maggior parte dei casi i nostri editori non hanno una forza industriale tale da creare un successo, un "caso letterario". E questo nonostante facciano prodotti di elevatissimo livello qualitativo".

- Conta di più l'opera o la casa editrice?

"In molti hanno cercato di studiare, anche a livello scientifico, il meccanismo che porta un libro a diventare un successo, ma nessuno ci è ancora riuscito. Vedi il caso di Moccia. Nessuno si aspettava il successo che poi ha avuto. Ai fini commerciali la casa editrice, o meglio l'ufficio stampa della casa editrice, è fondamentale. A volte capita che libri passati inosservati vengano ripubblicati da un editore di fama nazionale e diventino dei grandi successi. Quindi di sicuro la casa editrice conta molto, ma alla base deve esserci un prodotto che funziona".

- Pensi che "Niente da ridere" sia il tuo romanzo meglio riuscito e "Mistandivò" il più popolare?

"Niente da ridere" è il più popolare e anche il meglio riuscito. Ha il giusto equilibrio tra seriosità e ironia. Molti lettori mi dicono che hanno letto il romanzo tutto d'un fiato, senza riuscire a staccarsene. Ed è questo l'obiettivo per uno scrittore: portare il lettore dalla prima all'ultima pagina senza mai farsi mollare. Tenere il ritmo senza trucchetti di quarta categoria".

- Quali sono questi trucchetti?

"Quelli che si usano normalmente in scrittura per creare l'effetto sorpresa, una bella caduta ad esempio non guasta mai".

- Come a teatro?

"Certo, come a teatro. Il mio romanzo è uno spettacolo dove il palcoscenico è la casa di Gregorio Parigino, frequentata da innumerevoli personaggi che entrano e chiedono e chiedono e chiedono...E' anche un romanzo generazionale, dei 40enni in preda alle ansie da prestazione. I miei personaggi sono lontani dal "vivere lento" dello standard meridionale, sono pieni di angosce, imbottiti di ansiolitici, frequentano psichiatri. Sono i 40enni dell'occidente, e il protagonista è un misto di gente che mi ha raccontato delle storie".

- E questa generazione si è rispecchiata in questi personaggi, nel loro modo di agire e di pensare?

"Sì, sono riuscito a provocare quelle reazioni di immedesimazione e ho cercato e che mi aspettavo".

- E il sipario come si chiude?

"C'è una sorta di redenzione che sembra chiudere la storia. In realtà la presenza di un personaggio che torna dal passato significa che non c'è mai la redenzione, e che le cose non cambiano, mai, anche se le situazioni sembrano diverse".

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