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Cultura Galatone

Terzapagina. Luigi Mariano, note d'autore di un artista partito dal Salento

L'intervista al cantautore originario di Galatone che vive a Roma: dalla passione per la composizione, al passato da aspirante medico, dall'album d'esordio ai primi successi. Senza dimenticare le radici: "Questa terra mi rigenera"

GALATONE - Il Salento nel cuore e la musica come scelta di vita: Luigi Mariano, cantautore emergente originario di Galatone, ha intrapreso da tempo un percorso personale difficile, che lo ha portato a vivere a Roma, tra concerti nei locali e l'esperienza di comporre brani originali. È nato un disco nel 2010, "Asincrono", che ha raccolto consensi e significative recensioni, a cui si aggiungono riconoscimenti come il "premio Bindi" per il miglior testo, il “Premio Lunezia nuove proposte 2011”, sul palco del quale ha ricevuto anche il “Premio Rai web radio”; e ancora la targa F.i.m.i. (Federazione Industriale Musicale Italiana) e secondo posto al “Premio A. Daolio - città di Sulmona”. In questo periodo è nel Salento, per una serie di concerti nei locali della provincia, con un repertorio personale ed alcune cover. Lo abbiamo incontrato, per una chiacchierata sulla sua storia, sulla musica e sul suo rapporto con la propria terra d'origine.

Luigi, innanzitutto bentrovato.

È un grande piacere.

Che effetto ti fa tornare nella tua terra, visto che sei originario di Galatone, e suonare la tua musica?

"E' rigenerante. Non potrei davvero vivere se non tornassi qui in Salento: è come la ricarica del mio orologio, del mio tempo, oltre che della mia musica. E infatti, tra un viaggio, un tour e una lunga permanenza a Roma, comunque vivo a Galatone molti mesi l'anno, suonando a manetta in giro per la provincia e respirando il mio mare e le mie coste, le colline, le strade d'infanzia, gustando il sapore delle trattorie, con il profumo del pane casareccio, delle melanzane sott’olio, delle friseddhe. Credo che in futuro ci resterò sempre più. Del Salento credo di portarmi ogni volta dietro (nei miei viaggi) le radici e la passioneFOTO 5 profilo senza chitarra-2, che mi ardono dentro nonostante un carattere in apparenza quieto. E soprattutto, come tutti quelli del sud, mi porto sempre dietro la voglia di tornare. A volte, presi dallo sconforto per alcuni atteggiamenti un po’ sciatti o cafoni che qua e là incontriamo, tendiamo erroneamente a dequalificare questa zona d’Italia, scuotendo il capo desolati, specie per un eccesso di chiusura mentale e di bigottismo che ancora resistono, ai quali si contrappongono (forse per reazione sociale esagerata) degli indigesti atteggiamenti snob e 'fighetti' di alcune famiglie più ricche o nobili. Ma questi deragliamenti di costume, quasi macchiettistici, ci sono quasi ovunque! E se paragoniamo questa terra ad altre zone del sud, poi la rivalutiamo. Bisogna andare via per qualche tempo, per poi tornare qui ad apprezzarla meglio: è un posto incantevole, tra i più belli del mondo".

Altra particolarità di questo tour è la coincidenza del tuo quarantesimo compleanno: ben quindici anni di vita spesi sul palco (peraltro non è un caso che tu abbia scelto di festeggiare proprio in un live). Quanto è determinante ancora emozionarsi nell'esibirsi davanti ad un pubblico?

"Moltissimo. Si parla tanto di 'mestiere' ed è vero che, con gli anni, arriva anche quello. Ma non dovrà né potrà mai essere sufficiente a soffocare l’autenticità dei sentimenti espressi durante un’esibizione: semmai solo a renderli al meglio, senza che l’emozione infici e peggiori la performance. L’emozione è l’unico vero ponte comunicativo che si può creare tra un artista che è sul palco e il suo pubblico. Puoi anche sbagliare scaletta, essere rauco o malaticcio, ma se ti emozioni mentre ti esibisci, forse non si noterà neppure: qualcosa di te sarà comunque arrivato nel profondo degli animi in ascolto. L’emozione di un artista conta più dell’esecuzione tecnica, più delle scalette, persino più della preparazione strutturale di uno spettacolo: è la stessa essenza di una rappresentazione artistica".

Inevitabile, visto il traguardo, un bilancio del tuo percorso artistico. Se dovessi spiegare a che punto ti trovi di questo cammino, cosa diresti?

"Mi sento appena partito, per la verità. Eppure scrivo canzoni da 22 anniLuis bianco e nero-2, canto in giro da almeno 15 (pur con lunghissimi periodi di pausa, negli anni ’90, e anche dopo) e da 7 anni ho fortemente voluto che questo del 'cantautore' diventasse e rappresentasse a tutti gli effetti il mio lavoro principale, oltre che la mia passione. A causa di una timidezza di fondo nell’impormi in modo deciso in quest’ambiente, però, ho dovuto aspettare la pubblicazione del mio primo disco ufficiale, Asincrono (2010) e il grosso sèguito di consensi, apprezzamenti e premi che ne sono derivati per farmi davvero notare da mass media, pubblico e addetti ai lavori. La costruzione di una reale credibilità artistica, specie per chi (come me) detesta l’usa e getta di alcuni tritacarne del mondo effimero di molta TV, è giusto sia un processo lento: è come porre 'un mattoncino al giorno' su un edificio che sta venendo su e che potrebbe (chissà) diventare anche un grattacielo. Le basi di una carriera solida, non solo artistica, si costruiscono con pazienza, gavetta, studio, applicazione, umiltà, scambi costanti e ascolto. In fondo, va bene così: un passo alla volta, perché le basi siano pietra, non cartone".

Come già detto, hai origini salentine, ma hai sentito l'esigenza di trasferirti a Roma qualche anno fa. Cosa ti ha spinto a questa scelta e che opportunità hai trovato fuori che qui non ci sono?

"Amo arricchirmi attraverso il viaggio, con la permanenza in posti diversi e la contaminazione costante con altre anime che vivono lontano dalle mie radici. Questo abbatte le distanze (non solo fisiche!) tra persone, molto più di internet. E crea le basi per l’apertura mentale, l’accoglienza, la crescita e l’accettazione amorevole di ogni diversità, che, così, non diventa più un pericolo, ma un dono prezioso, sulla via di una curiosità costruttiva. In questo senso, già da quando (a 17 anni) scrivevo le prime canzoni, era insita in me la voglia di spostarmi per un po’ dal Salento, allargare gli orizzonti e capire il mondo. Credo sia umano e necessario, specie poi per chi viva dentro delle forti pulsioni artistiche. All’Università, a Roma, m’ero iscritto (con passione) a Medicina e Chirurgia: volevo emulare sia i miei zii medici e sia un po’ il compianto Enzo Jannacci, uno dei miei maestri: medico e cantautore. Ho superato brillantemente quasi una quarantina di pesanti materie, i 30 fioccavano spesso e ho frequentato i reparti di Endocrinologia e poi di Dermatologia. Nella tabella universitaria de 'La Sapienza' in cui ero capitato, però, c’erano ben 50 esami da sostenere. E io suonavo ormai da tempo, in giro per la città (e non solo). Le due strade iniziavano a risultare inconciliabili, anche per l’enorme senso di responsabilità, che mi induceva a fare una scelta definitiva. Alla fine il richiamo (atavico e primordiale) della musica è stato più forte e mi ci sono dedicato completamente, senza rimpianti. A Roma ho trovato, a livello artistico, molte più opportunità di farmi notare da importanti addetti ai lavori musicali (giornalisti, scrittori, presentatori, speaker Rai), che spesso frequentano anche i club e i locali della Capitale e che quindi si possono incontrare ogni settimana di persona. E poi, soprattutto, sono venuto a contatto con un’enorme quantità di artisti emergenti o anche più conosciuti, di cui spesso sono diventato amico (come Cristicchi, conosciuto nel 2003 in una rassegna) e dai quali ho attinto moltissimo. La visibilità e il contatto diretto (col mondo dello spettacolo) che dà una città come Roma è facilmente immaginabile. Ultimamente sono entrato in un progetto formato da più artisti, chiamato Auditorium Social Club, che tende a riportare la musica all’interno del prestigioso Auditorium del Massimo all’Eur, dove farò un concerto il 12 maggio".

Entriamo nel merito della tua musica. Leggendo quello che è stato scritto su di te, in diverse recensioni, emergono giudizi piuttosto positivi, ma soprattutto molta curiosità per il tuo stile cantautorale. Ma se dovessi descrivere tu la tua musica, come proveresti a definirla?

"A livello puramente sonoro, è una musica che attinge da vari generi, con un occhio di riguardo ai testi e ai messaggi. È sincera e spesso diretta, in certi frangenti più ironica, per tutto il resto più impegnata e molto intimista, che stringe l’occhio alla tradizione dei cantautori del passato, ma che resta ben piantata coi piedi nel 2013. Detesto comunque le vere etichette di genere. Nel mio disco c’è blues, rock, reggae, pop, o canzone d’autore più raffinata, chitarre elettriche dispiegate, ma anche un semplice pianoforte e voce. E nessun critico, nelle decine di recensioni (spesso entusiastiche) ricevute, ha mai scritto che il cd è dispersivo, né tanto meno me l’hanno mai detto i tantissimi che hanno comprato il disco. Anzi, finora m’hanno detto tutti il contrario. È ora di finirla di farsi schiacciare da scelte di fantomatici 'manager', che cercano di individuare il target 'di genere'. Gli artisti devono essere liberi di esprimere le loro ampie sfaccettature, tenendole insieme (quello sì) da un preciso filo 'autorale', che le individua o dà loro una propria unicità. Il pubblico ti segue se sei bravo, perché inizia a fidarsi di te e della tua onestà artistica. E se sei bravo, stai pur certo che nella maggior parte dei casi sei anche riconoscibile e amato, anche se fai cose molto diverse".

Dinanzi a un cantautore che si propone, spesso si tentano paragoni o somiglianze con nomi affermati. Fermo restando che ciascuno cerca una propria autenticità e riconoscibilità, c'è qualche autore che comunque ti ha formato e fa parte del tuo bagaglio musicale?

"Sono prima di tutto un lettore vorace (di racconti e di romanzi) e, prima che cantautore, nasco come 'uno che scrive', soprattutto storie brevi. Pirandello, Chesterton, Poe, King, CalvinoUrlo-2, ma soprattutto i geniali racconti di Dino Buzzati, sono stati determinanti, nella mia formazione e nel mio stile narrativo, che ho cercato di mettere a frutto già a partire dai 14 anni. Ho scritto negli anni molti racconti (che un giorno pubblicherò!), ma ho capito che nulla mi gratificava di più dello scrivere canzoni, vista l’importanza cruciale che da sempre ha la musica nella mia vita. Letteratura e musica assieme: avevo trovato la mia personale alchimia creativa, il mio mondo. Nella musica leggera, a parte l’ascolto onnivoro di un’infinità di artisti e a parte il mio amore viscerale e primordiale per Bruce Springsteen, da adolescente ho consumato i dischi di tutti i maestri italiani degli anni ’70-80, nessuno escluso. Devo però dire che, nonostante questo, sono stati in particolare quattro (tra i classici) che mi hanno poi influenzato 'maggiormente' nella scrittura. In particolare Rino Gaetano, Edoardo Bennato, Francesco De Gregori e Giorgio Gaber. Non a caso ho messo Gaber per ultimo, visto che, a dispetto di ciò che comunemente si pensa di me o si è scritto (sul web o nelle recensioni cartacee) ho conosciuto l’arte di Gaber davvero molto tardi, oltre dieci anni dopo aver scritto la mia prima canzone. E dunque avevo già ampiamente intrapreso il mio percorso di autore senza la sua presenza. Quando nel 2001 ho scoperto tutta la corposa produzione del signor G, per me è stato uno shock: mi son ritrovato davanti a un vero padre artistico, che non sapevo neanche di avere, e che per coincidenza sembrava avesse una visione delle cose e della vita, nonché uno stile, che mi apparteneva, perché faceva già parte della mia natura profonda. È stato un incontro potente, quello tra me e l’arte teatrale e musicale di Gaber: ancora oggi mi vengono i brividi.

Hai già ottenuto una serie di riconoscimenti importanti, ospitate televisive ed un noto giornalista come Andrea Scanzi, peraltro grande intenditore di musica, parlando del tuo disco, lo ha definito uno dei lavori cantautorali più interessanti degli ultimi dieci anni. Quanto tutto questo serve alla crescita personale di un autore e quanto, invece, al netto delle attestazioni di stima, manca per la piena realizzazione?

Come dicevo prima, ogni riconoscimento (anche il più piccolo) serve ad aggiungere mattoncini all’edificio che si sta tentando di costruire con coraggio e sincerità, rispettando la propria natura e la propria scelta di vita. Serve tutto, durante il percorso, anche un semplice sorriso o un 'grazie' di un ammiratore, alla fine di un concerto, magari durante una dedica sul disco: anzi, in certi casi, quel sorriso è ancora più dirompente e gratificante di un premio, di una targa, di un’ospitata in Rai o della recensione positiva di una firma prestigiosa, come quella di ScanziMiglior testo al Premio U. Bindi 2011 (9 luglio 2011)-2, il quale ha poi addirittura voluto conoscermi di persona assieme alla sua famiglia. Quello che spesso manca, alla piena realizzazione professionale degli emergenti, è qualcuno che decida di investire per loro tempo e denaro. E, con la crisi del mercato discografico, ce n’è sempre meno. I discografici puntano più sul sicuro (tipo i personaggi usciti dai 'talent' o dalla tv). E per tutti gli altri, spesso, occorre che ognuno faccia un po’ da sé, utilizzando tutte le risorse a disposizione (tipo il web), almeno per la promozione. Per sperare di farsi notare, serve comunque una sufficiente altezza del proprio edificio in costruzione: quando questa sia ormai così elevata e sicura da risultare visibile anche da molto lontano, a quel punto potrebbe verificarsi, a pioggia, una cascata di eventi favorevoli che portano il tuo nome e il tuo lavoro davvero in primissima linea e in grande evidenza, facendoti fare il vero 'salto'. Chi ha scelto questo mondo sa bene però che la strada è incerta e bisogna tenere il manubrio molto fermo sulla bici, sempre armati di determinazione ferrea.

Parliamo del tuo primo disco, "Asincrono", uscito nel 2010. L'accoglienza della critica è stata molto buona e l'album ha avuto apprezzamenti. Come nasce e cosa sta rappresentando per te?

È un po’ la sintesi di quasi vent’anni di scrittura e di canzoni. Rappresenta per me la realizzazione di un sogno e di un obiettivo inseguiti fin da quando avevo 18 anni. Il cd mi sta servendo da volano per rafforzare la credibilità nell’ambiente e per arrivare in modo più diretto ad essere amato dal pubblico. Era mia intenzione costruire un album che racchiudesse sia il mio lato ironico, sia quello sociale (o di denuncia), e sia quello più personale e intimo. Volevo rappresentare, nella tracklist, la sensazione di 'disagio' (che io provo molto spesso e, credo, tantissimi altri) nel non sentirsi in fase con qualcuno o con qualcosa che invece sta attraversando in modo molto intenso la nostra vita: sia esso un lavoro, un'amicizia, un amore, un rapporto con il proprio padre (vedi il brano Edoardo), il rapporto con le istituzioni e con chi le rappresenta, il rapporto con la società, o semplicemente il rapporto con sé stessi in alcune giornate sbagliate o storte o rispetto al tempo che sfugge. È un disco sul proprio tempo sfalsato.

Dal punto di vista promozionale, la musica, a parte i grossi autori, non vive un momento facile. Per gli artisti emergenti, la strada appare ancora più complicata. Credi sia questo il vero problema di chi oggi voglia intraprendere una carriera in questo mondo? Si può vivere della tua professione?

"A me non interessa guadagnare molto o poco, a me interessa solo campare in modo dignitoso facendo ciò che so e amo fare. Io credo che se, umiliando ciò che si è veramente, si volesse seguire con furbizia solo ciò che vuole il mercato o la moda, campare di musica in fondo sarebbe piuttosto facile, per chi abbia un 'minimo sindacale' di attitudine musicale o di fiuto: basta metter su una bella cover band (oggi vanno molto quelle di Liga, Vasco e Rino Gaetano oppure agghindare i soliti classici standard evergreen jazz-blues-country) e si lavora a rotta di collo, ovunque. Anche i pianobar estivi non scherzano. Fare musica propria è l’atto più coraggioso e rivoluzionario che esista nella musica leggera: certo il più ambizioso e autentico. I cantautori emergenti poi, al giorno d’oggi, sono per me delle figure quasi eroiche, dei don Chisciotte che non si arrendono. Forse alla fine qualcuno ce la fa. Uno su mille. È un’epoca televisiva, che spero passerà, di massacro generale della cultura. Ma per me la musica è altro, è un veicolo per dire delle cose, come per la letteratura o la poesia o la pittura. Diceva Victor Jara: “Io non canto per cantare, né per avere una bella voce: canto per la chitarra, che ha ragione e sentimento”. Ragione (testa, pensiero, inventiva, idee, creatività, personalità, originalità, spinta sociale, desiderio di cambiare le cose) e sentimento (emozione, commozione, ribellione, rabbia, dolcezza, amore, amicizia, legame con le radiciLuigi seduto con l'orologio-3, senso o meno d’appartenenza a qualcosa). Per questo canto anch’io. Il karaoke lo lasciamo ad altri".

Ci sono spesso giudizi contrastanti sui talent musicali. Sei favorevole o contrario?

Non mi piace essere contrario 'a prescindere', perché odio gli snobismi. Questi 'contenitori' però non mi hanno mai fatto impazzire: spostano troppo l’attenzione sullo spettacolo televisivo, allontanandosi dal valore vero della musica. L’obiettivo in fondo è stupire e fare audience. Sono stato più volte contattato dalle varie redazioni per partecipare a questi programmi, ma finora ho sempre rifiutato, con garbo. Mai dire mai, ovviamente. Non credo però di essere molto adatto a questi show, per come finora sono stati confezionati: mi pare esaltino aspetti che nella mia musica vengono sempre in secondo piano e mi pare finiscano con l’umiliare il nucleo per me fondamentale del modo di essere di qualsiasi cantautore: la scrittura, la composizione e soprattutto il tentativo palese e ambizioso di creare una propria poetica 'nel tempo'. Per me un cantautore è uno scrittore che canta in musica ciò che scrive. Non è semplicemente uno che ama (o sa) cantare e suonare, come ce n’è tanti: è qualcosa di più e, credo, di diverso".

Torniamo al rapporto con le tue radici: come si percepisce il Salento musicale nella Capitale?

"Roma è innamorata del Salento e di tutto ciò che di musicale noi produciamo. È un amore che è assai precedente al boom (anche modaiolo) degli ultimi anni: parte da lontano. Lo posso dire con forza, perché frequento la città dal 1992. È ovvio che l’esplosione nazionale che da un bel po’ ha avuto la nostra pizzica ha molto coinvolto i romani, che infatti fanno a gara per seguire corsi e imparare a suonare e a ballare la nostra amata musica tradizionale. Ma per fortuna i romani hanno anche capito benissimo che il Salento musicale non è solo pizzica e che c’è moltissimo altro: il pop, il rock, i cantautori, il jazz, il funky, l’elettronica, le contaminazioni. Ricordo quando fui ospite in studio della Cuccarini su Radio1 e mi chiese lumi proprio sull’esplosione musicale del Salento. Lo fece con meraviglia e ammirazione, riferendosi a tutta una serie di artisti, tra i più disparati, che negli ultimi anni s’erano fatti notare. E lì non si parlava di pizzica. Quest’attenzione dei romani a tutti i fermenti, direi vulcanici, che provengono dal nostro Salento, è costante e mi inorgoglisce molto".

Quali i tuoi prossimi progetti artistici?

Innanzitutto terminare questo bel tour salentino di aprile. Continuare poi a scrivere i brani per il prossimo disco (ne ho già molti da parte)FOTO 9-3-4 e non fermarmi mai con i live e i concerti, come sto facendo. Farmi conoscere sempre di più, in giro, comunicando il più possibile attraverso le mie canzoni. Continuare ad arricchirmi degli incontri artistici romani e dei concerti importanti nella Capitale, ma anche di altre rassegne o manifestazioni in varie parti d’Italia, a cui spesso partecipo. In estate infine dovrebbe partire un tour di concerti per vari comuni della provincia di Lecce, legato a un toccante progetto di beneficenza, assieme ad una bravissima amica cantautrice. Ma al momento preferisco non dire altro. Mattone dopo mattone, si va avanti".

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