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Terzapagina. Ligabue, canzoni di rabbia e parole d'amore in "Mondovisione"

A tre anni da "Arrivederci, Mostro!" e a due mesi dal lancio de "Il sale della terra", presentato il decimo album di inediti del rocker emiliano: 14 tracce con lo sguardo sull'oggi, indignazione e la verità delle proprie emozioni

Indignazione e sentimento come contrapposizione o forse come il più naturale filo comune. Perché solo chi ama ed ha la forza carnale delle emozioni sa raccontare con schiettezza la propria rabbia. Sono tanti i temi e gli spunti di riflessione che segnano l'atteso ritorno discografico di Luciano Ligabue, o semplicemente del Liga, salito subito in vetta a tutte le classifiche di vendita. A tre anni da "Arrivederci, Mostro!" e a due mesi dal lancio del singolo "Il sale della terra", seguito dai sei concerti all'Arena di Verona, il rocker di Correggio ha presentato "Mondovisione", il suo decimo album di inediti (composto da 12 tracce più due pezzi strumentali) in 23 anni di carriera da rockstar, dove non sono mancati riconoscimenti di qualità (due targhe Tenco, Premio Ciampi e David di Donatello, per citarne alcuni).

Un titolo non casuale quello scelto dal cantautore emiliano e dalla duplice interpretazione, che richiama, da un lato, la trasmissione televisiva su scala mondiale grazie al satellite (oggi portata all'esasperazione dalla pervasività di media e social) e soprattutto un punto di vista, una "visione del mondo" personale ed intima a cui dare voce. In fondo, un'autocitazione tratta da "A che ora è la fine del mondo", la cover dei Rem in cui evidenziava il peso delle televisioni nell'avvento politico berlusconiano. Solo che all'epoca, c'era molta ironia (come nella parodia a Reagan di "El Gringo"), oggi, più scoramento rispetto a ciò che c'è fuori ("Te stai dentro che qua fuori è un brutto mondo" diceva Ivan Benassi in Radiofreccia) e voglia di affidarsi all'interiorità, a quello che c'è dentro di sé.

Tecnicamente "un concept" sull'attualità ed è una cosa che non accadeva in maniera apertamente dichiarata da "Miss Mondo", disco dedicato alle controindicazioni del successo (conciso peraltro con una crisi anche personale del rocker dopo le sbornie di Buon compleanno, Elvis). Le analogie con quell'album sono parecchie. A partire dal cambio di produzione, la novità più significativa di questo lavoro: niente più i suoni elettrici di Corrado Rustici, né un ritorno allo storico collaboratore Fabrizio Barbacci. È toccato, infatti, a Luciano Luisi, musicista eclettico e tastierista di Ligabue1426724_10152107030496522_1723301698_n-3 da ormai cinque anni, definire ed impostare le sonorità: il risultato è in un timbro decisamente più rock ed in un suono internazionale, che media tra classico e moderno.

Un dettaglio non da poco che restituisce a Ligabue delle venature in grado di riportarlo idealmente alla immediatezza dei primi tre album (quelli prodotti con Angelo Carrara), con suoni più spontanei, dove prevalgono chitarre elettriche e batteria, levigati con accuratezza.

Ad essere ruvidi, invece, sono spesso i testi, che seguono l'essenzialità di una scrittura che ha sempre prediletto la narrazione e la descrizione di immagini (non è un caso che Ligabue sia uno dei pochi ad aver dimostrato abilità riconosciute e premiate in altri campi come la letteratura e il cinema): il verso risulta asciutto, costruito nella dualità della "scarnificazione" (termine usato dallo stesso rocker) del proprio intimo e dello sguardo inasprito sul mondo che circonda. E che campeggia in alto, come nella cover, sotto l'aspetto di un globo accartocciato sul font di Carosello. Giù resta la certezza delle emozioni e la speranza di sogni che possono dargli una forma "migliore".

La rabbia si coglie sin dalle prime note de "Il muro del suono" (che apre la track-list), in cui emerge la sfiducia verso economia, giustizia e "vampiri" impuniti per il sangue versato, protagonisti di un universo autoreferenziale che "si commenta da solo"; serve un bagliore per spezzare l'oscurità e far deflagrare il caos: "Il cerino sfregato nel buio fa più luce di quanto crediamo". È lo stesso spirito che corre nella galleria di orrori rappresentata nel primo singolo, "Il sale della terra", che traendo spunto da un passo evangelico lancia un'invettiva contro l'esercizio del potere.

Tra ironici citazionismi ed atmosfere musicalmente più leggere, "Siamo chi siamo" racconta la propria autenticità, quella che porta a guardarsi con occhi di verità davanti allo specchio (un po' come in "Uno dei tanti"): "E ogni giorno mi è più chiaro che quelle rughe sono solo i tentativi che non ho mai fatto".

"Il volume delle tue bugie" è un viaggio interiore nella disillusione di chi ha scelto di non amare e prova a far finta di non averne bisogno: "Niente amore, niente guasti". Capo Spartivento è un pezzo strumentale che omaggia il luogo fisico dove il disco la sua gestazione, mentre l'ironica "Il suono, il brutto e il cattivo" ripropone in chiave western la linea musicale del brano d'apertura.

Poi ci sono le immancabili ballate d'amore, un marchio di fabbrica. "Tu sei lei", secondo estratto radiofonico dell'album e "dichiarazione d'amore definitiva"; "E la neve se ne frega", ispirato al romanzo di Liga, edito da Feltrinelli, lieve e poetica nella sua capacità descrittiva, supportata da arrangiamenti di chitarra e pianoforte: "Copre i coppi e le piazze, le altalene e i bidoni, i sorrisi dei pazzi e le bestemmie di qualche barbone".

"Per sempre", col suo ritmo cadenzato, asseconda le immagini di tutta una vita in cui esiste "un istante che rimane lì piantato eternamente". "Nati per vivere (adesso e qui)", rock'n'roll un po' retrò, riprende un tema caro al rocker di Correggio, ossia la musica intesa non come autodistruzione (concetto espresso anche ne "La forza della banda" o in "Happy hour"). Segue la stessa logica, anche se con l'elenco di ciò che la musica permette, "Con la scusa del Rock' n' roll", brano che chiude il trittico composto da "Sogni di rock'n'roll" e "In pieno rock'n'roll".

C'è poi la desolazione dell'Emilia terremotata, con un arrangiamento che ricrea la devastazione e lo smarrimento, in "La terra trema, amore mio". Tutto si ricostruisce con l'amore, il vero spazio fisico e ideale da cui ripartire: "Tu guarda nei miei occhi e trovaci un domani e appena avrai finito prova a raccontarmelo se puoi". Il tema del lutto è in "Ciò che rimane di noi", dove la musica tiene due ritmi diversi, uno più meditato e uno più incalzante, quasi a scandire la misura con cui si elabora la perdita: "Quando sai com'è l'abisso non sei più lo stesso ti tieni un po' più stretto a chi ti tiene stretto". Mentre "Sono sempre i sogni a dare forma al mondo" è l'inno aperto e crescente, che sottolinea come l'idea di impegnarsi a rendere la realtà più simile ai propri desideri possa essere una strada per superare lo sconforto e l'inquietudine.

"Mondovisione"1236622_10151966284161522_1170234770_n-2 è un disco bello e calibrato, intenso ed attuale, maturo ed ispirato, che ripropone un Ligabue in splendida forma, presenta almeno cinque brani di grande livello e arriva dritto al cuore. Ma che fa i conti con l'impotenza dinanzi allo sfacelo e prova a combatterlo con la verità dell'esistenza come nel quadro tratteggiato e sfinito de "La neve se ne frega": "Parlami davvero dentro questo gelo, sentimi davvero che non fa più buio, baciami davvero che non casca mica tutto il cielo, che ci stiamo ancora sotto insieme".

A Ligabue, Nanda Pivano, monumento della critica musicale, traduttrice di alcuni dei mostri sacri della letteratura internazionale ed amica dei più grandi artisti, da Bob Dylan a De André, una volta, come ricorda Marinella Venegoni, disse: "Quando si ascolta una tua canzone, si ascolta un messaggio del futuro". Ecco, quel messaggio si è fatto presente e sa commuovere "Nel tempo". Sarà solo rock'n'roll, l'han detto anche gli Stones. E "scusami se è poco".

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