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Giovedì, 28 Marzo 2024
Politica

Aldo Moro e il rapimento di Via Fani: viaggio nella memoria lungo 35 anni

Ancora vivo, nonostante il tempo trascorso, il ricordo del sequestro da parte delle Br, che aprì un periodo drammatico, chiusosi con la morte dello statista democristiano: nella vicenda di allora, analogie col presente politico

LECCE - Sono già trascorsi 35 anni da quella mattina di Via Fani, quando un commando delle Brigate Rosse rapì Aldo Moro, aprendo una vicenda dolorosa, chiusasi circa due mesi dopo con la strage di via Caetani e il ritrovamento del cadavere dello statista democristiano il 9 maggio. Una storia che ha segnato inevitabilmente il Paese, aprendo gli occhi in maniera definitiva sul terrorismo delle Br.

Sembra quasi esserci un'analogia tra quel tempo e la storia di oggi, rileggendo come, in quel 16 marzo 1978, si dovesse votare la fiducia al nuovo governo di Giulio Andreotti, con l'appoggio favorevole anche del Pci, dopo quasi due anni di astensione. La stessa incertezza odierna, per certi aspetti, dentro un'Italia alla ricerca di certezze e di una stabilità di governo, anche se oggi le distanze, paradossalmente, sembrano più distanti ed illogiche, nonostante l'emergenza della crisi.

Neanche allora c'era una reale maggioranza, venuta fuori chiaramente dalle elezioni del 1976. Aveva vinto la Dc, ma senza stravincere, i socialisti erano stati ridimensionati e il Pci aveva ottenuto un 34% che non permetteva di governare, ma di contare all'interno dell'assise parlamentare. L'inflazione oltre il 20%, la crisi petrolifera, i problemi finanziari fecero orientare le forze politiche sulla nascita di un governo monocolore della Dc, non sfiduciato dalle altre forze.

moro-3-2Dietro quell'accordo epocale, c'era stato il lavoro paziente e certosino dello stesso democristiano magliese, che per mesi aveva tentato la via del dialogo, convincendo la Dc italiana che fosse il tempo di operare un'apertura anche sul fronte dei "nemici politici" storici. Con lui, artefice dell'intesa il segretario Pci, Enrico Berlinguer. Nel 1978, il Pci volle compiere un passo ulteriore, passando all'idea di dover entrare nella maggioranza, per condizionarla dall'interno. Una "svolta", così la ritenevano tutti, nel segno dell'unità del Paese. Il "compromesso storico" o un'anteprima di quello che sarebbe dovuto essere.

Quella mattina, però, la storia cambiò. I terroristi, con una precisa azione di assalto militare, bloccarono le due auto che accompagnavano Moro, uccidendo i cinque agenti presenti, prelevando il politico per condurlo in un rifugio segreto. Si discusse a lungo sull'impreparazione dei servizi di sicurezza e sulla vulnerabilità evidenziata da quell'assalto. Quello che ne restò a livello politico fu la volontà comune di combattere il terrorismo. Il sacrificio di Moro rappresentò semmai l'apripista alla sconfitta proprio delle Br, la consapevolezza di una nazione di dover rispondere con una sola voce alla violenza.

Ma resta, a distanza di tempo, il dramma umano dello statista abbandonato al suo destino, con uno Stato impotente incapace di risolvere la "trattativa" e salvare una vita. Un politico "diffidente" della capacità della politica di tirarlo fuori da una condanna a morte annunciata. La sua tragedia, a trentacinque anni di distanza, mostra ancora per intero graffi e ferite mai pienamente rimarginate.

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