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Il peso delle liste e i voti al sindaco eletto: l'anatra zoppa curata dal Consiglio di Stato

Tra principio di rappresentatività, al primo turno, e di governabilità, dopo il secondo, il Consiglio di Stato da anni sta producendo una giurisprudenza tesa a sciogliere i nodi

LECCE – Manca una settimana esatta dal turno di ballottaggio delle elezioni amministrative leccesi, che vedranno la sfida tra Mauro Giliberti (45,3 per cento) e Carlo Salvemini (28,9).

L’apparentamento ufficiale tra quest’ultimo e il candidato Alessandro Delli Noci (16,9), annunciato ieri, ha suscitato gran clamore perché riequilibra in maniera sostanziale una situazione che al primo turno ha sancito un distacco di circa 8mila 600 voti tra i due candidati e di 14mila preferenze considerando i risultati delle liste del centrodestra che hanno totalizzato il 50,4 per cento.

Questa ultima percentuale, lo dice il ministero dell’Interno che certifica l’esito delle elezioni, è calcolata sul totale dei voti validi a tutti i candidati sindaci (52mila 736 voti) e non sul totale dei voti alle liste, il cosiddetto quoziente elettorale (51mila 306, che equivalgono invece al 52,1 per cento), secondo quanto previsto per l’attribuzione dell’eventuale premio di maggioranza.

Questi numeri hanno indotto il centrodestra di Giliberti a invocare, per depotenziare l’ipotesi di Salvemini vittorioso, lo scenario che gli addetti ai lavori chiamano “anatra zoppa”, cioè la convivenza di un sindaco eletto al turno di ballottaggio con una maggioranza in consiglio di segno opposto. Questo alla luce dell’interpretazione dell’articolo 73 del Testo Unico degli Enti Locali che, nella seconda parte, così disciplina l’assegnazione del premio di maggioranza del 60 per cento dei seggi dopo il secondo turno: “Qualora un candidato alla carica di sindaco sia proclamato eletto al secondo turno, alla lista o al gruppo di liste ad esso collegate che non abbia già conseguito, ai sensi del comma 8, almeno il 60 per cento dei seggi in consiglio, viene assegnato il 60 per cento dei seggi, sempreché nessuna altra lista o altro gruppo di liste collegate al primo turno abbia già superato nel turno medesimo il 50 per cento dei voti validi. I restanti seggi vengono assegnati alle altre liste o gruppi di liste collegate ai sensi del comma 8”.

Questa norma ha prodotto numerosi contenziosi davanti alla giustizia amministrativa. Ed è proprio in questa sede che si deve cercare la risposta alla fatidica domanda: con i dati del primo turno di Lecce, si verificherebbe lo scenario dell’anatra zoppa in caso di vittoria di Salvemini? Il Consiglio di Stato con una evoluzione giurisprudenziale piuttosto evidente ha ribadito una interpretazione per la quale – lo dice la sentenza 2174 del 2017 (maggio, così recente da non essere stata recepita nelle istuzioni ministeriali) - la nozione di “voti validi” va intesa computando anche i voti riportati dal sindaco al secondo turno e non solo quelli conseguiti dalle liste collegate al primo turno. Basterebbe questo per frenare le fughe in avanti e tutte le speculazioni: prima del 25 giugno, per Lecce, non si può cioè stabilire nulla.

Però vale la pena spiegare quali sono le ragioni dell’orientamento del Consiglio di Stato, secondo le parole usate dagli stessi giudici. E, si badi bene, il caso in questione è quello di San Benedetto del Tronto dove al secondo turno ha vinto con il 55,4 per cento un candidato, di centrodestra, che al primo aveva appena raggiunto il 30 per cento. Il suo principale avversario, di centrosinistra, aveva ottenuto il 45,9.

Il perdente al ballottaggio ha presentato ricorso, prima al Tar e poi al Consiglio di Stato, vedendosi negare le proprie argomentazioni che tendevano non certo a mettere in discussione la vittoria dell'altro, ma l’attribuzione del premio di maggioranza del 60 per cento, chiamando in causa anche una sentenza della Corte Costituzionale del 2014 che ha ritenuto contraria ai principi fondamentali “l’eccessiva compressione del principio di rappresentatività operata da meccanismi elettorali incentrati sul premio di maggioranza”.

Al proposito scrivono i giudici della Terza Sezione del Consiglio di Stato: “può ritenersi del tutto compatibile con il quadro costituzionale, in considerazione della possibilità di voto disgiunto al primo turno tra candidato sindaco e liste collegate e della necessità di assicurare la governabilità dell’ente locale al sindaco democraticamente eletto, la previsione che assegna il premio di maggioranza sulla base dei voti validi conseguiti da quest’ultimo, e non solo dei voti riportati al primo turno dalle liste a questo collegate. In particolare, appaiono del tutto condivisibili i rilievi dell’Amministrazione appellata (il Comune marchigiano, ndr), incentrati sulla peculiare legittimazione democratica che riviene al sindaco dalla sua investitura diretta da parte del corpo elettorale, tale da escludere ogni distorsione del principio di rappresentanza per effetto della 'valorizzazione', ai fini che qui rilevano, dei voti validi dallo stesso riportati nel turno di ballottaggio”.

In buona sostanza, al testo di una legge che - nel tentativo di bilanciare il principio di rappresentatività (il peso delle liste al primo turno) con quello di governabilità (l’esigenza di una maggioranza per realizzare l’azione amministrativa) - ha prodotto una zona grigia, l’orientamento della giustizia amministrativa è quello di privilegiare la seconda: chi vince viene messo in condizioni di avere i numeri per governare. In attesa che la “politica” metta mano di nuovo alla norma per evitare complicazioni.

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