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Antonio Ingroia, il “grido” amaro : “Paese senza memoria e senza verità”

Il procuratore aggiunto di Palermo, simbolo dell'antimafia, ad Otranto per l'inaugurazione del "Red village" racconta gli ostacoli che impediscono di far luce sulle stragi: "Memoria non è commemorazione, ma ricerca della verità"

OTRANTO - Verità e giustizia. Parole chiare, nette, precise, che indicano una direzione. Le pronuncia spesso e volentieri Antonio Ingroia, procuratore aggiunto a Palermo, diventato uno dei simboli dell’antimafia, all’inaugurazione del “Red Village”, il campeggio nazionale dei giovani  Comunisti, che si tiene a Frassanito, in Otranto, da ieri sera e fino al 30 luglio. Ancora una volta non teme di essere in uno dei luoghi che molti suoi detrattori giudicherebbero inopportuni, perché lo ha sempre ribadito, “vado dovunque ci sia uno spazio per la libera espressione”.

E dove si possa raccontare delle battaglie che gli stanno a cuore, dalla lotta alla mafia al timore di guardare in faccia la verità. “Siamo nell’anticamera della verità” ribadisce con una metafora efficace che utilizza da tempo. E quell’immagine ha ancora più senso, dentro la cornice delle commemorazioni, appena concluse, ma che continuano a chiedere luce, mentre nella “stanza dei bottoni” qualcuno cerca di fare il bastiancontrario.

Per Ingroia, avvicinato nel campeggio di Frassanito, questo è un Paese, “senza memoria e senza verità”, dove la memoria viene spesso confusa con la commemorazione o le “passerelle”: “Questo non è fare memoria, perché la memoria – precisa - è il coraggio di affrontare i fatti, soprattutto quelli bui della nostra storia, prendendo l’impegno a far luce. Fare verità significa non limitarsi a qualcosa di apparente, di dimezzato: in realtà, la verità sembra far paura. Così come fa paura un’altra parola chiave come ‘responsabilità’: in Italia manca un’etica della responsabilità”.

Le parole di Ingroia, sebbene riferite in tono pacato, scuotono e tolgono il respiro. Nell’anticamera della verità, a tentare di entrare nella stanza dove tutto dovrebbe essere più chiaro, ci si può rendere conto di ritrovarsi isolati. Alla domanda se si percepisca davvero solo, il procuratore abbozza un sorriso amaro, quasi a voler indicare una risposta retorica. Poi ammette: “Sì, mi sento abbastanza solo. È una solitudine istituzionale che in parte è fisiologica, ma che, quando si ha a che fare con un certo tipo di verità, ostacolata da insabbiamenti, da imbarazzi, da reticenze istituzionali, diventa controproducente perché non permette ad un magistrato di raggiungere il suo scopo, la verità”.

Il procuratore, poi, rispolvera e chiarisce il senso delle metafore che, da tempo, lo accompagnano, per spiegare la sua ricerca, inerente alle indagini sulla trattativa Stato-mafia, ossia, appunto, “l’anticamera della verità” e la “stanza della verità”: “Noi dall’anticamera della verità, negli ultimi due anni siamo riusciti ad entrare nella stanza della verità. Solo che abbiamo trovato la delusione e l’amarezza di trovarla buia, con le finestre sbarrate e le lampadine fulminate, mentre la verità per definizione significa luce. E ci siamo adeguati con pile elettriche e candele”.

Tecnicamente, dunque, scoprire chi ha “spento l’interruttore” potrebbe significare conoscere la verità tutta intera. Ingroia sorride ancora: “Capire chi è nella stanza dei bottoni e ha spento la fonte delle luci è importante. Non so se in questo momento, ci siano, però, le condizioni per farlo. Dobbiamo accontentarci di aver raggiunto l’anticamera della verità”.

La sensazione è che il magistrato non sia più tanto ottimista sul futuro, nonostante continui a predicare unità di intenti: per rischiarare quella stanza buia, servirebbe, a suo dire, un impegno autentico, che passa dalla vittoria sull’omertà dei capimafia, sulla reticenza degli uomini delle istituzioni, e sul sostegno alla magistratura che “da sola non ce la può fare”.

A questo si aggiunge un processo civile, in cui la società italiana può e deve spingere lo Stato, affinché si faccia luce: “Grazie a comuni cittadini, negli ultimi due anni, si è riuscito a fare molto. Ma al momento non sono così ottimista da dire che accadrà di trovare la verità in poco tempo” – asserisce – “sono, però, convinto che ci saranno figure che, come hanno fatto finora, continueranno a spingere verso la ricerca della verità”.  

Naturale un appello al ruolo della politica, “che deve aiutare a trovare la verità giudiziaria”. L’ottimismo “sbiadito” è riscontrabile anche nella scelta di Ingroia di lasciare l’Italia per un anno ed andare a dirigere in Guatemala l’unità di investigazione ed analisi criminale contro l’impunità: “Ritengo che potrà essere utile per la prosecuzione delle indagini, per la maturazione delle condizioni del paese, che il dottor Ingroia, che attira sempre tante polemiche e veleni, si allontani per un po’ per permettere che questo clima si stemperi”.

Polemiche e veleni che non mancano mai quando di mezzo c’è Ingroia. Ed è paradossale che essersi definito “partigiano della Costituzione2-241-50venga visto in maniera così negativa: “Me lo spiego solo nell’arretramento politico-culturale che ha subito questo Paese, tanto da mutare un termine espressione di valore riempiendolo di un’accezione negativa. Eppure, dovremmo tutti rifarci ai principi della Costituzione, essere suoi strenui difensori e batterci perché essi restino alla base dello Stato”.

Inevitabile un passaggio sul capitolo “intercettazioni” che stanno interessando il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ha avocato il conflitto di attribuzione sulla vicenda. Qualche giorno fa, Giancarlo Caselli, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino, aveva condannato, in una trasmissione di approfondimento, l’atteggiamento di “assedio” assunto dalla politica nei confronti della Procura di Palermo, tuttavia, non eccependo alcuna contraddizione nell’atteggiamento del Capo dello Stato.

Ingroia, dal canto suo, non giudica le scelte di Napolitano, evidenziando che la questione del conflitto di attribuzione sia “legittima”, ma che avrà a breve un “momento di chiarimento”. In generale, si limita ad una semplice battuta: Sono dell’idea che questo clima avvelenato non faccia il bene del Paese”.  

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