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Carceri che scoppiano: l'allarme lanciato dall'associazione Antigone

La popolazione nell'istituto penitenziario di Lecce è di mille e 40 unità, ben oltre la capienza regolamentare. "I dati del XXVI rapporto sono preoccupanti, l'attenzione deve rimanere alta"

LECCE - La popolazione carceraria, che già trabocca, è aumentata ulteriormente. I dati sono stati diffusi questa mattina dall’associazione Antigone in occasione del XIV Rapporto dell'osservatorio sulle condizioni di detenzione: un lavoro svolto in collaborazione con l’Università del Salento, presentato oggi presso il Codacci Pisanelli.

Dal 2017, infatti, i detenuti sono complessivamente aumentati di 60 mila unità. L’istituto penitenziario di Lecce invece ospita mille e 40 persone (dato relativo al 30 novembre 2017) su 606 posti di capienza regolamentare.

Un vero e proprio sovraffollamento che però, fortunatamente, non raggiunge la drammatica media italiana e il primato pugliese che spetta al carcere tarantino.

“La situazione non è delle migliori – ha spiegato la referente di Antigone, Mariapia Scarciglia -. Leggiamo nei numeri un cambiamento di rotta nel Paese, legato a leggi che producono poca sicurezza e molta carcerazione. È cresciuta la repressione, il decreto sicurezza divenuto legge ha messo in ginocchio il sistema Sprar e con esso tutto il lavoro fatto in materia di accoglienza e integrazione”.

“Il nostro obiettivo è quello di tutelare lo stato di diritto perché l’esibizione della forza muscolare non produce gli effetti voluti. L’attenzione su questi temi deve rimanere alta”, ha aggiunto l’avvocato.

Tornando al sistema carcerario, invece, il Rapporto ha evidenziato come il budget per i detenuti sia diminuito e all’interno degli istituti penitenziari vi sia poca scuola, poco lavoro e ben poco da fare.

Eppure, ha evidenziato Scarciglia, i costi per la collettività rimangono alti: “Abbiamo stimato che lo Stato versa 133 euro per ciascuno al giorno e, se moltiplicati per il numero dei detenuti, la cifra complessiva non è bassa”.

Eppure, dicono i responsabili dell’associazione, il 2017 sarebbe dovuto essere l’anno della “svolta” per il sistema penitenziario italiano. La chiusura di un ciclo, idealmente iniziato nel 2013 con la sentenza Torreggiani, con la quale la Corte europea dei diritti dell’uomo condannava l’Italia per aver violato l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani.

Era atteso un nuovo ordinamento penitenziario, che, dopo quarant’anni avrebbe dovuto modificare e “ammodernare” l’impianto originario del 1975, sulla base del cospicuo lavoro degli Stati generali dell’esecuzione penale.

"La riforma ha avuto tempi lunghi, la versione definitiva del testo legislativo è finita in pasto agli appetiti elettorali, troppo a ridosso della fine della legislatura. Si è cercato di elevare lo standard del rispetto dei diritti delle persone detenute, avvicinandosi alle indicazioni degli organismi sovranazionali senza con questo mettere in pericolo la sicurezza dei cittadini ma, piuttosto, garantendola maggiormente attraverso misure di comprovata efficacia nell’abbattimento della recidiva”, hanno spiegato i relatori in conferenza stampa.

La ricetta proposta tra gli altri anche da Salvatore Cosentino, sostituto procuratore presso la Corte d’Appello di Lecce, è quella di alleggerire le carceri depenalizzando i reati minori (da punire con sanzione amministrativa) e lasciar posto “ai pesci grandi” della criminalità.

“Ci sono troppi processi per troppi reati così la giustizia si ingolfa. E processi lenti producono una minore giustizia per tutti”, ha aggiunto lui.

Alla conferenza stampa ha partecipato anche Claudio Sarzotti, docente ordinario di Sociologia del diritto presso l’Università di Torino e Presidente Antigone Piemonte che ha stigmatizzato il numero di suicidi aggressioni che avvengono nelle celle, ai danni di altri detenuti e dei poliziotti: "È necessario bandire nuovi concorsi per riportare i direttori nelle carceri, diversamente qualunque riforma del sistema è destinata a fallire”.

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