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“Riforme del governo decise da Confindustria”. L’affondo dei sindacati Uil e Cgil

Le due organizzazioni sindacali preparano lo sciopero del 12 dicembre. A Lecce manifestazione in piazza Umberto I. "Contrari a jobs act e legge di Stabilità, no ai tagli del fondo dei patronati, della cassa integrazione ed al blocco dei contratti per pubblico impiego"

LECCE – L’obiettivo non è esplicitamente quello di far cadere il governo Renzi, ma quello di rimescolare le carte delle recenti normative in tema di economia e lavoro. Per questo è sopraggiunta la chiamata alle armi dei sindacati confederali Cgil e Uil (monchi dei cugini della Cisl) che hanno indetto lo sciopero generale per il 12 dicembre. A Lecce la mobilitazione partirà da piazza Umberto I e culminerà in un comizio tenuto in apertura dal segretario generale provinciale della Uil, Salvatore Giannetto, mentre le conclusioni saranno affidate al collega regionale di Cgil, Gianni Forte.

Le parti sociali saranno presenti anche nel capoluogo salentino al pari di quanto avverrà, in contemporanea, in tutte le principali piazze d’Italia: il sacrificio di un’intera giornata di lavoro si è reso, a detta di Salvatore Arnesano (Cgil Lecce) e Salvatore Giannetto  (Uil Lecce) “assolutamente necessario” per contrastare gli stravolgimenti causati dalla riforma del lavoro (Jobs act), dalla legge di Stabilità e dalle politiche economiche che, più in generale, sarebbero mirate a colpire negativamente i lavoratori dipendenti ed i pensionati, segando le gambe ai diritti civili a causa del taglio significativo al fondo dei Patronati.

Le ragioni dello scontro tra sindacati ed esecutivo sono molteplici, come spiegato oggi nel corso della conferenza stampa di presentazione dello sciopero che Cgil e Uil hanno voluto tenere in piazza Sant’Oronzo, al di sotto di un gazebo montato di proposito nel cuore della città, al fine di spronare i cittadini alla più ampia partecipazione possibile. Si comincia dal famigerato Jobs act e dai contratti a tutele crescenti (“o decrescenti” come le definisce Giannetto) che lungi dal rappresentare un intervento normativo utile alla crescita occupazionale ed economica, indebolirebbero ancora di più le tutele dei lavoratori (sottoposti al ricatto dell’abolizione dell’articolo 18 e del controllo sui luoghi di lavoro), fino ad annullare i diritti conseguiti dalle generazioni precedenti, producendo un effetto di livellamento verso il basso.

Ma nel mirino delle parti sociali sono finite anche la legge di Stabilità rea di gravare sull’autonomia degli enti locali e di aver inferto un corpo mortale al sistema di welfare;  il Piano per la buona scuola (una riforma decisa a tavolino e calata dall’alto, senza il coinvolgimento dei diretti interessati); la sforbiciata alle risorse destinate alla cassa integrazione guadagni (nel solo Salento gli ammortizzatori sono agli sgoccioli per oltre  6mila persone); la riduzione “indiscriminata” dell’Irap per ogni azienda, che non terrebbe conto delle differenze tra imprese “sane” che investono e aziende concorrenti che evadono e giocano sporco, parimenti graziate dalla manovra.  Le rivendicazioni si estendono fino allo sblocco dei contratti per il pubblico impiego (fermi invece da 8 anni) e degli scatti di anzianità.

Il punto nevralgico della protesta è, però, nel mancato coinvolgimento delle parti sociali in questa fase così delicata di riforma degli assetti economici e sociali del Paese. “Non si può governare scavalcando la volontà delle forze intermedie – ha tuonato Giannetto -. Le decisioni sono state assunte tutte sulla base della piattaforma elaborata da sindacati2-2Confindustria: annullare il nostro potere è un pericolo per tutti. Finché ci saranno ingiustizie e discriminazione, invece, il sindacato esisterà”.

Per quanto riguarda la desertificazione industriale del Salento, il giudizio dei sindacati è particolarmente duro nei confronti di una classe dirigente “incapace di operare la dovuta pressione sul governo, di agire in modo da liberare risorse utili agli investimenti ed alla crescita”.

Il dramma è reso dalle decine di vertenze aperte, ormai da anni, sul territorio: da quella dell’ex manifattura Tabacchi, ritornata nella denuncia di un lavoratore Iacobucci presente alla conferenza odierna, Umberto Borlizzi, fino al rischio di chiusura dell’orchestra Ico Tito Schipa per effetto della legge Delrio, come ricordato dal maestro Vito Daddabbo. Guai a sottovalutare, poi, il calvario dei pensionati che lungi dall’essere “un peso morto” rappresentano “parte attiva e viva della società”, come sottolineato da Giuseppe Saracino. L’ultima testimonianza della giornata odierna è stata, infine, quella di un insegnante di scuola, Walter Marangio, rappresentante di un’ intera categoria (quella del pubblico impiego) ormai privata del suo potere d’acquisto e delle sue tradizionali tutele.

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