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Sabato, 20 Aprile 2024
Politica

L'indignazione a orologeria e la guerra sui social: per il merito su Tap non resta spazio

La condanna del vandalismo e la rivendicazione di una opposizione radicale e legittima dovrebbero andare di pari passo. Ma l'esasperazione dei toni alimenta solo i reciproci alibi

LECCE – Non ci vuole molto a dire che una scritta sul muro, qualunque scritta, di amore, di protesta, a sfondo calcistico, su qualunque muro, del centro e della periferia, è un gesto incivile perché fondamentalmente significa la  prevaricazione di uno spazio altrui, privato o pubblico che sia: le parole contenute possono farci sorridere, possono trovarci d'accordo, ma il gesto resta, per dirla alla Fantozzi "una cagata pazzesca". A meno che non si abbia tempo da perdere o un muro di casa propria da offrire spontaneamente, direi che per onestà intellettuale non ci può essere spazio per un dibattito sensato su questo punto.

Del resto, con la stessa lucidità, non ci vorrebbe nemmeno molto a dire che la presenza di singoli o piccoli gruppi che ricorrono al vandalismo come strumento di comunicazione “politica” – tra l’altro sbagliata perché sortisce l’effetto contrario nei potenziali destinatari, cioè gli "indecisi" o gli "indifferenti" - non può pregiudicare l’andamento complessivo di una manifestazione e, soprattutto, le ragioni che ne sono alla base. E che questo giornale, all’alba o di notte, e senza limitarsi ai comunicati ufficiali e ai post su facebook, ha sempre seguito cercando di spiegare nel modo più coerente possibile con la delicatezza della questione. Inserendo su Google le parole Lecceprima, gasdotto, Tap vengono fuori oltre 23mila risultati: hai voglia a documentarsi, dovunque si viva.

Insomma si possono dire le due cose insieme, non è complicato. Il problema vero nasce nel momento in cui da una parte si giustificano le scritte No Tap fatte ieri sera come un dazio tutto sommato accettabile a fronte della sproporzione di forze tra un movimento e una multinazionale supportata dalle istituzioni nazionali ed europee; dall’altra si utilizzano singoli episodi per delegittimare una protesta che esprime il disagio di una comunità sotto pressione da molti anni e comunque quasi plebiscitariamente schierata con il suo sindaco, riconfermato a suon di voti No Tap la scorsa primavera, contro un'opera giudicata inutile, dannosa e pericolosa.

La strumentalizzazione, infatti, è dietro l’angolo e serve anche a costruire un alibi per una vicenda complessa nella quale tutta la classe dirigente interessata nelle fasi di gestazione e approvazione del progetto - quando la politica rappresentativa avrebbe potuto dire la sua - ha abdicato al suo ruolo, talvolta per interesse, meno spesso per convincimento, quasi sempre per ignavia.

La guerriglia in corso in queste ore sui social è piuttosto esemplificativa della qualità del dibattito: se condanni le scritte alla fin fine sei un perbenista, oppure magari un sostenitore occulto del gasdotto, dicono gli uni; se sei un manifestante sei un incivile o sei complice degli incivili, rispondono gli altri. Muri contro muri. E il merito della questione va a puttane.

C’è una matrice comune nelle due posizioni e, non so perché, a me ricorda tanto quei ragionamenti dell’ineffabile Carlo Giovanardi sui diritti civili oppure di coloro che ieri erano contrari alla fecondazione assistita all’epoca del referendum e oggi lo sono alla concessione dello ius soli. La radice malata è questa: prendere un argomento complesso, svuotarlo del suo significato, manipolarlo fino al punto da trasformarlo in un vessillo da tifoseria e polarizzare il dibattito a suon di slogan, anche piuttosto datati e prevedibili. Potevi perderci una notte a spiegare a lui e a quelli come lui che il riconoscimento e l'estensione di alcuni diritti non avrebbero pregiudicato quelli esistenti, ma il risultato era che la famiglia tradizionale era in pericolo e che gli italiani non facevano più figli. Andava in automatico Giovanardi, evidentemente mosso da una precisa strategia comunicativa, quella di parlare alle paure, a quelle immediate e a quelle ancestrali, degli elettori.

Prima si usava delegittimare l'avversario minandone la sua credibilità, cose da Guerra Fredda, da un paio di decenni va invece di moda espungere il merito delle questioni, ma il fine è lo stesso: porre il problema come uno scontro di civiltà. Il che porta a pensare che, tanto più in tempi di guerra, alla propria curva tutto sia concesso.

Se tutta questa animosità virtuale servisse a far riflettere i contendenti sul rispetto della cosa pubblica, allora sin da oggi sarebbe coerente raccogliere le cicche da terra, fare la differenziata come si deve, non parcheggiare in doppia fila, usare i mezzi di trasporto invece di pretendere di arrivare in negozio con il Suv. Ma anche non costruire villette sul litorale, non utilizzare scarichi a mare, non autorizzare improbabili villaggi o hotel, cose che le amministrazioni comunali invece spesso fanno, con o senza Tap. Sulle nostre coste, infatti, lo scempio precede l’arrivo del gasdotto, anche se qualcuno finge di dimenticarlo, perché non ci sono santi in questa storia. 

Vedere ogni cosa con una certa misura e non sentirsi depositari della verità sarebbe utile per tutti, così come fare ogni tanto esercizio di memoria. Con una opinione pubblica più civile e con una attività amministrativa più scrupolosa e indipendente nel recente passato, oggi staremmo raccontando non solo un'altra San Foca, ma un altro Salento.

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