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Sabato, 20 Aprile 2024
Politica

Ma una squadra in serie A ora merita una città davvero all'altezza

Il miracolo del presidente-tifoso e del suo staff. La gioia dopo anni di amarezze. Un contrappasso che sembrava infinito. Ora tocca alla politica trovare la stessa forza. L'immagine di Lecce è ancora sbiadita

Non bisogna piegare lo spaziotempo. Basta sbirciare dietro l’angolo della memoria. Solo l’altro ieri era ancora serie C. Quale magica coincidenza, allora, questa visione a lungo accarezzata che si trasforma in un tuffo nella gloria. Certo, sarebbe stato affascinante se il fato e un po’ di coraggio in più avessero regalato quest’emozione nella trasferta padovana, proprio nel giorno della Festa del Lavoro. Avrebbe assunto un significato speciale. Perché il ritorno in serie A è frutto di tante componenti che si possono riassumere in una sola parola: lavoro, appunto.

Il lavoro di una società che si è cementata in poco tempo, dimostrando solidità e coraggio, sotto la guida di un presidente-tifoso, Saverio Sticchi Damiani, primo artefice di un sogno che sembrava quasi impossibile solo pochi anni addietro. Il lavoro di un tecnico, Fabio Liverani, che ha sempre mantenuto la barra dritta e superato incidenti di percorso e critiche, a volte inutilmente enfatizzate, facendo crescere di giorno in giorno una squadra capace di sprizzare scintille, artefice di un calcio prepotente e brillante. Il lavoro del suo stesso gruppo, maturato in fretta, sempre più conscio dei propri mezzi, sempre più pronto alla battaglia, con un  unico obiettivo fisso, un chiodo martellante nella testa, in ogni partita: vincere. La qualità dei grandi.

Ma a Padova, la stanchezza della sfida dominata solo qualche giorno prima con l’armata bresciana, si è fusa con la consapevolezza arrivata in un baleno, da un insperato risultato in quel di Palermo, di avere veramente il destino nelle proprie mani. E la tensione deve essere salita alle stesse, nello spogliatoio. Quando mancava davvero poco alla discesa in campo, l’obiettivo di un’annata si è presentato lì, all’improvviso, alla portata. Da brividi. E allora, quello scivolone che ha portato con sé due settimane di patos, forse era davvero inevitabile.

Ma va bene così. Va benissimo anche così. E’ uno splendido segno del destino pure questa promozione sudata sul proprio terreno di gioco, davanti al popolo giallorosso riunito, con uno Spezia per nulla in vena di generose concessioni, e proprio nel giorno del compleanno del presidente. Un bel regalo a chi ha regalato tanto.

Solo chi conosce Saverio Sticchi Damiani fin da bambino, già alle elementari orgogliosamente avvolto nella sciarpa giallorossa, può tentare di comprendere quali incredibili sentimenti stia vivendo in queste ore. I bambini sognano di diventare astronauti dei campi di calcio, bomber formidabili in grado di segnare il gol decisivo per lo scudetto o per la finale di Champions League. Sticchi Damiani forse non sognava davvero di diventare presidente del Lecce, ma quando ha deciso di sposare questa causa, ha trasformato la passione in un incantesimo. Ma senza bacchette magiche. Piuttosto, con lungimiranza, professionalità, serietà e concretezza.   

Fra anni bui e  speranze più volte tradite al fotofinish, sembrava che il contrappasso di un’onta, quella maledetta retrocessione a tavolino, non dovesse finire mai. Ma oggi, tutto questo è stato cancellato con un sublime scatto d’orgoglio. E’ il momento della redenzione di una città, di una provincia sportiva. E’ l’attimo del riscatto delle sfumature dell’anima, così vive, intense, quel giallo e quel rosso di cui sono colorati i cuori dei tifosi più accesi, che non hanno mai smesso di battere nemmeno nei giorni dell’incubo. Crederci, sempre.

E ora, è giusto che i tifosi festeggino, fino allo sfinimento, versando lacrime di gioia che cancellano quelle dell’amarezza. Perché se amare una squadra non è un lavoro, una cosa è certa: la passione è la più grande forza della natura. Ed è anche grazie a questa molla che si corona un sogno. 

Ma all'altezza adesso sia anche la città

E adesso? Adesso tutti si attendono che una squadra in serie A abbia anche un governo locale all’altezza. Non si può viaggiare a marce diverse. La campagna elettorale scorre stancamente verso un finale ancora in bilico, peraltro troppo vicina alla precedente per suggestionare un elettorato sempre più scettico, in una città in cui una fetta bipartisan della classe politica, scossa da scandali, è venuta fuori da poco, con le ossa spezzate, da una delle sue più lunghe e peggiori stagioni, seguita dalla breve e sconfortante parentesi dell'anatra zoppa. Ma ora ci vuole la stessa solidità del club di via Costadura, perché intorno, intanto, si affastellano problemi su problemi.

Lecce è una città che continua a essere sporca, trasandata e disordinata, che viaggia sull’onda di dissesti e tensioni sociali (basti pensare ai casi Sgm e Lupiae). Qualunque governo cittadino dovesse salire al Palazzo, dovrà rimboccarsi davvero le maniche. Guardando, magari, al miracolo della sponda calcistica, come esempio di virtù nell’amministrare qualcosa. In questo caso, la cosa pubblica.

Non sembri una forzatura questa commistione fra calcio e affari pubblici. In attesa del verdetto dei play off, che potrebbe portare un’altra meridionale in serie A, per ora c’è una certezza: saranno solo  Lecce e Napoli a rappresentare il Mezzogiorno nell’Olimpo, in una nazione sempre più spaccata a metà. Un palcoscenico simile, con visibilità planetaria, significa ritorno d’immagine ed economico. E all’appuntamento, bisogna presentarsi in due.    

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