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La mozione degli abbagli e lo scenario elettorale. Salvemini fino a gennaio

Il documento approvato all'unanimità non modifica la situazione per la Lupiae Servizi. Il sindaco prende atto dell'inesistenza di una maggioranza, si pone un termine, e sfida gli avversari interni ed esterni

LECCE – La mozione approvata ieri all’unanimità in consiglio comunale non sposta di una virgola la gravità della situazione finanziaria e patrimoniale della Lupiae Servizi. Rappresenta anzi, l’incapacità della classe dirigente di assumersi fino in fondo la propria responsabilità che è quella di dire che una società partecipata che è costata decine di milioni di euro ai cittadini in ripianamenti – vale davvero la pena ricordare che Lecce ha circa 90mila abitanti e i dipendenti sono 270? – deve imparare a camminare sulle proprie gambe perché i tempi delle iniezioni di doping finanziario non sono più possibili.

Il Comune, infatti, ricorre tutti i giorni dell’anno alle anticipazioni di cassa della banca tesoriera, la Bnl, che ha già fatto sapere che nessun rinnovo delle convenzioni tra l’ente e la Lupiae può bastare, in assenza di un piano di risanamento duro e serio, a convincerla ad erogare nuovi prestiti anche solo per garantire la corresponsione delle due mensilità arretrate. Ecco perché fanno trasalire i commenti entusiastici, talvolta epici, lasciati sui social a imperitura memoria da parte di consiglieri che, assurti al ruolo di statisti, iscrivono il loro nome nei libri di storia.

Una mozione è un semplice atto di indirizzo, una di quelle carte che si sbandierano per dire “ecco, ho fatto quello che potevo fare”, soprattutto quando in aula consiliare sono presenti un centinaio di lavoratori piuttosto arrabbiati. Ma non sarà certo per quel voto unanime che Bnl cambierà le sue intenzioni: ci vuole altro e di più e non è un caso che la stessa mozione parta dalla premessa del cambio di contratto (da commercio a multiservizi) e della riduzione delle commesse del 15 per cento (da 9,5 a 8 milioni di euro). È invece più verosimile che la drammatizzazione di ieri sia stato il primo atto della campagna elettorale per le elezioni amministrative. Il sindaco, Carlo Salvemini, ha infatti annunciato che il suo impegno alla guida della città si concluderà il 9 gennaio, quando conta di portare al sicuro la manovra di riequilibrio pluriennale dei conti e il rinnovo delle convenzioni con Lupiae Servizi con l'approvazione delle relative delibere da inviare alla Corte dei Conti e al ministero dell'Interno. Insomma, si sente vincolato ad avviare il percorso di risanamento dell'ente e della partecipata.

Il primo cittadino, del resto, ci ha messo un attimo a comprendere il significato della votazione sul terzo punto dell’ordine del giorno, relativo alla variazione generale di assestamento del bilancio 2018-2020, che ha visto il governo andare sotto per 15 voti a 13 grazie al voto dei due consiglieri di Prima Lecce, presenti in aula, Finamore e Gigante. È il gruppo con cui Salvemini, all’indomani della sentenza del Consiglio di Stato che lo ha privato di una maggioranza propria in consiglio (anatra zoppa), ha siglato un patto amministrativo temporaneo per evitare l’alternativa di una lunga gestione commissariale.

“Un messaggio politico chiaro, inequivocabile, perentorio – ha commentato questa mattina - che ho la responsabilità ed il dovere di affrontare per ragioni di coerenza, serietà, dignità. Mi è chiaro che la maggioranza siglata dopo la sentenza del Consiglio di Stato per garantire la governabilità della città oggi non è più tale; da settimane, oltretutto dentro e fuori il Comune, c'è chi in qualità di capogruppo di maggioranza annuncia che a gennaio lo mandiamo a casa”. Il riferimento, naturalmente è per Finamore il cui gruppo, fino ad oggi, si è dissociato dalla linea del sindaco anche su altre questioni cittadine rilevanti come il trasferimento degli ambulanti di Piazza Libertini, ma anche sulla gestione dell’ex convento dei Teatini, prima appannaggio di un mercatino dell’antiquariato, e per volontà dell’amministrazione diventato un contenitore culturale.

“In condizioni diverse – ha aggiunto il sindaco - dopo quanto accaduto ieri avrei rassegnato le dimissioni; ma, come spiegato, mi sento in dovere di onorare due impegni con la città: portare in aula la manovra di riequilibrio pluriennale e rinnovare le convenzioni con Lupiae. Dopo di che traccerò una linea ed assumerò decisioni conseguenti”. Date queste premesse è chiaro che il sindaco pretende una maggioranza leale e solida abbastanza da arrivare a fine consiliatura, nel 2022. Assai difficile, però, che una soluzione gli venga da quell'aula che dalla sentenza del Consiglio di Stato in poi gli ha riservato solo acque agitate (non solo per Prima Lecce, ma anche per Massimo Fragola di Andare Oltre).

Intanto però Salvemini  ribadisce l’invito ai suoi avversari, esterni ed interni, ad essere coerenti e ad assumersi le proprie responsabilità fino in fondo: “Chi ritiene che nei prossimi 40 giorni io sia di ostacolo alla gestione di questi difficili passaggi - o che sia causa della crisi finanziaria del Comune e della Lupiae – può, avendo dimostrato di avere i numeri, presentare subito una mozione di sfiducia da approvare in consiglio comunale; o, se preferisce, raccogliere le firme necessarie davanti ad un notaio e così dare coerente seguito al guanto di sfida lanciatomi ieri”. Il centrodestra, in effetti, avrebbe potuto farlo cadere già ieri, ma la proposta che ha messo sul tavolo è stata quella di un documento unitario di compromesso perché nessuno, in realtà, ha in mano un'alternativa concreta per il salvataggio della partecipata rispetto alla strada piuttosto stretta delimitata dagli impietosi parametri contabili. 

Una navigazione a vista, del resto, non giova a nessuno: è logorante per la città e lo è anche per lo stesso sindaco che, pur votato al ballottaggio con il 55 per cento delle preferenze (grazie all'apparentamento con la coalizione di Alessandro Delli Noci, il vice sindaco), si è trovato un consiglio di segno posto per poco più di 360 voti voti (pari allo 0,2 per cento) in virtù del risultato del primo turno e dunque con un programma di governo tanto sottoposto a insidie e condizionamenti da depotenziare quella spinta in avanti definita con "l'agenda del cambiamento". Davanti alla sentenza della giustizia amministrativa - dura lex sed lex - ha provato una soluzione che molti hanno contestato, da destra e da sinistra, se ne è assunto la responsabilità, l’ha sperimentata ma, ieri, ne ha verificato l’intrinseca fragilità.

Salvemini, per far contenti i puristi della teoria politica che però dimenticano cosa sia Lecce e quale la sua storia politica, avrebbe potuto dimettersi dopo la prima sentenza, quella del Tar di ottobre 2017 e andare a elezioni nella primavera del 2018, ma non dopo quella del Consiglio di Stato di febbraio scorso perché i tempi di legge avrebbero obbligato per forza la città ad essere retta da un commissario prefettizio per un anno a mezzo, cioè fino alla successiva finestra elettorale. Tertium non datur.

Ora che i nodi sono tutti al pettine – e con la suggestione delle elezioni europee che fa presupporre alla Lega di Roberto Marti di rovesciare il banco – è il momento di fare chiarezza. Nel 2017 il messaggio di rottura mandato al centrodestra del "ventennio leccese", che è anche quello del filobus, della gestione delle case popolari e del bluff di Capitale della Cultura, è rimasto ambiguo in virtù di un risultato contradditorio. La prossima sarà dunque l’occasione di un chiarimento definitivo, in un senso o nell’altro, sempre che Salvemini valuti una sua ricandidatura.

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