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Povertà, migranti, bene comune: l'arcivescovo Seccia a un anno del suo arrivo a Lecce

Il 2 dicembre del 2017 l'insediamento, poi il 24 agosto il primo discorso alla città. La guida della Chiesa leccese affronta diversi temi: dal "decreto sicurezza" all'accusa di essere troppo benevolo col sindaco

LECCE – “L’augurio che rivolgo è quello della speranza che si fonda sulla solidarietà, non su parole vuote, ma su azioni concrete, come lo sono le mense, l’assistenza che in diversi luoghi viene assicurata alla famiglie, la presenza di più empori. La porta del vescovo è sempre aperta e questo no è populismo: c’è tutta la disponibilità ad ascoltare, a esaminare situazioni particolari per capire se è possibile intervenire: quando ci sono famiglie con bambini, non possiamo tanto arzigogolare”.

Comincia dalla fine il racconto dell’intervista a Michele Seccia, arcivescovo di Lecce. A poco più di un anno dal suo insediamento – era il 2 dicembre del 2017 – ha già accumulato sufficiente esperienza dei risvolti della città, quelli visibili ma anche quelli più nascosti. Di buon mattino, mentre in piazza Duomo si affacciano timidamente un paio di persone, lo abbiamo incontrato nella sede episcopale. “La frase che continuo a ripetere con convinzione - esordisce - è che mi sono sentito accolto, nella comunità ecclesiale, in quella civile. Lecce è la terza esperienza da vescovo dopo molti anni a San Severo e a Teramo, qui mi trovo bene”.

Si parte dal focus sulle povertà, che proprio di recente LeccePrima ha affrontato con don Attilio Mesagne, direttore della Caritas Diocesana: un leccese su tre vive con un reddito a ridosso della soglia di povertà. Una situazione da prendere molto seriamente, dunque, che in un certo senso ha spiazzato anche il vescovo: “Mi ha colpito il numero dei senza tetto, delle persone che fruiscono dei servizi, dagli alloggi alle mense alle varie forme di assistenza, in città e nella diocesi. Ho saputo che ci sono stati anche quindici punti di distribuzione di cibo durante le ore serali, poi ci sono le mense diurne, quella di Santa Rosa, delle suore vincenziane e le altre. D’altra parte, ed è il risvolto se vogliamo positivo, ho trovato una diocesi, attiva, preparata: basta che io nomini don Attilio Mesagne perché la gente sappia di chi sto parlando”.

Il video: l'intervista all'arcivescovo

Allargando l’orizzonte, Seccia non si sottrae affatto ai temi posti dal “decreto sicurezza”, rispetto al quale, come altri esponenti della Chiesa italiana, prende una posizione netta: “Ci sono state già diverse alzate di scudi. Come Chiesa non possiamo essere in linea con il ministero dell’Interno, pur con tutte le precisazioni del caso. Ci vorrebbe una maggiore e migliore accoglienza. È chiaro che il tema del terrorismo come quello della delinquenza spaventano, ma io sono certo che le forze dell’ordine in Italia fanno un ottimo lavoro. Io non ho paura”.

Il vescovo di Lecce non esita a intrecciare la questione migranti con un altro tema di attualità e di dibattito politico: “È veramente giusto questo reddito di cittadinanza se poi manteniamo, come paventava Salvini, un atteggiamento di fermezza e di chiusura verso quelle persone che si trovano in stato di bisogno? Noi abbiamo il dovere di accogliere chiunque arriva per una sistemazione dignitosa che non può trovare nel proprio paese di origine, spesso a causa di crisi economiche, ma non bastiamo a noi stessi e allora dobbiamo imparare a condividere”. Non è un caso, del resto, che la diocesi abbia aderito al corteo che ci sarà il 6 gennaio, "Sicuri di essere umani", organizzato da una rete di associazioni, momento finale di una serie di iniziative per informare la cittadinanza sugli effetti pratici del provvedimento entrato in vigore.

Nelle ultime settimane alcune frasi pronunciate e carpite da Seccia gli sono valse una sorta di “accusa” di eccessiva sintonia con il sindaco Salvemini, che ha esortato ad andare avanti nonostante la strada tutta in salita. Quando si tocca questo tasto il vescovo, invece di ritrarsi, ringrazia per la domanda e spiega: “Noi dobbiamo essere tutti simpatizzanti del bene comune, che vuol dire andare al di là delle visioni politiche o partitiche e pensare, come diceva Aristotele, la politica è servire la comunità, organizzare la polis. Allora ci possono essere pareri discordi, contrastanti, ma se, come accade spesso in Italia, prevale il gusto di essere contrapposti gli uni agli altri, non per perseguire il bene comune ma quello personale, allora si ha una visione troppo soggettiva”. Il concetto del bene comune è centrale nella riflessione del vescovo. Già giorno della processione dei santi patroni, il 24 agosto, nel suo primo discorso alla città esortò i rappresentanti politici locali a lavorare per l'interesse collettivo.

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