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Il presidente della Provincia nel silenzio dei campi nazisti insieme agli studenti

Stefano Minerva ha partecipato all'iniziativa "Treno della Memoria". Di ritorno da una visita ad Auschwitz e Birkenau, ha scritto una lettera ai giovani

LECCE - “Visitare i campi di concentramento vuol dire capire, fino in fondo, di cosa è stato capace l'uomo”. Comincia con queste parole la lettera aperta inviata dal presidente della Provincia di Lecce a tutti i ragazzi del Salento.

L’occasione è quella delle celebrazioni della settimana della Memoria; l’obiettivo, evidentemente, è quello di stimolare una riflessione profonda sulle atrocità dei campi di concentramento europeo in cui migliaia di ebrei persero assurdamente la vita. E l’essere umano la sua moralità e la sua dignità.

Stefano Minerva ha scritto alcune righe di suo pugno al ritorno da un viaggio nei campi di Auschwitz e Birkenau, in Polonia, insieme a Terra del Fuoco Mediterranea e agli studenti partiti per il progetto Treno della Memoria. Un’esperienza toccante per la quale il presidente ha voluto ringraziare i ragazzi di Terra del Fuoco Mediterranea che, con il loro impegno quotidiano, “consentono a migliaia di studenti di conoscere la storia e di visitare luoghi che cambiano la vita”.

Il presidente ha partecipato anche alla consueta commemorazione che si celebra nel campo di Birkenau, durante la quale ogni partecipante ricorda il nome di uno dei deportati che in quei luoghi persero la vita. Un gesto simbolico di grande spessore umano.

La lettera verrà recapitata a tutti gli studenti delle scuole del Salento e rappresenta un monito al ricordo, alla partecipazione ed all’impegno per costruire un futuro dell’umanità che non ricalchi gli orrori del recente passato.

Di seguito riportiamo il testo integrale della missiva.

Cari ragazzi, visitare i campi di concentramento vuol dire capire fino in fondo di cosa è stato capace l'uomo. Non un uomo diverso da noi, ma nostri stessi simili. E non secoli fa, ma poche decine di anni addietro. Lo ha fatto con lucida freddezza e piena consapevolezza.

Ogni adolescente d'Europa dovrebbe venire ad Auschwitz e Birkenau per farsi delle domande ed elaborare delle risposte. Si piange qui, per la rabbia verso chi è stato capace di ciò. Ci si commuove a pensare quello che i prigionieri hanno subito. Si torna da qui amando di più la vita, la democrazia e il prossimo. Ma non basta: la memoria serve a non dimenticare, perché chi dimentica la storia è condannato a ripeterla.

Si torna più consapevoli, consapevoli del fatto che l'uomo sia stato capace di discriminare e uccidere, di suddividere i suoi simili in ebrei, omosessuali, stranieri, impuri, ma che non s'accorgeva che, semplicemente, si trattava di esseri umani.

E ciò accade anche oggi, quando sentiamo chi punta il dito contro il prossimo con disprezzo, utilizzando le parole "zingari", "immigrati", "profughi", "musulmani", "neri". Anche oggi c'è chi dimentica che il prossimo è, semplicemente, un essere umano. Auschwitz e Birkenau ci insegnano anche questo, ci fanno capire che il grembo dell'orrore è sempre fervido in una società ignorante e indifferente.

Per questo lo studio serve ad aiutare l'emancipazione e la conoscenza della storia ad evitare altri disastri. Io ho 32 anni, il doppio di molti ragazzi che visitavano insieme a me quei luoghi di morte ma meno della metà di mio padre.

Ogni volta che mio padre mi racconta qualcosa della sua vita mi sento più ricco e, nonostante le mille esperienze fatte in questi anni, sogno di arrivare all'età di mio padre ed arricchire gli altri con i miei racconti, sogno di sposare la donna che amo, sogno di invecchiare con gli amici di sempre, sogno di lasciare traccia tangibile per la mia città, di contribuire a costruire una società che non condanni un ragazzo per il luogo in cui nasce o per il cognome portato dal padre.

Sogno ancora di lottare per i più deboli e di fare del Salento una terra più ricca. Sogno di gioire e di emozionarmi. Sogno di poter guardare negli occhi i miei figli e dire loro "vedete questo? Si è fatto anche grazie a vostro padre". Sogno di scrivere più poesie di quelle che ho pubblicato e di godere di albe e tramonti indimenticabili. Posso farlo, perché ho ancora la vita davanti.

Max Grabowski è nato nel 1910. Dopo 20 giorni di prigionia nel campo, il 26 marzo del 1942 è deceduto. Aveva 32 anni, la mia stessa età. Max avrà avuto gli stessi miei sogni e, forse, anche di più. Ma ci fu chi gli strappò la vita e, con essa, la possibilità di sognare. Per questo ho deciso di gridare il suo nome. Io ti ricordo Max!

E con questo urlo e questa mia visita, per quello che posso, proverò a restituirti la dignità, quella che in questo campo di concentramento ti è stata tolta. Da quei luoghi in cui i colori delle passioni lasciano spazio al bianco e al nero della paura e della morte, parta un treno di gioia. Questo vi chiedo, aiutatemi a costruire ponti di gioia e speranza.

Per noi, per il futuro della nostra terra. Perché la storia ci ha insegnato ciò che in futuro non deve ripetersi. Spetta a noi vivere e scriverlo.

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