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Martedì, 16 Aprile 2024
Politica

Provinciali, trasformismo e la prova affluenza urne

Due questioni sul tavolo delle provinciali leccesi: continuano senza sosta i cambi di casacca trasversali, degni di transumanza. In più, nei partiti crescono i malumori per le scelte non partecipate

Trasformismo o transumanza? La differenza concettuale in politica probabilmente è solo un cavillo. I cambi di casacca, invece, no. Sono una realtà consistente e si consumano genericamente con una rapidità che fa già invidia all'alta velocità: c'è chi se li immagina semplicemente come il mal costume quasi istituzionalizzato della Repubblica, e chi, invece, sa giustificarli ad hoc come strumento utile a governare la complessità della politica.

Trattasi forse del marchio di fabbrica di una politica ancor più "liquida" della società, immaginata dal sociologo Bauman, incapace di conservare la stessa forma per un lungo periodo e che si travasa da un recipiente all'altro come una bevanda indigesta. Quando Agostino Depretis aprì, nei primi decenni dell'Unità d'Italia, la pratica del trasformismo, essa apparve persino "politicamente corretta".

Da qualche anno a questa parte, e soprattutto con l'incedere delle legislature, le transumanze hanno assunto la forza di fenomeno crescente, tanto che nella sola XIV legislatura ben 202 onorevoli (un quinto dell'intero Parlamento), hanno viaggiato da un partito all'altro, impegnandosi a non fornire una benché minima parvenza di spiegazione.

Di eletti in uno schieramento che per magia transitano nell'opposta fazione se ne contano a iosa, ma non si riesce a tracciare l'identikit del parlamentare attratto dal "salto della quaglia". Di certo esiste uno sciame di nani, ballerini, acrobati, pronti a contorsioni improvvise, così come carrieristi di fortuna, pronti a rinnegare ogni proprio convincimento in nome del mero calcolo utilitaristico. Do ut des.

Per non parlare, poi, dei folgorati sulla via di Damasco, caduti da cavallo, che si lasciano alle spalle anni di fedeltà a nobili principi, per vivere l'ebbrezza del cambiamento. Meglio se nelle vicinanze di tornate elettorali e con qualche posto in palio, che si profili all'orizzonte.

La provincia di Lecce e la corsa per il rinnovo del consiglio di Palazzo dei Celestini non esulano dalle evoluzioni trasformiste di questo apparato: in pochi mesi, si è assistito a tutto e al suo contrario, con girandole frenetiche di liberali che si spostano a sinistra e democratici che vanno a destra con sorprendente disinvoltura, con candidati sindaci Pd diventati candidati sindaci del Pdl, con convinti alfieri ed assertori della partecipazione nei partiti viaggiare nei lidi delle designazioni dall'alto, con trattative degne di una campagna acquisti a colpi di promesse roboanti.

I cambi non si contano più: dal più eclatante Ria, ad un passo dalla candidatura alla presidenza col Pdl, al recentissimo Carlo Toma, uomo storico della destra magliese, passato con i Repubblicani liberali a supportare Loredana Capone. C'è chi, anche nei commenti, critica l'atteggiamento di Adriana Poli Bortone, che fa campagna elettorale contro il Pdl, ma, allo stesso tempo amministra il Comune di Lecce insieme al centrodestra: c'è chi difende le scelte della senatrice, ritenendo fuori luogo ogni ipotesi di rimpasto a Palazzo Carafa, come paventato da qualche mese a questa parte.

I cittadini storcono il naso, pensando poi alla vicenda di Claudio Casciaro, già nota da tempo, o a quella di pochi giorni fa, dell'assessore di Casarano, Antonio Memmi, passato dal Pd alla Puglia prima di tutto.

La gente si lamenta inascoltata, attraverso i forum, di chi come Dario Stefàno o Antonio Buccoliero, alla Regione continua a sostenere e votare per il governo Vendola, salvo poi far campagna contro il centrosinistra alle provinciali, o di Gino Caroppo o Luigi Pepe (quest'ultimo muovendosi negli ultimi mesi in tutti i poli in campo), che, dopo le polemiche con Fitto degli ultimi anni, hanno sanato i conflitti, tornando di colpo all'ovile.

E poi, c'è Montinaro, che, lasciato il Pd, si prepara a diventare parte integrante della futura giunta Perrone, o Carmelo Isola, che dall'Udc si è accasato nel Patto per il Salento di Mario Pendinelli, il sindaco di Scorrano, anch'egli fuggito dal centrosinistra. O ancora di Ria, che continua ad essere deputato, nonostante la scelta di abbandonare il Partito Democratico, che l'ha condotto alla Camera.

Tanti casi singoli, difficili persino a contare, accomunati, però, dalla ricerca di un posto al sole, che aumenta quel cono d'ombra, in cui sembra caduta la politica salentina. I mariti lasciano le mogli, ma non ci stanno a mollare la dote, volgarmente detta "poltrona". Ciascuno, insomma, ha trovato il modo di interpretare la coerenza "personale", che, in quanto tale, il più delle volte coincide semplicemente con l'idea del "faccio quel che mi pare".

Viene da sorridere se si pensa che nel raccatto generale di reduci da più cambi di casacca, ci sia ancora chi non si spieghi i salti della quaglia: pochi si chiedono se a monte sarebbe stato più opportuno non affidarsi a chi, per consuetudine, si stanca facilmente di portare una maglia e difficilmente resiste ai richiami del carro vincente. Natura non facit saltum. E poi il bipolarismo e la nascita dei due grandi partiti non avrebbero dovuto semplificare il quadro politico?

In fondo, la transumanza non è altro che la tecnica più collaudata, per cercare di restare a galla come fa un sughero: lo spiega benissimo un testo di Claudio Sabelli Fioretti parlando di "voltagabbana", ossia di chi "ricostruisce il lifting della memoria".

Ormai è di uso comune sottolineare il tramonto delle ideologie, evidenziando come le scelte vadano orientate sulle persone. Che le persone siano importanti, non ci piove, ma il giudizio sulle stesse si correlaziona ad una gamma di valori, che le rende credibili: e la credibilità si ritrova anche in un fattore chiamato coerenza, cioè, in base ad un'offerta politica chiara, ben collocata, che esalti le doti e le proposte dei singoli.

Un altro tema che si pone, strettamente connesso al precedente, è quello dello schieramento di "truppe" e di "eserciti" elettorali dei singoli schieramenti, ossia del riferimento militaresco alla presenza nei territori di uomini che fanno riferimento a un determinato politico e che, con una prova di forza, dovrebbero garantirgli un bacino di voti sicuro.

L'ostentazione di potenza, che si abbina agli spostamenti attuali e ad una certa sicurezza trionfalistica di un risultato, dato già per acquisito, spesso finisce per non tenere in conto proprio degli umori della gente, disorientata da mosse non sempre comprensibili.

C'è poi un altro punto, emerso nel dibattito e rimasto irrisolto: il tema della partecipazione. Dal caso primarie mancate nel centrosinistra, alla discussione sulla modalità della designazione del candidato del centrodestra, alle più recenti lamentele di qualche esponente Udc sulla gestione interna, tiene banco l'effettivo coinvolgimento della base nelle scelte dei partiti, soprattutto in una fase in cui si fatica ad intravedere un'effettiva esperienza partecipativa.

Dal primo impulso alla discussione, dato da Destra di Base sulla rappresentanza di An all'interno del Pdl, alle attenzioni sulla problematica promosse dal Meet-up salentino di Beppe Grillo, tutti gli schieramenti in campo hanno constatato qualche malumore in merito alla partecipazione.

Verrebbe persino da chiedersi quale coinvolgimento abbiano nelle scelte di un partito anche solo i sindaci, assessori, consiglieri di un qualsiasi comune della provincia (senza arrivare necessariamente alla gente comune), e se questo modello di partecipazione, dove alla fine a scegliere sembrano essere davvero in pochi, piaccia davvero ai cittadini, costretti il più delle volte ad accodarsi in massa alle scelte piovute dal cielo e suggerite come il dettato alle elementari.

Agli elettori, spesso sfiduciati dal sistema, allo stesso tempo, è affidato il compito di mandare segnali chiari al potere, per premiare o porre fine a circoli viziosi della politica "transgender" e non sempre aperta alla partecipazione: un modo inequivocabile, per dimostrare a chi si ritiene pastore di un "gregge", parsimonioso ed obbediente, che il popolo ogni tanto si ricorda di essere sovrano e non semplicemente "sottano".

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