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Sabato, 20 Aprile 2024
Politica

Rappresentanti di lista e voto familiare: Poli Bortone teme il doping del consenso

Per la candidata a sindaco esiste il pericolo di un'alterazione del voto in percentuali non marginali. E chiama in causa la "corazzata" di Congedo

LECCE – Adriana Poli Bortone affonda il colpo. Dopo averla accennata in una recente conferenza stampa, ecco la stoccata contro il centrodestra sul quale proietta il sospetto di voler manipolare le dimensioni del consenso attraverso la cooptazione dei rappresentanti di lista. E, per ridurre l’impatto di questa variabile che si presta ad equivoci fino a ipotizzare una versione del voto di scambio, propone agli altri candidati sindaco di impegnarsi pubblicamente a non prevedere nessun compenso per i rappresentanti di lista: già la normativa, del resto, vieta qualsiasi indennità in denaro.

La legge consente, infatti, a ciascuna lista di farsi rappresentare da un proprio rappresentante in ogni seggio della città. Nel caso di Lecce sono 102.  “Proviamo a fare due conti – scrive Poli Bortone in una nota -. Ipotizziamo che una coalizione abbia tredici liste; ciò significa, che avrà mille e 326 rappresentanti di lista. É ipotizzabile che ogni rappresentante porti almeno un altro voto dal proprio nucleo familiare. E siamo a duemila e 652 voti, acquisiti a tavolino, semplicemente attraverso la nomina di rappresentanti di lista.  Il che rappresenterebbe ben il 5 per cento del consenso, considerato che sui 71 mila elettori di lecce in genere i votanti si attestano attorno ai 51mila. Ora, ipotizziamo invece che quei rappresentanti di lista portino due parenti ognuno, anziché uno: la percentuale di consenso si avvicinerebbe all’8 per cento”.

Poli Bortone tira poi in ballo il numero stesso delle liste a sostegno di Congedo, tredici, per un totale di oltre 400 candidati. “Anche qui, consideriamo solo il voto familiare, quello cioè che viene concesso non per stima o per comunanza di idee, ma per semplici ragioni affettive e appartenenza ad un nucleo familiare. Consideriamo una media di cinque voti; altri 2mila 80 voti, dati per motivi che nulla hanno a che vedere con il fatto di credere in un programma, in una visone della città, in un candidato sindaco. Ma che hanno a che vedere invece con l’appartenenza a una famiglia. Ecco dimostrato che una percentuale di circa il 10 per cento dei voti che verranno dati ad una coalizione, sono dovuti a motivi tutt’altro che nobili”.

Chiaro è che questa proiezione estremizza un ragionamento e non tiene conto di altre variabili, ma è altrettanto evidente che le due questioni poste ricalcano preoccupazioni e riflessioni di certo non nuove nel dibattito politico relativo alle amministrative.

“Da una parte, lo sfruttamento del bisogno di tanti, che si prestano a fare a pagamento un lavoro che dovrebbe essere fatto per un’idea- commenta la candidata a sindaco -. Mercenari, purtroppo, per bisogno. Dall’altra parte, la stortura del civismo, che mira a candidare più persone possibile - a costo di costruire tre liste in una notte-, pur di poter contare sull’appoggio strappato ai parenti. Per gli amici, si vedrà. Non è questa la politica che può migliorare la città”.

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