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Giovedì, 28 Marzo 2024
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Ricerca di petrolio in mare, è già corsa contro il tempo. L’Università: “Danni enormi”

In sala consiliare presso la Provincia di Lecce gli "stati generali" per definire un'opposizione vasta ed efficace alle richieste di indagini geofisiche al largo delle coste salentine e non solo. Presenti, amministratori, esponenti politici ed esperti

LECCE – Il tempo stringe mentre il timore più forte è quello di essere travolti da decisione imposte dall’alto. Il petrolio del Mediterraneo fa gola alle multinazionali ma spaventa amministratori locali, tecnici e operatori turistici: i danni anche solo in fase di esplorazione preliminare – con la tecnica dell’air gun, dunque niente trivelle per il momento – sarebbero intollerabili per il delicato ecosistema di un mare comunque chiuso.

Lo ha detto a chiare lettere Simonetta Fraschetti, docente di Biodiversità di Biologia marina presso l’Università del Salento che sta collaborando con la Provincia di Lecce per la stesura delle osservazioni da presentare al ministero dell’Ambiente nelle prossime settimane nell’ambito della valutazione prevista dall’istruttoria aperta dal ministero dello Sviluppo economico. In realtà le richieste sono due: una, per 2mila 200 chilometri quadrati, della Global Med Llc e un’altra, di 4mila, della Schlumberger Italiana Spa, sebbene la prima sia condizionata da un contenzioso con un altro soggetto interessato, Petroceltic Italia in partner con Edison.

E proprio nella regione confinante si è recato nei giorni scorsi un altro docente, Giuseppe Piccioli Resta, che insegna Geografia sociale. Il suo scopo, ha raccontato, era quello di valutare sulla terraferma le conseguenze dell’attività estrattiva che in Basilicata non è certo una novità. E il bilancio non è stato incoraggiante: “Circa 20mila ettari già contaminati, con tutto quello che ne consegue per quanto riguarda la anche la falda acquifera”. Il concetto, ha sottolineato, è che le perforazioni comportano comunque una quantità di perdita di greggio detta “fisiologica”: che si infiltra nel sottosuolo e che si disperde nel mare.

Secondo Simona Fraschetti sono già molte le evidenze scientifiche che documentano la nocività per l’ambiente marino – coralli, plancton, mammiferi - delle esplorazioni richieste. Insomma, viene da chiedersi se a fronte di prove difficilmente confutabili valga davvero la pena incidere così pesantemente su un ecosistema caratterizzato dalla presenza di numerosi siti di interesse comunitario. Paolo D’Ambrosio, responsabile dell’Area marina protetta di Porto Cesareo ha ricordato come una delle aree oggetto di indagine, nel Golfo di Taranto, sia distante solo 20 chilometri. La tecnica dell’air gun consiste nell’esplosione ogni 10 secondi di una bolla d’aria, valutabile in 250 decibel ciascuno, per tutto il tragitto. Il che produce secondo alcuni studi una mortalità nel pescato pari anche al 50 per cento del totale.

Sono 19 i comuni rivieraschi direttamente interessati, ma la questione è rilevante per tutto il Salento e non solo. Le ambizioni dei “cercatori di petrolio” sullo Ionio, infatti, chiamano in causa Basilicata e Calabria.  E oggi, nell’aula consiliare di Palazzo dei Celestini, si è tenuto un incontro convocato dal presidente della Provincia, Antonio Gabellone, al quale hanno partecipato anche i vice presidenti della Province di Brindisi e Taranto. Roberto Marti e Francesco Bruni, di Forza Italia, e Barbara Lezzi, del M5S, i parlamentari presenti. In sala i sindaci di Otranto, Gallipoli, Tricase, Salve, Ugento, rappresentanti di altre municipalità, alcuni consiglieri provinciali e i consiglieri regionali Saverio Congedo e Luigi Mazzei, di Forza Italia. E naturalmente, come detto, gli esperti universitari e responsabili delle aree protette: c'era anche il presidente del Parco Otranto-Leuca-Bosco di Tricase, Nicola Panico.

L’obiettivo è di muoversi in tempi rapidi sul versante procedurale (che fa capo al Mise) e nel contempo di creare una mobilitazione politica trasversale per scongiurare quello che viene visto come un colpo letale alla strategia di valorizzazione del territorio e delle sue ricchezze. Bisogna poi tener conto che Grecia e Croazia avrebbero già dato il loro assenso (e presto potrebbe farlo la dirimpettaia Albania) e questo potrebbe, secondo alcuni, comunque vanificare la mobilitazione italiana. Ecco perché è necessario agire anche in sede europea.

L'assenza degli esponenti del Pd, regionali e nazionali, che pure in buona parte avevano inviato a Gabellone comunicazione motivata, è stata rimarcata da alcune considerazioni polemiche. Pronta però la risposta del vice coordinatore provinciale, Gabriele Abaterusso: i democratici sono in prima linea sulla questione già da diversi anni, così come del resto la Regione che però non sarebbe stata convocata per l’appuntamento odierno. Il governo pugliese, del resto, ha già deciso di impugnare davanti alla Corte Costituzionale il decreto "Sblocca Italia" nella parte in cui vengono sottratte alle Regioni importanti competenze in fase di autorizzazione ambientale. Decisione che, tuttavia, per il M5S, non è sufficiente a scongiurare l'arrivo delle trivelle.

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