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Primarie, ma a metà. Pd, Sel e il cambiamento col freno a mano

Dopo l'entusiasmo per la scelta di ricorrere alla consultazione per formare le liste elettorali, i regolamenti approvati sembrano fare giustizia delle aspettative diffuse di rinnovamento. E la cittadinanza attiva resta fuori

LECCE – Le primarie del Pd e di Sel per la scelta dei candidati da inserire nelle liste elettorali per Camera e Senato sono diventate nel giro di una settimana un affare di segreteria. Lanciate sull’onda dell’entusiasmo delle consultazioni per la designazione della leadership del centrosinistra, conquistata da Pierluigi Bersani, rischiano di perdere il loro appeal, strette nella morsa del pranzo di Natale e del cenone della vigilia di Capodanno (sono infatti previste il 29 o il 30 dicembre). L'unica vera attenuante è quella della mancanza di tempo - sarà certamente la campagna elettorale più breve della storia - ma le berlusconate delle ultime ore, se confermate, potrebbero facilitare uno slittamento di una o due settimane sul ruolino di marcia.

In realtà, è il regolamento venuto fuori dalla Direzione nazionale del Pd che ha mortificato il livello delle aspettative che si era pure creato nei primi giorni del dibattito. Ha ragione Bersani quando dice che la prossima legislatura vedrà una presenza femminile senza paragoni nella storia dell’Italia repubblicana e forse anche nel panorama europeo, ma la qualità e la competenza non sono una questione matematica. Potrebbero essere tutte donne e fare un lavoro incomparabilmente migliore di quello svolto fino ad oggi.

Un fatto appare già scontato: queste primarie non consentiranno un allargamento della classe dirigente a segmenti di società civile, di associazionismo, di buone pratiche a livello locale. Un candidato indipendente che volesse partecipare alla contesa in programma il 29 e il 30 è stato di fatto scoraggiato a farlo: questo si spiega con la chiara volontà di non disperdere al di fuori del partito un risultato elettorale che si preannuncia importante, premiando così l’apparato che ha tirato la carretta negli anni di magra. Nessuno si chiede se quei risultati siano stati la conseguenza di questa classe dirigente che ora si ripropone, sostanzialmente, attraverso la legittimazione delle primarie.

Ci sarebbero gli organi politici del partito per selezionare gli aspiranti deputati e senatori, altrimenti a che servono, ma qui si compie un’operazione più sottile: si affida alla società civile – infatti non sono primarie aperte solo agli iscritti – il compito di certificare una scelta comunque indotta da un meccanismo assai rigido di candidature. Saranno, insomma, primarie aperte a metà, quella dalla parte dell’elettorato attivo. Altro discorso è poi quello dei “renziani” che ripropongono il tema della partecipazione senza se e senza ma: chiunque voglia farlo sia autorizzato a votare.

assembleapd-2Chi finirà poi nel fortino del 10 per cento riservato al segretario è già oggetto di furibonda trattativa: per lo più segretari regionali fedelissimi (Sergio Blasi, ma non solo) notabili, portatori di voti, personalità organiche al partito in attività esterne. Una concessione al giovane di turno non cambierà la sostanza. Bersani, che pure nel partito ha avviato una lenta e silenziosa operazione di rinnovamento dei quadri, ha in questo caso le mani legate: la sua stessa segreteria è frutto di accordi e l’imminenza di una possibile vittoria scoraggia qualsiasi audace operazione di vera rottura. Ed è anche per questo che l’antipolitica – che poi sarebbe meglio chiamarla avversione alla cattiva politica – attecchisce come la gramigna: ogni deroga che il Pd concederà  sarà un pugno nello stomaco del buonsenso perché proprio non si riesce a capire quale motivo debba spingere parlamentari con una vita trascorsa a Montecitorio a fissarsi con la permanenza a Roma. O meglio, si capisce pure, ma allora sfugge perché glielo si debba concedere.

Un discorso a parte merita Sel che alle primarie non poteva sottrarsi, ma che in realtà non avrebbe voluto farle: a differenza del Pd, che sceglierà su base provinciale, i candidati dovrebbero essere selezionati in ambito regionale (il regolamento definitivo è atteso per questa sera). Per “immunità” dovrebbero bypassare la tornata di fine mese il presidente della Regione – e ci sta  visto che di primarie ne ha fatte abbastanza -, ma probabilmente anche il fedelissimo Nicola Fratoianni, esponente della cosiddetta “cerchia magica” che accompagna il governatore fin dagli inizi della sua cavalcata pugliese e che lo ha convinto a candidarsi alla primarie con Renzi, Bersani, Puppato e Tabacci. L’altro assessore regionale Dario Stefàno, passando dalle primarie, completerebbe la pattuglia al maschile – considerando il probabile risultato elettorale - mentre sul versante “rosa” sono già della partita la segretaria provincia di Lecce, Anna Cordella, la coordinatrice regionale Annalisa Pannarale. In stand by Sonia Pellizzari, leccese, componente della Presidenza nazionale di Sel mentre salgono le quotazioni dell’assessore Angela Barbanente che, se dovesse rompere gli indugi, dovrebbe avere vita facile.

Un partito che da quando esiste ha mancato l’appuntamento con il radicamento sul territorio, operazione che gli avrebbe dato una spendibilità elettorale svincolata dalle fortune del suo leader che eterno non può essere, chiudendosi a riccio compie un errore tattico e strategico: tattico perché non fa nulla di diverso dal Pd, e forse fa anche peggio, strategico perché perde l’occasione di aprirsi definitivamente a quel patrimonio di cittadinanza attiva, pugliese ma non solo, che è forse il principale partito degli elettori del centrosinistra. 

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