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Vendola, sì alle primarie del centrosinistra: “Vincere contro il Monti bis”

Il governatore pugliese scioglie le riserve e si dice disponibile a concorrere per "scacciare i fantasmi" del prolungamento dell'attuale esecutivo, anche dopo le elezioni. Ma la consultazione si profila ricca di contraddizioni

Vendola c’è. Il protagonista indiscusso della “primavera pugliese” scioglie le proprie riserve ed annuncia la definitiva volontà di concorrere alle primarie del centrosinistra, per l’indicazione del candidato premier alle prossime politiche del 2013. Tra alti e bassi, conferme e ripensamenti, il governatore della Puglia dice di sì alla complessa sfida con l’obiettivo annunciato di non fare da comparsa nella scontro “generazionale” tutto interno al Pd.

Il motivo della “discesa in campo” è spiegato sul suo sito: “Per scacciare il fantasma del Monti bis e trasformare le primarie, da ennesima faida di partito a occasione di svolta per il Paese”. La direzione è chiara e il messaggio pure: “Giochiamo per vincere”. Suona come un avvertimento a chi pensa che sia tutto già deciso e che la consultazione sia ormai roba da singolar tenzone tra Matteo Renzi e Pierluigi Bersani.  

L’annuncio ufficiale arriverà sabato prossimo al Mav di Ercolano, in efficiente concomitanza con l’assemblea nazionale del Pd, dove il segretario Bersani, invece, parlerà di primarie e proposte, mentre Renzi, grande assente annunciato, vagherà nel Salento a bordo del suo camper elettorale: perché il sindaco di Firenze non vuol perdere tempo e, dal 13 settembre scorso, sta rastrellando consensi e popolarità, che, secondo i primi sondaggi, lo porterebbero col fiato sul collo del suo principale sfidante.

Più staccato, secondo le stesse rilevazioni Vendola, che, però, sconta, da un lato, una sorta di “limbo” mediatico, dovuto all’incertezza della sua candidatura, e, dall’altro un minor appeal rispetto al passato. Il suo “leaderismo rosso”, insomma, appare appannato dal “giovanilismo rottamatore” di renziana memoria, sebbene il vestito di “outsider” sia sempre stato quello più gradito al governatore pugliese, in quanto spesso foriero di fortune elettorali.

Le candidature con cui fronteggiarsi, stavolta, però, non sono di facciata e la luce del successo del 2010 si è sbiadita, anche per colpa dello stesso Vendola, perennemente proiettato sul terreno della sfida nazionale e con un’esperienza di governo territoriale, “orfana” di guida e che inizia a dare forti segnali di insofferenza. Insomma, lo stesso leader di SeL dovrà ritrovare la sua dialettica migliore e argomenti convincenti per riaprire una partita, che, in realtà, è un festival di paradossi e contraddizioni.

 

Le primarie senza data e senza regole: festival di contraddizioni da sanare

Si parla da tempo e con protagonisti già in campo di una competizione, che, ad oggi non ha ancora una data (si parla del 25 novembre) e delle regole, ma soprattutto senza un quadro chiaro di alleanze: non si comprende se siano le primarie del Pd (elemento in forte antitesi con l’annuncio di Vendola e con quello di altri contendenti) o se del centrosinistra, in quanto nessuno ha ben spiegato cosa si intenda per “centrosinistra” e sull’argomento si sprechino idee e modelli differenti, anzi, persino agli antipodi.

Non solo i condizionamenti sono interni ai possibili schieramenti coinvolti nella consultazione, ma si estendono a “veti” espressi da chi, pur dichiarando di non voler partecipare, sembra dettare l’agenda. Il tutto condito dalle spinte, velatamente bipartisan, per la ricomposizione post elettorale di un governo Monti bis. Espedienti “terzopolisti” in nome del “buon senso” e della “serietà” che fanno un baffo alle alchimie tattiche del miglior Oronzo Canà.

E non è tutto. Bersani che nega alleanze con l’Udc, mentre molti gregari del suo partito pretendono il connubio con Casini e company, ai danni di Vendola. Con lo stesso Vendola che annuncia di candidarsi come alternativo al Monti bis, ma che fino a qualche settimana fa aveva attutito questa contrapposizione, pur di allearsi col Pd; e con l’Idv in mezzo, ritenuto interlocutore imprescindibile da Vendola ed escluso dal perimetro delle alleanze da Bersani.

A questo si aggiunge la lotta “intestina” interna al Pd, dove i dirigenti sostengono la “estraneità” delle posizioni di Renzi da quelle del “centrosinistra”, paventando nel caso della vittoria del rottamatore la fine del partito, ma dimentichi che alcune sue posizioni in materia economica e del mercato del lavoro (la distanza dalla Fiom e la non demonizzazione di Marchionne) siano già rappresentate da personaggi come Ichino, peraltro fortemente caratterizzanti dell’impronta data da Walter Veltroni. Allora, il problema non è forse quanto sia di “sinistra” Renzi, ma quanto oggi lo sia il Pd, amalgama senza compimento di una forza che guarda con ostinazione al centro.

Dal punto di vista dei contenuti, il quadro non appare più esaltante: Bersani ha dalla sua competenza e preparazione, ma continua ad essere la faccia buona di un quadro dirigente che ha già governato e proposto ampiamente le proprie ricette per il paese, con alterni risultati. L’elemento di “novità” inteso come capacità di “svolta politica” sembra “amorfo”. È un già visto che lo stesso Bersani ha chiosato come “usato sicuro”.  

D’altra parte, non c’è dubbio che la battaglia di Renzi si stia giocando in termini di “sostituzione di nomenclature” (punto, peraltro, su cui è difficile dare torto al “rottomatore”, visto che molti dirigenti del Pd dovranno pur dar conto di quanto operato in anni di impegno politico), invece, che di “innovazione programmatica”, con una deriva presto evidente: che il “nuovo” rischi di non risolversi in un “matematicamente migliore”. Ed anche Vendola oggi non ha la dirompenza di qualche anno fa.

In mezzo, ci sono diversi outsider, stritolati dai protagonisti principali della contesa e con quelle che vengono definite presenze di “testimonianza”. Il timore è quello di assistere ad una lotta “fratricida” ma senza soluzione di continuità, mentre sottobanco si lavora al prolungamento dell’esperienza di questo governo.

In passato, le primarie hanno avuto il merito di rompere i tatticismi. Oggi, la sensazione diffusa è che numericamente il centrosinistra possa vincere le politiche per manifesta inferiorità degli avversari, ma con un bacino elettorale dimezzato dall’astensionismo e dall’assenza di proposte davvero capaci di rilanciare la politica e il Paese.

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