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Venerdì, 29 Marzo 2024
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Derby truccato, confermata in appello la condanna per Semeraro e Quarta

Un anno e sei mesi per l'allora presidente del Lecce e per l'imprenditore, accusati di frode sportiva per la presunta combine del derby del 2011

LECCE – A distanza di oltre sei anni da una data triste e nefasta per il calcio, la giustizia scrive un’altra pagina importante e per certi versi storica nella presunta combine nel derby del 15 maggio 2011 tra Bari e Lecce. Confermata anche in secondo grado, infatti, la condanna a un anno e sei mesi (pena sospesa) per l'ex presidente del Lecce, Pierandrea Semeraro, e per l'imprenditore Carlo Quarta, con una multa di 10mila euro e risarcimento di 400 euro per ciascuno dei 150 tifosi salentini rappresentati in giudizio, assistiti dagli avvocati Giuseppe Milli, Francesco Calabro, Luigi Aquaro e Giacinto Epifani. Assoluzione, per non aver commesso il fatto, per Marcello Di Lorenzo, condannato a 9 mesi in primo grado.

Gli imputati erano accusati di frode sportiva con riferimento alla presunta combine del 15 maggio 2011 per la quale il Lecce è stato retrocesso d'ufficio dalla B alla Lega Pro nell'estate del 2012. La giustizia sportiva, infatti, è stata implacabile nei confronti del club che poco prima del verdetto era stato rilevato dalla famiglia Tesoro. Proprio il giorno successivo alla sospirata vittoria del Lecce per 2 a 0 nel match contro i cugini che valse la permanenza nella massima serie, il patron, Giovanni Semeraro, convocò una conferenza stampa nella quale comunicò la decisione di passare la mano. Un annuncio che colse tutto l'ambiente in contropiede e che portò il club ad una sorta di gestione controllata affidata ad un amministratore delegato per i mesi a venire.

La sentenza di oggi è destinata a restare nella storia della città e della giurisprudenza. “Abbiamo reso onore alla città e ai tifosi del Lecce”, il commento degli avvocati di parte civile Giuseppe Milli e Francesco Calabro, “in una brutta pagina della nostra storia dimenticata troppo in fretta. La sentenza di oggi rende, almeno in parte, giustizia ai tifosi e a chi ha patito per le colpe altrui, condannando chi ha disonorato una maglia gloriosa”. 

Un ruolo centrale nella vicenda lo ha avuto Andrea Masiello, ex capitano del Bari, che ha patteggiato la pena ad un anno e 10 mesi e che, secondo i magistrati baresi, avrebbe, nel doppio ruolo di “corrotto e corruttore”, alterato il risultato di alcune gare, tra cui proprio il derby con il Lecce del 15 maggio 2011. Scontata la squalifica Masiello è tornato a giocare con la maglia dell’Atalanta. Su di lui, però, rimane una macchia indelebile. Perché se vendere un derby può essere considerato il peggior abominio da parte di un tifoso, realizzare volontariamente un autogol e sancire la salvezza dei rivali storici, sono la peggiori infamie per un calciatore. Perché un autogol nel derby non è soltanto un tradimento, è un atto quasi blasfemo.

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