La Cripta di Sant'Antonio Abate a Nardò, incuria e degrado
LA CRIPTA DIMENTICATA: cronache dalla Politica dell'Incuria Celata nell'arsura delle campagne neritine, dimenticata dai più e soggetta al lento ma ineluttabile logorio del tempo, una gemma del patrimonio storico-artistico del nostro territorio sta lentamente spegnendosi della sua luce. Stiamo parlando della Cripta di Sant'Antonio Abate, sublime testimonianza dell'architettura ipogea medievale. Un vero e proprio scrigno di tesori, fragilissimi ma ancora resilienti. Ma per quanto tempo ancora?
Ricordiamo per un attimo la sua storia, che attraversa a cavallo di lunghi secoli lo scorrere del tempo sino agli anni '80 del XI secolo, periodo d'avvento di Goffredo il Normanno. Con le politiche dei nuovi conquistatori si attua il passaggio dal culto cristiano orientale a liturgie e istituzioni cristiane di rito latino, rappresentate dai monaci benedettini. A loro venne infatti donata l'antica chiesa di rito greco neritina sulla quale innesteranno l'abbazia di Sancta Maria del Neritorio. La costruzione dell'ipogeo è quindi da attribuirsi ai benedettini: l'ambiente sacro venne battezzato "Santus Antonius de la Gructa", letteralmente "Sant'Antonio della Grotta".
I retaggi culturali bizantini tuttavia sopravvissero a lungo, poiché radicati nel territorio durante i lunghi secoli precedenti. L'influsso bizantino si ibridò quindi con la nuova cultura artistica occidentale, come testimoniato dalle decorazioni pittoriche della cripta stessa. Scendendo i piccoli e dirupati gradini del nartece, scavati direttamente nel banco di bianca calcarenite, ecco a noi svelarsi il gioiello. Come miraggio di un tempo passato, soffusa nella penombra, ecco una teoria di santi affrescata lungo tutte le quattro pareti dell'ambiente sotterraneo.
È evidente, come dicevamo prima, quanto la contaminazione artistica bizantina abbia influito sulla mano di quel solitario monaco benedettino del XIV secolo che, in lente giornate di lavoro scandite solo dal fruscio della brezza sui campi e dall'allungarsi delle ombre, con perizia artistica estrema dava forma a quelle vesti, quei volti sacri che paiono ancora guardare negli occhi il meravigliato spettatore. Il nostro sguardo tuttavia, subito catturato dalla bellezza degli affreschi, è attirato ora da altro: il desolante stato di incuria e degrado che permea l'intero bene monumentale e che minaccia la conservazione stessa delle pregevolissime opere d'arte contenute al suo interno.
La Cripta di Sant'Antonio Abate a Nardò versa infatti in uno stato di così grave emergenza per un bene culturale di questo valore da non poter essere accettato in anno domini 2017. La situazione è poi ancor più grave di quel che sembra: non solo il bene culturale è stato censito regolarmente dalla Sovrintendenza dei Beni Culturali, ma è addirittura di proprietà privata della famiglia di un consigliere comunale di Nardò attualmente in forze alla maggioranza dell'amministrazione Mellone. Un consigliere già eletto nella passata legislatura Risi, da lungo tempo frequentante le stanze del potere cittadino e perciò moralmente obbligato ad una condotta responsabile verso il patrimonio culturale della propria città, ed in particolar modo verso quello di proprietà famigliare.
Rivestendo una carica nel Governo cittadino infatti, ci si aspetterebbe che si facesse di tutto per tutelare un bene culturale sì pregevole, spendendosi per dirottare finanziamenti europei e regionali per la salvaguardia ed il restauro dei beni culturali e progettando d'accordo con la propria famiglia un piano di recupero conservativo del bene. Sarebbe infine opportuno, dopo aver doverosamente restaurato la Cripta di Sant'Antonio Abate, pensare alla sua valorizzazione e quindi al suo inserimento nei circuiti turistico-culturali di maggior pregio del Salento.
Qualora questo non venisse compiuto per lungo tempo, e di decenni ne sono passati a iosa, sarebbe dovere morale del Sindaco Giuseppe Mellone richiamare il suo stesso consigliere comunale in merito all'argomento e concordare con lui il da farsi. Concordare cioè un piano di salvataggio del bene culturale, con il fine di tutelare quest'ultimo e non solo gli eventuali interessi della famiglia del suo consigliere. I beni culturali secondo la normativa vigente non sono infatti mai del tutto privati: detengono infatti un interesse verso la collettività che fa scattare forti prescrizioni verso i proprietari, come l'obbligo di manutenzione e tutela e l'obbligo alla pubblica fruizione.
Le colpe tuttavia sono molteplici, e non solo politiche o dei singoli individui. Ricordo infatti come la stessa Sovrintendenza dei Beni Culturali abbia la possibilità di tutelare il Bene in ultimo attraverso l'esproprio coatto, qualora i proprietari non ottemperino agli obblighi di corretta manutenzione e di restauro. Tutto ciò è sancito dal Codice dei Beni Culturali, decreto legislativo n°42 del 22/01/2004 agli artt. 95-100. Difatti, la Sovrintendenza non può accampare scuse di sorta: lo stato di incuria e l'emergenza artistica della Cripta di Sant'Antonio Abate persistono da decenni.
È chiaramente auspicabile che non si arrivi all'esproprio. Sarebbe certamente nell'interesse di tutti agire per la tutela del bene in sinergia, seguendo ancor prima degli obblighi normativi una propria, intrinseca legge morale ed una coscienza che sa di agire nel giusto. Dobbiamo salvare la Cripta di Sant'Antonio Abate per salvare il Salento stesso. Un luogo crocevia di popoli e culture da tempi immemori, scrigno di tesori artistici e bellezze naturalistiche sfavillanti, di una fragilità tuttavia estrema che necessita di una doverosa attenzione, come quella di un figlio ormai grande per un anziano e saggio genitore.
Noi figli del Salento dobbiamo perseguire con ogni mezzo la tutela della salute della nostra vecchia e cara terra, troppo spesso lasciata sgretolarsi sotto i colpi del tempo e dell'incuria e schiacciata da una pressione antropica ormai non più sostenibile. Lo dobbiamo a questo territorio che tanto ci ha dato e che continuerà a darci, lo dobbiamo al futuro dei nostri figli, ché possano apprezzare e vivere le nostre bellezze, ma lo dobbiamo sopratutto alla salvezza della nostra anima, così profondamente legata alle radici di questa terra, fonte di quel valore identitario necessario a non smarrire le nostre antiche origini. Dott. Matteo Vallone