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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Moi te nde ticu quattru Ugento

"ABOLIAMO LE PROVINCE": ecco il coupon da firmare

Se ne parla da oltre un secolo e la questione è tornata alla ribalta negli ultimi mesi. Proviamo ad abolire un "astrattismo burocratico" costoso ed inutile? L'iniziativa è del giornale Lo scirocco

Se ne parla da oltre un secolo e la questione è tornata alla ribalta negli ultimi mesi.
Proviamo ad abolire un "astrattismo burocratico" costoso ed inutile? L'iniziativa è del giornale Lo scirocco. In allegato il coupon da sottoscrivere

di Serena Rollo

"E tu di dove sei?" "Di Lecce". È così che la maggior parte di noi risponde quando trovandosi fuori dai confini provinciali qualcuno domanda la nostra provenienza. Non importa se siamo di Ugento, Martano o Patù, per un momento la nostra piccola capitale diventa il nostro baluardo, il nostro orgoglio, o forse più semplicemente la nostra sola possibilità di essere individuati su una cartina geografica.

Per molti questa è una ragione più che sufficiente per opporsi ad una eventuale abolizione delle Province. Ma è davvero necessario mantenere in vita una farraginosa struttura amministrativa perché i caratteri di una comunità, i suoi usi, la sua identità non vadano smarriti? O non sono questi costitutivi del territorio e della gente che lo anima aldilà di ogni affastellamento di enti locali che per il territorio fanno poco o niente eccetto che favorire il clientelismo partitocratico e la formazione di posizioni di potere "provinciale" impossibili da smantellare? Il tutto a carico dei contribuenti.

Di abolire le Province si parla da oltre un secolo, da quando Libertini propose in Parlamento di eliminare questi enti "per lo meno inutili". Negli ultimi mesi la questione però è tornata alla ribalta. Per far ripartire l'economia e permettere ai cittadini di vivere del loro stipendio - magari evitando di tassarne il 90 per cento - lo Stato italiano deve trovare i soldi necessari per gli sgravi fiscali e la riduzione del costo del lavoro. Ora, poiché è molto remota la possibilità di trovare nel nostro sottosuolo enormi giacimenti di petrolio, gas, o qualunque altra cosa capace di trasformarci in un nuovo Emirato o per lo meno in un paese "sviluppato", questi soldi si possono trovare solo riducendo gli sprechi e risanando i conti pubblici.

Ecco spiegate le "crociate" di Brunetta, la riduzione dei ministri, il progetto di eliminare le Province. Se gli impiegati pubblici si sono sentiti offesi, presidenti, consiglieri e segretari provinciali, vittime sacrificali della demagogia e del populismo. E non a torto. Si è voluto cavalcare l'onda dell'antipolitica e del risentimento contro la "casta", ma come rinunciare al decentramento dei servizi operato dal livello statale e regionale senza danneggiare i cittadini? Né d'altra parte basterebbero le Unioni Comunali per far fronte a problemi provinciali. Ecco perché contrariamente alle promesse elettorali il ministro Calderoli ha presentato nel mese di settembre un progetto federalista che non solo non abolisce le Province, ma al contrario mira a garantire a queste un'adeguata autonomia impositiva. La poltrona era dunque salva.

Finché il 28 novembre scorso, proprio un giornale "alleato" - Libero - non ha rilanciato la battaglia con un appello a Silvio: "Elimina le Province". Perché tenere in vita un ente che non solo risulta estraneo a reali competenze politiche e amministrative, ma soprattutto grava sul bilancio statale per una cifra superiore ai 17 miliardi di euro fra emolumenti degli eletti, presidenti, vicepresidenti, assessori, consiglieri e consulenze varie? Non si potrebbe fare a meno di un ipertrofismo di regole che non aiuta il cittadino, ma genera confusione, semplicemente ripartendo le competenze della provincia, qualora già non le avessero, fra comuni e regione e salvando così il decentramento?

Non si vuole qui negare il ruolo che la provincia ha avuto nel secolo scorso, rappresentando in un'Italia piegata dal conflitto l'unico intermediario in grado di rapportare i piccoli paesi che costituivano il suo territorio al governo centrale. Anche fisicamente, attraverso la costruzione di nuove strade. Ma ora che comuni e regione sembrano in grado di reggersi sulle loro gambe è venuta meno quella funzione di "sussidiarietà" su cui si basava l'esistenza stessa della provincia. Sarebbe uno spreco tenere in vita un ente privo di competenze specifiche, ma dai costi in crescita esponenziale: in soli otto anni le spese delle province sono aumentate del 65 per cento.

D'altra parte che la Provincia fosse solo un "astrattismo burocratico" era chiaro da tempo, se agli inizi del secolo Prezzolini nel Codice della vita italiana scriveva: "La famiglia è l'unico aggregato sociale solido in Italia. Il comune è l'unico organismo politico sentito in Italia. Tutto il resto è sentimento generico di classi intellettuali, come la patria; o astrattismo burocratico come la provincia". Questo ovviamente un secolo fa, perché oggi non esistono né famiglia, né comune e i nostri interessi non vanno aldilà di noi stessi e della possibilità di sfruttare la comunità per farli. O forse ancora ci illudiamo che la maggior parte dei nostri problemi, soprattutto di quelli più recenti - non ultimo la questione dei rifiuti - siano dovuti ad un'innocente incapacità di gestione?

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