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Giovedì, 25 Aprile 2024
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Come farsi del male da soli: effetti collaterali della gogna mediatica

Sin da agosto si è avvertita una pressione esagerata, prematura, su Rizzo e il Lecce. L'esasperazione dei toni e lo sciacallaggio virtuale distorcono la realtà favorendo le conseguenze che non si vorrebbero

LECCE - Avvertenza: prima di leggere questo commento vale la pena rileggersi quello del 13 agosto, scritto dunque in tempi non sospetti. Il Lecce era reduce dalla rocambolesca sconfitta di Pordenone che ne aveva sancito l’eliminazione dalla Coppa Italia e già i primi focolai di isterismo collettivo si erano accesi. A distanza di un mese l’incendio è divampato.

Roberto Rizzo esce dunque di scena: lo ha fatto con sobrietà, come suo solito, e c’è da scommettere, con le lacrime agli occhi. Un peso determinante, anche se non esclusivo, lo ha avuto l’enorme pressione che gli è piombata addosso già nel momento in cui è sfumata la vittoria a Brindisi contro la Virtus Francavilla, nella prima giornata, sull’ultimo tiro della partita. Nella successiva gara, in casa contro il Trapani, sono arrivati i tre punti ma altri segnali, come la reazione di Di Piazza alla scorrettezza subita da un avversario, ma anche le espulsioni di presidente e team manager, hanno fatto pensare ad un nervosismo ben oltre la soglia del tollerabile, considerando che siamo ad inizio campionato e che la prima regola per provare a vincere è tenere i nervi saldi un secondo in più degli avversari.

Ipotesi impossibile, questa, da realizzare a Lecce. Cinque anni di Lega Pro e di traguardi sfumati più o meno in dirittura d’arrivo (tranne una volta) hanno costituito il brodo di coltura di un pessimismo cosmico e anticipato che per certi versi rappresenta un buon esempio di quella che i latini chiamavano cupio dissolvi ma anche di quella che in tempi più recenti è stata ribattezzata la teoria delle profezie che si autoavverano, affermatasi nella sociologia americana sulla base del teorema di Thomas che dice: “Se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze”. Traduzione: se alle prime difficoltà la maggioranza dei tifosi e dell’ambiente giallorossi si convince che sarà un altro anno senza gloria, allora sarà sicuramente l’ennesimo campionato di lacrime amare.

Rizzo non è il miglior allenatore del mondo: l’atteggiamento difensivista dopo il vantaggio col Francavilla e quello attendista fino al primo gol del Catania, ieri, fanno presupporre che il suo lavoro fosse ancora nel bel mezzo del cammino, ma anche che non sia stato in grado di farlo aderire alle sinapsi dei calciatori. Di questi ultimi poco si parla: chi lo avrebbe detto, per esempio, che Caturano sarebbe entrato in una fase di surreale involuzione? E’ solo un esempio, ma si può allargare il discorso ad una sorta di sopravvalutazione di molti elementi che invece commettono errori da dilettanti e che non dimostrano quasi mai una capacità di concentrazione da professionisti. Troppi vezzi televisivi, tipo le esultanze coreografiche, troppi vizi favoriti da una ambiente che invece di richiamare le teste calde all’ordine sembra tollerarne gli eccessi: sì, torniamo a Di Piazza, uscito tra gli applausi fragorosi del pubblico dopo aver commesso una clamorosa ingenuità che tutti sapevano avrebbe messo la squadra in difficoltà, non solo in quella partita, ma per le giornate di squalifica che avrebbe rimediato. Tra il sangue fine a se stesso e la testa, io preferisco la testa. La determinazione è un’altra cosa ma è diffusa la tendenza a confondere la rissosità, la guapperia calcistica, con la necessità di farsi rispettare dagli avversari: fatto che, invece, è anche questione di autorevolezza, di capacità di essere più intelligenti del provocatore di turno.  

C’è poi un problema di inesperienza della società: volenterosa, provvidenziale e per questo meritevole di incondizionata riconoscenza, ma forse troppo empatica nel voler assecondare umori e rumori di una piazza schizofrenica che esibisce la patente di indiscussa passionalità anche come alibi anche per le scelte più autolesionistiche e irrazionali.

Del resto il dibattito si sta spostando sempre più nell’arena virtuale, dove un qualsiasi sciamano sciagurato può infervorare gli animi dicendo tutto e il contrario di tutto. La necessità di mettere on line ogni maledetto inutile dettaglio, ogni maledetto giorno, in una stupida rincorsa di competitività a colpi di click, sta annullando quella giusta distanza che serve a vedere le cose, problemi compresi, nella giusta dimensione. Anzi, la distorsione delle prospettive, l’esasperazione dei toni, la maniacalità della narrazione sportiva, sta favorendo l’affermarsi di un involontario isterismo di massa, magari inconsapevole, che brucia sull’altare delle proprie pulsioni anche le migliori intenzioni e le migliori risorse.Stiamo disumanizzando a colpi di gogna mediatica quel poco di calcio vero che ci era rimasto.

Ecco, forse quello che si dovrebbe auspicare è un bagno di umiltà: per i predicatori di odio, per i leoni da tastiera, per i fanatici di ogni sorta. Ma non sarà fatto perché invece di ascoltare e comprendere, smaniamo dalla voglia di autocelebrarci, di contare i like. Anche questo è essere salentini, oggi. Rispetto dunque per mister Rizzo, salentino di altri tempi: con dei limiti, certo, ma con uno stile di cui tutti avremmo gran bisogno.

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