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Correndo verso finis terrae: viaggio tra i colori e i luoghi del Salento

Il racconto di una lunga corsa da Lecce a Punta Palascìa, nel cuore di una terra antica, piena di fascino e bellezza

LECCE – Ci sono viaggi che ti restano appiccicati addosso, come il caldo afoso di questa estate tardiva e capricciosa. Viaggi che senti di dover intraprendere e che ti regalano emozioni e sensazioni che porterai a lungo con te. Già, perché ci sono tanti modi di attraversare il Salento, con i suoi colori e la sua luce abbacinante, i suoi profumi e i gli scorci da cartolina, le sue storie miste a leggenda, le sue infinite strade e i suoi grandi spazi, ma farlo correndo ti regala prospettive e impressioni uniche, come se anziché ammirare un quadro riuscissi a entrarci dentro. Un viaggio solitario, come le grandi storie introspettive, con una manciata di datteri e qualche moneta nella piccola tasca dei pantaloncini.

Questo viaggio inizia in un giorno di metà ottobre, con le prime luci del giorno che si confondono nella foschia. Lasciata Lecce per Castromediano, il tragitto si interseca con un pezzo dell’antica via Leucadense, che un tempo conduceva i pellegrini verso la basilica di Santa Maria de Finibus Terrae a Leuca, in cerca di indulgenze. Un cammino antico deturpato dall’inciviltà e dall’abbandono selvaggio e indiscriminato dei rifiuti a bordo strada. La campagna, avvolta nella bruma, ha un aspetto quasi irreale, tra silenzi e colori autunnali. Con i chilometri scorrono veloci anche i paesi, da San Cesario a San Donato, sfiorando la cappella della Madonna della Giuggiola, poi il saliscendi tra Galugnano e Caprarica, nel magnetismo ancestrale del Kalòs, l'Archeodromo del Salento, il più grande museo a cielo aperto d'Italia.

Un’altra salita conduce verso nel cuore di una terra antica come il tempo, a Martignano, avamposto della Grecìa Salentina. Sulla strada che porta a Martano si trova la Specchia dei Mori, o Segla tu demonìu (la Specchia del diavolo), una delle grandi specchie del Salento, costituita da massi di differenti dimensioni, ammassati uno sull’altro, fino a formare un cumulo, utilizzata molto probabilmente come struttura di avvistamento. Un luogo intriso di leggende e circondato da un alone di mistero, tra superstizione e magia. Dal profano al sacro, con la tappa d’obbligo al monastero cistercense di Martano, immerso nella pace degli ulivi secolari, per bere un sorso d’acqua della fontana custodita all’interno e lasciare una moneta come offerta (come ogni viandante), prima di ripartire verso Borgagne e Sant’Andrea con i suoi faraglioni, altro luogo di una bellezza estrema.

Con il passare delle ore il caldo inizia a farsi sentire, con la maglietta che si incolla alla pelle, e nel silenzio delle litoranea semi deserta risuona il ritmo dei passi e del respiro. Una solitudine interrotta da un incontro inaspettato, con due amici che ti regalano una bottiglietta d’acqua, bene preziosissimo in una lunga corsa in solitario. Dopo la discesa di Frassanito il sole luccica sui laghi Alimini, con le spiagge ancora affollate di turisti e nostalgici dell’estate. Lungo la strada verso Otranto un’altra piccola sosta, con un’anziana signora che, tra un sorriso e una benedizione materna, indica una fontanella per bagnarsi e dissetarsi, simbolo tangibile dell’antica ospitalità salentina.

Dopo una manciata di chilometri Otranto si mostra con tutta la sua bellezza senza tempo, città di luci e ombre e un'architettura amplificata dallo Scirocco, la più orientale d'Italia, con un'antichissima cattedrale piena di mistero. Otranto e suoi martiri. Il primo, stando alle cronache del tempo, fu ucciso a mezzogiorno, l'ora meridiana in cui “i demoni scelgono di rivelarsi”. E’ tra le antiche piazzette, le robuste mura a picco sul mare, il mitico castello immortalato dal romanzo nero di Horace Walpole, i suoi vicoli, il cielo blu verso cui si staglia l’architettura bizantina e romanica, che la luce domina Otranto come un alchimista domina i propri elementi e il tempo sembra un gigante immobile. 

Dopo le suggestioni idruntine inizia l’ultimo tratto, con un lungo tornante per immettersi lungo la strada che porta a Sud Est, lambendo la vecchia cava di Bauxite e i suoi giochi di colori, con il rosso acceso della terra che si specchia nell’acqua cristallina, creando uno scenario da fantascienza. Gli ultimi chilometri, dominati dal vento e da una terra arida e pietrosa, sono allietati da una vista che toglie il fiato, con il Salento che si fa Grecia e un mare azzurro come i sogni. Un ultimo sforzo prima della meta: finis terrae, Capo d’Otranto o Punta Palascìa e il suo faro, a raccontare storie di mare e di migranti, di vento e fuga, di traffici e viaggi, dove nei giorni tersi di tramontana l’Albania sembra così vicina da poterla toccare con un dito. Il viaggio finisce dopo quasi 60 chilometri con il premio più bello, lo sguardo pieno di amore di un bimbo e l’abbraccio di chi sai che ha compreso che correre, molto spesso, non significa fuggire ma scoprire, se stessi e il mondo che ci circonda.

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