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Giovedì, 25 Aprile 2024
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Una stagione nata male e finita peggio. Ripartire dai fondamentali: cuore e gioventù

Per il secondo anno consecutivo la serie B è sfumata in finale. A Frosinone gli episodi sono stati decisivi e la condotta dei padroni di casa provocatoria. Bisogna mettersi al lavoro sul medio periodo per uscire fuori dal pantano della Lega Pro

LECCE – Persa sul campo una partita decisa dagli episodi, al Lecce sono saltati anche i nervi. Inizia quindi non dal risultato, ma dal parapiglia a fine gara la riflessione sulla stagione che si  chiusa,  per la seconda volta consecutiva, con il Lecce condannato alla permanenza in Lega Pro, che dalla prossima stagione ripartirà con la formula rinnovata dei tre gironi e senza più differenza tra Prima e Seconda divisione.

Sarà pure sfuggito ai commentatori di Rai Sport – sempre molto acidi nei confronti dei salentini, tanto che cancellare il canale dall’elenco del digitale sarebbe una protesta civile e pacifica per la qualità dimostrata di un servizio pubblico che dovrebbe essere imparziale - e forse anche agli ispettori federali che si spera potessero esserci in tribuna e anche a bordo campo, tra quelle centinaia di persone tra steward (pochi comunque per l’importanza della gara), forze dell’ordine, fotografi, personale comunque riconducibile alla società di casa e tifosi che sono entrati in campo subito dopo il goal di Frara, quando mancavano quattro minuti alla fine del secondo tempo supplementare, facendo in modo che lo svolgimento dello scorcio mancante di partita fosse tutt’altro che regolamentare.

Umanamente lo si può capire: conquistare la serie B contro una “corazzata” come il Lecce è una grande soddisfazione per un sodalizio la cui nobiltà calcistica inizia e finisce nelle comparsate in cadetteria. Quello che però non si può accettare, e che anzi va denunciato perché a chi di dovere fischino le orecchie (a Lecce non siamo fessi) è l’atteggiamento provocatorio ad oltranza tollerato in campo e appena al di fuori del terreno di gioco: Beretta è stato preso a calci sin dai primi minuti. Non erano passati nemmeno 120 secondi dall’inizio quando sul taccuino è stata annotata la prima entrata da dietro ai suoi danni.

Un fallo intenzionale, quello subito dall’attaccante leccese – peraltro in una zona del campo “innocua” - nel senso che la diceva lunga sul trattamento che gli sarebbe stato riservato: l’arbitro invece di tutelare l’atleta superiore dal punto di vista tecnico ha lasciato che venisse martoriato per tutta la durata del match fino alla provocazione finale. Perché se il tentativo di reazione plateale all’ennesima scorrettezza di Blanchard  è ovviamente da censurare, il livido sul suo zigomo sinistro (ben visibile nella fotogallery) è la conseguenza del colpo gratuito e volontario che aveva appena ricevuto al volto. E stendiamo un velo pietoso anche sulla bottiglia d’acqua tirata all’indirizzo di Doumbia dalla Tribuna centrale, dietro la panchina dei locali, da qualcuno che era seduto appena sotto il palchetto di un’emittente locale.

La direzione di Ros, sebbene non macchiata da gravi errori su episodi tecnici, è stata tenacemente casalinga perché ha consentito ai locali di assumere un atteggiamento duro e provocatorio: difficile spiegarsi altrimenti il fatto che il primo cartellino giallo per i padroni di casa è stato estratto al minuto 87 per una patetica sceneggiata di Curiale in area di rigore, quando già erano stati sanzionati, nell’ordine, De Rose, Beretta, Martinez, Lopez e Abruzzese.

Insomma, se è vero che il clima da caccia all’uomo che si è scatenato negli ultimi minuti del secondo tempo supplementare - soprattutto nei confronti di mister Franco Lerda che giustizia se la voleva fare da solo - non ha condizionato il risultato maturato sul campo, non si può considerare un semplice carosello paesano quanto andato in scena al “Matusa” dove è stato anche impedito, di fatto, ai calciatori del Lecce di andare a salutare i propri tifosi – corretti, passionali e leali, la faccia migliore di questa finale – perché i supporter gialloblu scorrazzavano pericolosamente fino sotto il settore degli ospiti. Ed è stato probabilmente uno di questi a colpire con un calcio alla nuca, proditoriamente, il fotografo ufficiale del club salentino, Marco Lezzi, costretto a farsi medicare e poi visitare (a lui la solidarietà e la vicinanza di tutta la redazione di LeccePrima). Ma il peggio era già accaduto, sebbene la notizia si sia diffusa solo a fine gara: nell'intervallo tra primo e secondo tempo, forse in seguito ad un litigio, un supporter frusinate di 45 anni è rimasto vittima di una caduta in curva Nord. Le sue condizioni sono apparse subito gravissime.

Detto doverosamente quanto è sfuggito ai dispensatori di morale calcistica che discettano a domicilio a furia virtuosismi letterari, veniamo al fatto tecnico. Il Frosinone ha vinto la finale confermando le qualità che aveva già dimostrato di avere durante la stagione: una condizione fisica notevole, una capacità camaleontica di adattarsi alla varie fasi del match limitando i danni quando il vento è contrario, un buon parco giocatori assemblato con un giusto mix di esperienza per la categoria e gioventù – età media, ieri, di poco meno di 25 anni contro i quasi 29 del Lecce – e anche tanta, tanta fortuna nei momenti decisivi.

Come nell’occasione del palo di Beretta, 5 minuti dopo il vantaggio dei giallorossi. Con il raddoppio i salentini avrebbe avuto la strada in discesa e l’incontro praticamente in mano, potendo giocare nel modo più congeniale ad una partita del genere, il contropiede. I ciociari, che la buona stella l’hanno avuta non solo ieri, sono stati bravi comunque a farsi trovare sempre con più benzina nelle gambe quando gli altri erano a corto di fiato e con più "fame" di risultato: in questo modo hanno assecondato la fortuna, mettendo in cassaforte risultati come la vittoria con il Pisa nel ritorno della semifinale (gran goal di Paganini) e anche della finale contro il Lecce, oltre a numerose altre per tutto l’anno.

Di contro il Lecce ha palesato limiti, tanto ieri quando negli ultimi due mesi, nella costruzione del gioco. Con l’attaccante di riferimento, Miccoli, bersagliato da acciacchi muscolari che ne hanno condizionato tenuta e rendimento, con Bogliacino comunque stanco e privato di una precisa connotazione tattica, con elementi come Bellazzini e Sacilotto messi per quasi tutto il campionato fuori causa da infortuni piuttosto seri, e con Beretta e Doumbia chiamati a un sacrificio molto dispendioso nell’organizzazione di gioco voluta dal tecnico, i giallorossi non sono stati in grado di esibire nell’ultima parte del torneo un’attitudine offensiva costante che consentisse, almeno all’occorrenza, di occupare stabilmente la metà campo avversaria.

Ai mediani è stato richiesto un lavoro massacrante, la linea dei tre dietro la punta ha perso di brillantezza col passare dei mesi, e resta un dato oggettivo il fatto che le cose migliori si sono viste quando la squadra è stata disposta con due attaccanti di ruolo, con un attaccante compagno capace di sostenere Miccoli, di alleggerirlo da alcuni compiti di copertura e di metterlo in condizione di agire in realtà come seconda punta. Sembra dunque, alla resa dei conti, che l’allenatore sia rimasto vittima nell’ultimo periodo dei suoi convincimenti tattici, sebbene il merito di aver realizzato una rimonta che a ottobre aveva dell’incredibile è sicuramente farina del suo sacco e non si può dire diversamente.

savinotesoro-2Il peccato originale di questa seconda stagione buttata alle ortiche in finale, sta probabilmente nella partenza ad handicap, conseguenza di un allestimento tardivo dell’organico, e delle precarie condizioni di molti dei calciatori che poi invece hanno fatto la differenza (uno per tutti, Papini). Queste premesse hanno determinato il fallimento della gestione Moriero, che comunque immune da responsabilità non è: forse con un paio di pareggi sarebbe stato scritto, ieri, un altro finale. Non è certo facile, di questi tempi, completare una rosa in piena estate soprattutto se si chiede a nomi “eccellenti” di giocare in Lega Pro. Sono pochissime le formazioni che partono al completo sin dalla prima giornata. Tra rifiuti, tentennamenti e limitate disponibilità economiche, il compito di incartare un pacchetto competitivo non è semplice per nessuno. Tanto più se ti chiami Lecce.

Allora sembra giunto il momento di formulare un primo piano di medio periodo, anche a costo di un sacrificio delle ambizioni sportive nell’orizzonte immediato. Più giovani insieme a qualche chioccia determinata a fare del Lecce la missione della sua vita calcistica (resti solo chi ha pretese ragionevoli e soprattutto molto da dare alla causa), sotto una guida tecnica finalizzata non alla risoluzione di un’emergenza ma alla realizzazione di fondamenta solide nel terreno paludoso della Lega Pro: bisogna ritrovare il piacere di insegnare il calcio e giocarlo come si deve.

L'ultimo atto: prima la gioia, poi la disperazione

Nelle prime due stagioni della gestione Tesoro sono stati commessi diversi errori: di organizzazione, di tempismo nelle scelte, ma sempre per mancanza di esperienza. Sia sempre ben chiaro, però, agli smemorati cultori di un passato recente, che se siamo in Lega Pro non è colpa della famiglia originaria di Spinazzola ma trapiantata nel Salento. Se una terza annata agonistica ci sarà - e dopo la conferenza di giovedì scorso di Antonio Tesoro non dovrebbero esserci dubbi – è bene che sia messa a punto sin da subito e in prospettiva, mettendo a frutto quanto appreso a suon di delusioni. Testa bassa e pedalare. Non serve un anno di transizione, ma di rifondazione: prendere un impegno significa portarlo avanti nel migliore dei modi. Nessuno chiede più la luna, solo di non vivere alla giornata. Dopo due anni come quelli appena trascorsi è il momento di riprogrammare un nuovo percorso. Con lucidità.

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