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Il Lecce si ferma al palo, la Lazio lo fa sprofondare

Tre pali colpiti dai salentini, che però non devono ingannare: la manovra è lenta e stentata, i biancocelesti vincono con merito. Grazie alle reti di Foggia e Kolarov. Ed ora è zona retrocessione

Come una rondine non fa primavera, tre pali non fanno una partita. E infatti in un "Via del Mare" in formato freezer, il Lecce affonda, meglio sprofonda. Resuscitando una Lazio vivace al punto giusto e ritagliandosi un poco lusinghiero spazio dietro la lavagna: terzultimo della classe. Finisse oggi, addio sogni di gloria. Che poi gloria, da queste parti, altro non sarebbe se non un'onesta salvezza. Traguardo che si allontana di pari passo con una regressione a livello di carica agonistica che desta inquietudine. Beretta voleva una squadra rabbiosa, ma alla fine l'unico arrabbiato è lui. Che ammette: pessima partita. Gioco, poco e niente, tolti i primi dieci minuti. E se rispondesse ad una legge scientifica l'equazione secondo la quale la fortuna aiuterebbe gli audaci, allora sarebbe persino sacrosanto ammettere che è giusto così: tre tiri, tre legni, nessun gol. Altro che sventura: la rete suonerebbe come un premio eccessivo per una squadra che di audacia ne dimostra ben poca. Irritante, nel giorno in cui si chiedeva una risposta risoluta.

Ma c'è altro da dire. Se una formazione già costruita con poco criterio in sede di campagna acquisti si riduce a tentare imprese titaniche contro avversari di caratura superiore, un po' è perché se lo va a cercare. La dura legge del contrappasso, se ti permetti di elargire doni alle rivali dirette (leggi Torino e Chievo). Arrivasse il Lecce a questo confronto con quei quattro punti in più, invece di regalarli su un piatto d'argento, forse sarebbe un'altra storia. Perché vivere stretti sotto un torchio, obbligati a non sbagliare, può generare proprio l'effetto contrario. Specie se si scarseggia in carattere. Ed è Caserta, a fine gara, a dirlo. "Forse è un fatto mentale". E allora, è una squadra fin troppo fragile? Anche, forse. Ma alla base ci sono limiti tecnici, sempre più evidenti, ogni giornata che passa. Senza gioco di fasce e con i soli lanci alla bell'e meglio è come cercare un ago in un pagliaio dove qualcuno abbia pure spento la luce. Anche perché manca un faro che illumini l'azione. E l'agognata catarsi fa a farsi friggere. Non passa così dalla Lazio la rimonta del Lecce. Anzi, viceversa.

Una formazione con soluzioni offensive obbligate (assenti per infortunio Castillo e Papa Waigo) si presenta con un 4-3-1-2 che convincerà poco. Benussi, Polenghi, Stendardo, Fabiano, Giuliatto. E poi Caserta a destra, Edinho in mediana (lotta, questo brasiliano, ma a volte sembra un predicatore nel deserto), Ariatti. Giacomazzi dietro a Tiribocchi e Cacia. Delio Rossi risponde con una Lazio a trazione anteriore. Nel suo 4-3-3 spazio a Muslera tra i pali, Lichtsteiner, Siviglia, Cribari e Kolarov in difesa, Brocchi, Ledesma e Matuzalem a centrocampo, Foggia, Zarate e Pandev in avanti. Recuperati Ledesma e Pandev, Rocchi si accomoda in panchina. L'avvio è scoppiettante ed il Lecce, per la verità, manovra talmente bene un pallone appena battuto dopo il calcio d'inizio che quando Caserta mette fuori causa la difesa laziale con un taglio in piena area, Cacia si trova tra i piedi il pallone della vita. Scatto, botta sul primo palo e… palo. Appunto. Sono passati poco più di 20 secondi. E sarà una delle rare incertezze della retroguardia ospite.

La Lazio si riprende subito dal colpo, talmente presto che all'8' Pandev e Zarate triangolano in velocità che è una bellezza in mezzo agli imbambolati centrali salentini. L'argentino calcia al volo un pallone che sbatte con violenza contro la traversa. Neanche farlo apposta, e due minuti dopo è già vantaggio biancoceleste. Ancora un'incursione in area tra i difensori in affanno, ma questa volta il protagonista del film è Foggia che spara al volo verso il lato sinistro un pallone che Stendardo devia a destra. Quel tanto che basta per ingannare Benussi, già proiettato verso il primo palo e costretto ad un inutile colpo di reni all'ultimo istante. Palla in fondo al sacco. E ritornano i fantasmi di sempre. Anche perché il Lecce accusa una mazzata che lo piega sulle gambe, mentre i capitolini prendono possesso del centrocampo e fanno sparire la palla. Accade così che ad attaccare sono sempre e solo quest'ultimi, quando dovrebbe essere logico il contrario. Fino al raddoppio del 17', annullato però per fuorigioco: tiro di contro balzo di Brocchi, Pandev irrompe di testa solo, soletto e mette dentro. Tutto inutile. La terna dice che non vale.

Solo verso la mezzora il Lecce ha un'altra chance. Niente a che vedere con un'azione impostata, però. Semplicemente, in mezzo ad un'area intasata come un naso d'inverno sotto i colpi dell'influenza, Tiribocchi pesca dal cilindro magico uno dei suoi trucchi: si gira di scatto e scaglia un rasoterra letale con Muslera fuori causa, ma il pallone impatta contro la base del legno. E sono due. Un minuto dopo, però, sul capovolgimento di fronte, Foggia pesca un ispirato Pandev, la cui girata improvvisa è deviata in angolo da Benussi. Il finale del primo tempo si chiude con uno sterile possesso palla del Lecce, che però non trova mai il varco giusto.

Ripresa, Beretta cambia carte, ma non metodo. E prova Vives al posto di Giacomazzi. Ma non passano che cinque minuti d'orologio, e Kolarov s'inventa il gol della domenica. Scende sulla sua sinistra indisturbato, osserva al centro e visto che non c'è nessuno, pensa bene di tirare una sassata a giro sotto l'incrocio opposto. Benussi è piegato per la seconda volta. La risposta del Lecce è affidata ad una girata di testa di Cacia che lambisce il palo. Poi, Beretta stupisce tutti e infila in campo Dusan Basta, acquisto di giugno, ma dato per disperso. Rileva un Polenghi in grosse difficoltà, con il compito di dare un po' di propulsione sulla fascia destra. E lui ci prova, certo, ma gli manca il ritmo partita. Questo mentre la Lazio, paga del doppio vantaggio, non deve fare altro che rallentare il ritmo e controllare i frustranti tentativi dei padroni di casa di cercare un'apertura per vie centrali. Ma lanci e cross sono spesso fuori misura, scambi e palleggi stroncati sul nascere con nonchalance al limite dell'area. Disarmante la lentezza della manovra.

Va avanti così a lungo, tra sonori fischi e inviti a tirare fuori gli attributi che si levano dagli spalti nei minuti che scorrono tediosi senza lasciare traccia nella memoria (e se il morale è già basso, le notizie dagli altri campi non aiutano). Al 24' entra anche Munari, che rileva Giuliatto, mentre il primo cambio la compagine romana lo effettua al 28', quando Rocchi prende il posto di Zarate. Qualche sussulto lo danno nell'ordine Basta (colpo di testa ravvicinato su corner, respinto da Muslera) e sul fronte opposto Foggia, il cui tiro è respinto da Benussi. Poi, una cannonata di Ariatti dalla distanza (38') si schianta sul palo. E fanno tre. L'ultimo spasmo di finta vitalità, prima di veder Cacia uscire in barella a causa di uno scontro di gioco, senza possibilità di sostituzione (cambi ormai tutti effettuati). Pochi minuti di recupero, poi una salva di sibili di disapprovazione dalle gradinate. Da oggi il Lecce naviga a vista in piena zona retrocessione. E non è con questo atteggiamento che si esce dalla crisi. Ormai è palese che sprazzi di bel gioco sono qualcosa da lasciare ad un domani migliore. Mai precludersi un futuro. Ma per il presente, almeno, è lecito domandare più spirito di competizione.

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