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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Un tuffo nella storia con lo sguardo al futuro. Intervista a una bandiera: Claudio Luperto

Calciatore di talento, amato dai tifosi giallorossi, tra i protagonisti della prima storica promozione in serie A, ha oggi 54 anni ed è reduce da due stagioni sulla panchina della Primavera dell'Avellino: "Mi piacerebbe un giorno sedere sulla panchina del mio Lecce

LECCE – Nella storia del calcio cittadino un spazio particolare lo occupa Claudio Luperto. Vestiva la maglia giallorossa quando il Lecce ha conquistato prima storica promozione in serie A  e di lui sono sempre stati apprezzati il carattere schivo, che lo ha sempre reso una sorta di anti-protagonista, ma anche le qualità tecniche che gli permettevano di dare del tu al pallone.

Nella stagione 1982-83 la Curva Nord, allora agli albori e piena di entusiasmo, gli dedicò uno striscione che resta impresso, come pochi altri, nella memoria dei tifosi: “Claudio la Nord ti ama”. In una giornata importante per il club giallorosso, sancita dalla presentazione della nuova società, LeccePrima ha deciso di intervistarlo per unire idealmente un passato di passione e sudore ad un futuro di rinnovate soddisfazioni.

Mister Luperto, oggi si è aperta una nuova pagina nella storia del calcio di questa città. Lei che è leccese e che è stato un idolo della tifoseria, che sensazioni ha?

Sono nato a Lecce e con il Lecce ho vissuto il mio periodo calcistico più bello della mia carriera perché oltre a giocare per la mia città mi sono veramente sentito amato dalla mia gente e addirittura abbiamo raggiunto la serie A, fino ad allora un sogno. Oggi dopo un periodo buio del calcio leccese, sapere che si stia intraprendendo una nuova strada, con persone serie e stimate della nostra città, non può che rendermi particolarmente felice e sicuro che torneremo ai livelli del calcio che ci hanno già visto protagonisti.

Cosa è mancato, secondo lei, in queste ultime tre stagioni, e cosa è stato sbagliato?

Dire cosa è stato sbagliato, non conoscendo la situazione dal di dentro, non mi sembra corretto, ma credo che, senza voler offendere nessuno abbia influito la poca esperienza a livello societario e calcistico dei proprietari, nei momenti clou delle varie stagioni. A questo naturalmente si possono aggiungere anche errori sul campo che però fanno parte del gioco.

Veniamo a lei: ha 54 anni e gli ultimi due li ha trascorsi nella Primavera dell'Avellino dopo varie anni nelle giovanili. Quale è la sua ambizione adesso?

Ho allenato tra settori giovanili e prime squadre per diversi anni e oggi mi sento pronto per qualsiasi sfida, sia con i giovani che con i professionisti. Se dovessi parlare di sogno invece, direi che mi piacerebbe un giorno potermi sedere sulla panchina del mio Lecce a lungo e raggiungere le soddisfazioni migliori. Mi piacerebbe trasferire, dopo averla indossata per oltre 20 anni tra giocatore del settore giovanile, della prima squadra e allenatore nel vivaio, l’amore e la passione che bisogna avere vestendo la maglia giallorossa.

luperto2-2Rispetto a quando giocava, tanto è cambiato dentro e fuori dal terreno di gioco.  Cosa rimpiange di quegli anni?

Innanzitutto rimpiango il fatto che siano passati così in fretta, ma quello che mi dispiace e mi fa capire tante cose è che oggi gran parte dei ragazzi non ha più il senso del sacrificio: molto spesso vogliono tutto e subito perdendo così, secondo me, quella spinta necessaria a far crescere nel migliore dei modi sia per quanto riguardo i valori morali che gli aspetti tecnico-tattici. E’ vero anche che un po’ di responsabilità è di questa società e del mondo che sta cambiando sempre più velocemente senza dare il tempo di fermarsi e riflettere. Il compito di istruttori competenti e carichi di passione diventa quindisempre più importante per aiutare il processo di crescita.

Prima c'erano il libero, lo stopper, il fantasista e il tornante, oggi dominano le alchimie tattiche e la fisicità. In che direzione va questa calcio?

A dire il vero questi ruoli esistono ancora anche se in molti casi camuffati. Ogni allenatore dovrebbe cercare di vincere la partita sfruttando al meglio le caratteristiche dei propri giocatori, e se questi hanno un ruolo dovrebbero essere sfruttati in quel modo. La fisicità è diventata importantissima, ma per fortuna ci sono giocatori “piccoli” che esaltano questo gioco meraviglioso e non lo rendono monotono. Penso anche che, per quanto riguarda il calcio in generale, mentre in Europa stanno tutti migliorando, in Italia siamo diversi passi indietro perché non si è avuto ancora il coraggio di dare una spinta importante e necessaria alla crescita dei vivai dove insegnare soprattutto la tecnica applicata e anche a diventare uomini.

A quale tecnico o a che scuola calcistica ispira le sue convinzioni calcistiche?

Io amo il calcio propositivo e coraggioso soprattutto nel settore giovanile, ma anche con la prima squadra. Le mie formazioni devono andare in campo sempre per vincere, “fare” la partita senza speculare. Il mio tecnico preferito è Guardiola. La scuola è sicuramente quella che in questi anni ho studiato di più e cioè la “cantera del Barcellona”, dove iniziano un percorso che li vedrà portatori di qualità tecniche e tattiche ma anche umani, grazie alle quali saranno sicuramente pronti ad affrontare qualsiasi campionato. 

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