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Lecce suicida all'ultimo secondo. Grosseto ringrazia

Prova non del tutto convincente, ma tantissime le occasioni da rete. Tiribocchi apre le danze, ma una collezione di papere difensive proprio allo scadere regala al Grosseto il pareggio

Il grosso, grasso suicidio con il Grosseto è una pellicola che a riavvolgerla e rivederla una, dieci, cento volte, dà sempre lo stesso risultato: non c'è trucco, non c'è inganno. Sull'erba del "Via del Mare" il Lecce semina un sacchetto intero di palle gol, ma al momento della mietitura deve dividere il raccolto. Un involontario atto di carità a vantaggio dei toscani, che si concluderà con una preghiera alla stampa: pacatezza, comunque, nei giudizi. "Io ho i capelli bianchi e posso reggere alle pressioni". Almeno in parte Papadopulo accetta le legnate, ma preferisce che a prenderle sia solo lui, invocando serenità per l'ambiente. Ci sta che una chioccia difenda i suoi pulcini, è istinto naturale. Ciò non solleva dalla mortificazione per un risultato che sfugge di mano per pura forma di autolesionismo.

Non è il Grosseto a pareggiare l'incontro, ma il Lecce, per l'ennesima volta, a non vincerlo. E questo persino al di là della collezione di scivoloni e papere proprio lì, sul filo di lana, quando già le sciarpe sono festose al cielo e a 20 secondi dalla fine dei giochi arriva l'imprevisto harakiri. Questa volta è stata una mezza catastrofe fatta in casa, è vero: goffo stop di Fabiano, scivolata conclusiva di Schiavi e Rosati che si allunga come un elastico fino allo spasmo per tentare di arrivarci almeno con un'unghia. Ma la prossima volta la mazzata potrebbe venire dalla rapida incursione di un'ala, dall'elevazione di una torre, da un'invenzione magica di un fantasista. Tutto può succedere, quando il risultato resta aggrappato ad un margine striminzito fino all'ultimo secondo.

Le formiche, saggiamente, si mettono al riparo da imprevisti raggranellando scorte per l'inverno, e non lesinano in sforzi. Il Lecce questa politica ancora non riesce ad attuarla, nei suoi 90 minuti di gara. La scarsa incisività sotto rete è un difetto di fabbrica che va corretto. Perché fallire una caterva di occasioni può valere solo alle recriminazioni del poi: in classifica, contano i punti, e i punti si fanno con il gol. Non va bene neanche tirare sassi ai mille fantasmi del caso: ora il vento, ora la pioggia, ora la ‘bestia nera di turno', ora la sfortuna. E' un gioco che non funziona, quando la situazione venga a ripetersi con disarmante sistematicità. E l'unica verità assodata, al momento, è che il Lecce non sa chiudere le gare, anche quelle più semplici. Avrà ragione il presidente Semeraro, quando parla di scarsa concentrazione?

Ed ecco così il Grosseto, avversario non certo trascendentale. Neanche il fatto che sia reduce da una sorprendente vittoria con il Pisa mette paura più di tanto. Accade infatti esattamente quello che ci si aspetta: serra le fila e tappa i buchi, puntando al contropiede. Quello che fanno in molti, specie dopo la scuola Ascoli. In questo caso, poi, abbondano anche le imprecisioni. L'idea che l'avversario offre di sé è di mantenersi in equilibrio più sulla determinazione del gruppo che sulla tecnica. Ed infatti lo spettacolo messo in piedi è una sagra di passaggi errati, con un noioso contorno di spezzettamento del gioco. Anche il Lecce ci mette del suo: in formazione rimaneggiata (spiccano Fabiano centrale accanto a Schiavi ed Esposito, per una difesa completamente reinventata, ed Ariatti sulla destra), non offre nel primo tempo nulla di meglio di quanto visto in altre circostanze. Le cose più belle sono nei primi secondi di gara (scambio in velocità sull'asse Abbruscato- Ariatti-Tiribocchi, con tiro finale di quest'ultimo sopra la traversa) ed intorno alla mezzora, quando i salentini iniziano a tirare fuori un po' di carattere. Spicca una stoccata rasoterra di Ariatti, sulla quale Bressan si distende bene, deviando con la mano sinistra. La curva canta: "Sveglia ragazzi".

Nella ripresa, poi, è tutta un'altra storia. Il Lecce inizia a macinare occasioni su occasioni, mentre il Grosseto si disunisce e lascia intravedere tutta l'inconsistenza delle sue retrovie. Ma il fallimento delle chance collezionate è, in certi casi, clamoroso. Come quando Munari trova il Tir tutto solo in area, spostato sulla destra. Il tiro sull'esterno della rete del gol fornisce solo l'illusione. Zanchetta prova quindi la pennellata su punizione, ma Bressan vede tutto e compie un mezzo prodigio. Solo una volta Rosati deve scaldarsi le mani, e lo fa da campione. Il Grosseto capisce che può sbilanciarsi, ma viene punito, proprio a metà della ripresa. Ancora Bressan in evidenza su Abbruscato: si tuffa sul perfetto colpo di testa, ispirato da un lancio di Giuliatto, ma respinge corto. Da posizione decentrata il Tir inventa il diagonale di sinistro che fa esplodere lo stadio, poi deve abbandonare per crampi. E' il delirio. I salentini continuano a premere sull'acceleratore, aggiungendo al pallottoliere altre nitide opportunità. Quando il cronometro sta per compiere i suoi ultimi giri, Abbruscato si ritrova a tu per tu con Bressan, ma sul tuffo di piede il portiere fa scudo. E neanche Valdes (entrato per il Tir) riesce a dare la chiusura definitiva ai giochi. La sua serpentina in mezzo a tutta la retroguardia toscana è da palpitazione, ma sul tiro conclusivo c'è ancora una volta il corpo di Bressan.

E' proprio in quel momento, con l'ennesimo colpo mancato, che s'insinua come un serpente strisciante la rivalsa avversaria. Sgoccioli di tempo che colano dall'ultimo minuto di recupero: Paulinho ringrazia Fabiano, che prova ad intercettare, invece di spazzarlo in tribuna, un pallone ballerino, e lo mette in mezzo alla rinfusa. I difensori del Lecce, in affannoso recupero, si avventano istintivamente su quel diagonale prima che possa giungere alle punte avversarie. Ad arrivare all'appuntamento è Schiavi, che però devia il pallone quel tanto che basta per deviare anche il corso della storia della gara. L'autogol sancisce il pareggio. Sfuma l'aggancio in alta quota.

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