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Mondiale, tra silenzio di Mandela e chiasso da vuvuzela

Mandela, colpito da un grave lutto, ha preferito la riservatezza ma il campionato del mondo si è comunque aperto in maniera suggestiva tra spettacolari coreografie e l'ossessivo suono della vuvuzela

Non ho scelta, seguo la cerimonia di apertura del Campionato del Mondo sulla Rai che si affida a Gianni Cerqueti e Marino Bartoletti, il quale si conferma subito un super esperto in formato mondiale (appunto) di musica: dagli annali di Sanremo all'afropop nulla sfugge alla scienza del noto giornalista sportivo. La vera notizia, tuttavia, ha fatto il giro del globo giù da qualche ora: Mandela, a causa della tragica scomparsa della bisnipote, non partecipa all'apertura. In un attimo svanisce l'attesa quasi mistica per il momento simbolicamente più importante al quale, non lo nascondo, avrei assistito con il sorriso stampato in faccia e, forse, la pelle d'oca.

Lo spettacolo allestito nello stadio di Johannesburg scorre piacevolmente: molto suggestivo, con pochi fronzoli. Bene fa Bartoletti a ricordare che la straordinaria vita di Mandela ha incrociato le traiettorie del pallone da calcio dietro le sbarre di una cella, quella del penitenziario di Robben Island dalla quale assisteva agli incontri tra le squadre dei detenuti. Opportunità che poi gli venne negata dai suoi sadici e razzisti carcerieri che eressero un muro per impedirne la vista non appena si resero conto della grande importanza che Mandela attribuiva a quelle partite. Meno apprezzabile lo scivolone retorico di Cerqueti che, davanti alle immagini delle coreografie, esclama: "Non c'è ufficialità, c'è voglia di vivere!". Un po' come dire che "i neri hanno la musica nel sangue". Elementare, Watson!

Sudafrica - Messico. I miracoli sportivi difficilmente si ripetono due volte, a differenza dei nomi. Steven Pienaar è uno dei giocatori più noti della squadra sudafricana di calcio; Francois Pienaar era il capitano di quella di rugby che, sulla scia dell'entusiasmo popolare per l'abolizione dell'apartheid e nella mistica consapevolezza di vivere un passaggio fondamentale della Storia, vinse i mondiali del 1995, sconfiggendo in finale gli imbattibili neozelandesi. Un'epopea raccontata in maniera commovente in "Invictus", tributo cinematografico di Clint Eastwood a Nelson Mandela. Quella squadra era tutta di bianchi (tranne uno), questa tutta di neri (tranne uno, ieri in panchina e fischiato lo scorso anno nella Confederations Cup). Fate voi.

Il Messico parte in quarta giusto per chiarire che le ambizioni della vigilia non sono solo proclami. Due, tre occasioni per gli uomini di Aguirre che esprimono una supremazia evidente ma piuttosto sterile, tutta incentrata sui virtuosismi di Giovani e Vela. Dopo l'intervallo la gara si accende e nella maniera più sorprendente: Tshabalala (che in lingua zulu significa "regalo") se ne va sulla sinistra e con un bel diagonale trafigge Perez. Il pubblico del "Soccer City" va in estasi e il suono delle vuvuzela, che ricorda quello delle finali di Coppa Intercontinentale a Tokyo, diventa assordante. Almeno fino al pareggio di Marquez che, su ingenuità difensiva dei giocatori di casa, riporta in equilibrio il punteggio messo a rischio solo dal palo in extremis di Mphela. Non oso immaginare cosa sarebbe successo in quello stadio se il pallone avesse gonfiato le rete.

Uruguay-Francia. Partita bruttina, non c'è che dire. La compattezza granitica del modulo tattico della Celeste di Tabarez neutralizza il maggiore tasso tecnico dei Bleus che, si mormora, abbiano deciso di "boicottare" il 4-3-3 voluto da Domenech dopo uno scambio di vedute non proprio pacifico prima della gara. Gurcouff prova a fare Kakà, anzi, secondo me prova proprio ad assomigliargli fisicamente, mentre Ribery resta al margine della manovra limitandosi ad un paio di nevrotiche accelerazioni sulla fascia. E, se Anelka si mette a fare pure l'egoista, impossessandosi della sfera in una posizione di netto fuorigioco passivo con un suo compagno lanciato verso la porta, allora è abbastanza normale che l'occasione più ghiotta alla fine capiti allo spiritato Diego Forlan che praticamente da solo eleva la qualità tecnica non eccezionale della sua squadra.

Per i francesi un pareggio non proprio beneaugurante, considerata anche la preoccupante temperatura interna di uno spogliatoio piuttosto agitato; l'Uruguay, invece, può guardare con un certo ottimismo alla prossima gara con i padroni di casa del Sudafrica: una vittoria varrebbe una buona fetta di qualificazione.

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