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Giovedì, 28 Marzo 2024
Maglie Copertino

Estorcevano denaro con il “cavallo di ritorno”. In tre finiscono in carcere

Tre individui sono finiti nei guai con l'accusa di estorsione. I carabinieri della compagnia di Maglie hanno infatti eseguito le ordinanze di custodia cautelare nei loro confronti, al termine di alcuni indagini partite dai furti di autovetture nell'hinterland della cittadina

LECCE – Estorsioni con il “cavallo di ritorno”? Due le regole d’oro per andare sul velluto. Punto primo: mai scassinare un’auto, lasciando segni e provocando danni, piuttosto girare per l’intera mattinata fin quando non se ne trova una con le chiavi dimenticate dal proprietario, in bella mostra nel quadro. Punto secondo: mai agire sul proprio territorio, secondo una tradizione di vecchia scuola del crimine, ma recarsi altrove, dove non si è noti e non si rischia di pestare i piedi a “colleghi” dell’ambiente. Si sa mai torni utile un aggancio.

Secondo i carabinieri della compagnia di Maglie, Giovanni Maria Marra, 45enne, Marco Amaranti, 39enne e Salvatore Calignano, 69enne (i primi due di Copertino, il terzo di Nardò) avendo una certa esperienza di vita (sono tutti noti, il primo anche con una recente condanna), avevano adottato esattamente il sistema pocanzi indicato per fare affari. E che affari, perché per riconsegnare al proprietario ogni veicolo rubato, il pagamento del riscatto andava da mille 500 a 2mila 500 euro. Un prezzo variabile in base al valore dell’auto e alla sua età.

Non di rado con le vittime si sarebbe arrivati anche a trattative al ribasso, partendo da cifre alte fino a pattuire, alla fine, sui mille euro. L’importante era raggiungere l’obiettivo di fare cassa. E a chi rispondeva male, minacce e non solo. Qualcuno l’auto l’ha anche ritrovata senza scendere a compromessi, ma ormai irrimediabilmente arsa dalle fiamme.

DSCN3246-2L’indagine è partita dall’arresto avvenuto alla fine di marzo di Marra. A incastrarlo, un carabiniere in congedo, che memore di antiche battaglie non aveva ceduto al ricatto, rivolgendosi ai suoi colleghi in attività. Marra, per quel singolo tentativo di estorsione, a settembre è stato condannato a quattro anni e due mesi.

Solo che adesso per lui sono arrivate nuove grane, perché nel frattempo i militari della compagnia magliese, sotto la direzione del capitano Luigi Scalingi e del tenente Rolando Giusto, in un’inchiesta coordinata dal pubblico ministero Roberta Licci, hanno continuato a indagare senza sosta, fino a inserirlo in un contesto più ampio, in cui sono spuntati anche presunti complici. Calignano e Amaranti, appunto. Ma di favoreggiamento rispondono anche due vittime di furto con richiesta estorsiva, che non avrebbero collaborato con i carabinieri. E ora rischiano il processo. Sono due cittadini di Taviano e Sannicola.

Sono sei, invece, i casi in cui le denunce hanno permesso di accertare i reati. Amaranti, per ora, risponde di estorsione e furto di autovetture in concorso solo per un episodio. La sua figura, però, è attentamente al vaglio degli inquirenti operché da alcune intercettazioni telefoniche è emerso come fosse citato in qualità di “Marco capo”.  E questo potrebbe voler dire – ma è solo un’ipotesi investigativa, per il momento – che fosse lui a reggere le redini del gioco, da una posizione più defilata, e che gli altri, invece, fossero gli uomini attivi sul campo.    

I casi scoperti

Tutti i fatti si riferiscono al 2014. E tutti e tre sono accusati del furto di un Renault Kangoo, avvenuto il 26 marzo a Castrignano dei Greci e della tentata estorsione ai danni dei proprietari. Tentata, appunto, perché non avendo questi ceduto, l’auto è stata trovata distrutta dalle fiamme il 6 aprile.

Marra e Calignano, rispondono anche di altri cinque episodi. Il primo, quello della Fiat Panda asportata sempre il 26 marzo, ma a Scorrano, e rinvenuta integra l’8 aprile a Porto Cesareo. Anche in questo caso si parla di tentata estorsione, per il semplice motivo che è l’episodio per cui Marra è già stato condannato, quelli riferibile al carabiniere in congedo che ha sporto denuncia dando il via all’indagine. La novità sta dunque nell’inserimento nel fatto del presunto complice.

C’è poi un caso precedente, ma scoperto in seguito, quello di un Fiat Doblò, sottratto il 18 gennaio a Taviano e trovato distrutto dalle fiamme il 22 dello stesso mese a Porto Cesareo. Anche qui una tentata estorsione. Ancora: un Volkswagen Passat rubata il 28 febbraio ad Alliste e rinvenuta integra il 2 marzo a Nardò (anche qui tentata estorsione). E poi: furto di una Lancia Musa avvenuto il 1° marzo a Taviano e ritrovata intatta lo stesso giorno a Porto Cesareo. Qui l’estorsione sarebbe stata consumata. E sempre di estorsione consumata si parla per il caso di un Ford Transit, sottratto il 17 marzo a Sannicola e rinvenuto anche in questo caso integro due giorni dopo a Nardò. 

E’ chiaro che sono tutti casi per i quali gli investigatori hanno in mano prove sufficienti per procedere. La sensazione è che le vicende siano molte di più, ma difficili da ricostruire per la paura delle vittime a sporgere denuncia e la scarsità di altri elementi utili.  

Il modus operandi

Marra-4-3I carabinieri hanno ricostruito il “modus operandi”, secondo cui il copione era pressappoco sempre lo stesso. Calignano e Marra dopo essersi accordati per telefono, partivano a bordo dell’autovettura del primo (un’Audi A4) in direzione di svariati centri abitati della provincia di Lecce, a caccia di “prede”. Cioè – come detto -, le auto momentaneamente incustodite dagli stessi proprietari e con le chiavi a bordo. Sarà superfluo, ma vale quindi sempre il consiglio di non lasciare mai le chiavi in auto, anche solo per pochi istanti, magari quando ci si reca a fare una compera al volo. Occhi indiscreti e mani veloci possono essere sempre in agguato.

Tant'è. Individuato il mezzo che faceva al caso loro, Marra saliva a bordo e ripartiva velocemente. Come evidenziato nei tabulati telefonici, da quel momento in poi le loro utenze iniziavano ad avere contatti. E’ probabile che attuassero una staffetta facendo in modo che il veicolo “pulito”, cioè l’Audi di Calignano, precedesse quello rubato, condotto da Marra.

Quest’ultimo veniva poi nascosto lungo la fascia costiera da Sant’Isidoro a Porto Cesareo, in luoghi poco accessibili. L’identità del proprietario veniva rilevata dai documenti di circolazione a bordo delle auto. I nomi delle vittime, estratti il più delle volte dall’elenco telefonico delle utenze fisse. Qualora non fossero state presenti nell’elenco della Telecom, nessun problema: usando anche l’inganno e chiamando amici e conoscenti, alla fine reperivano le utenze mobili.

Il proprietario veniva così contattato per la richiesta di pagamento. A telefonare, da cabine di Nardò e Copertino, il più delle volte sarebbe stato Marra, anche se in alcuni casi le vittime hanno riferito che il soggetto del primo contatto avesse una voce differente rispetto a quello della successiva chiamata.

Se l’accordo veniva raggiunto, alla vittima venivano fornite istruzioni sulla modalità di consegna del denaro, che doveva essere depositato all’interno di un “barattolo di colore giallo”, già posizionato nei pressi di una pianta di ficus che si trovava nelle immediate vicinanze dell’ex esercizio pubblico Jolly Mare, a Sant’Isidoro.

Calignano-2All’interno del barattolo, la vittima avrebbe così rinvenuto la carta di circolazione, quale prova dell’effettivo possesso del mezzo da parte degli estorsori. Da considerare che loro stessi si definivano “persone serie”, come emerso in un’intercettazione. Professionisti del crimine che mantenevano la parola. Persone che ogni mattina si svegliavano con l’intenzione di cercare un’auto da rubare, con la stessa lena di un impiegato che va a timbrare il cartellino.

I veicoli venivano poi abbandonati in vie pubbliche, in modo che i proprietari potessero ritrovarle facilmente. E il mancato accordo generava l’unica, inevitabile conseguenza: auto in fiamme, nella zona di Porto Cesareo. L’attività tecnica ha permesso di accertare che in almeno sei casi Calignano e Marra (ma con il possibile supporto di altri individui, in un caso accertato da Amaranti), effettuavano estorsioni sempre nella stessa maniera.

Per quanto riguarda Amaranti, è stato tradito dalla sua voce. In una telefonata, mentre Marra parlava con la vittima, ricevuto il rifiuto a pagare, si sarebbe intromesso colmo d’ira, minacciando la vittima con offese. La consulenza tecnica prodotta dall’ingegner Luigina Quarta per conto della Procura ha permesso di attribuirgli quella voce. Sempre a proposito di Amaranti, interessante è quanto emerso durante i colloqui. La moglie di Marra, a quanto pare, cercava di evitare palesemente di intrattenere conversazioni con il marito che potessero avere come argomento il fratello, cioè per l’appunto Marco Amaranti.

Amaranti-2Ma in un caso la donna, venuta a conoscenza che nella rubrica del cellulare sequestrato al marito in occasione del suo arresto, aveva salvato l’utenza del fratello sotto la voce “Marco Capo”, avrebbe chiesto perché fosse il “capobastone”. Nella ‘ndrangheta è il ruolo di chi comanda una ‘ndrina, cioè il capo di una famiglia malavitosa. Chiaramente, in questi casi lo spessore criminale è più basso, ma ciò non toglie l’aspetto d’interesse investigativo. Ad ogni buon conto, Amaranti è l’unico posto ai domiciliari, proprio per via di un unico caso attribuibile a lui. Gli altri due si trovano in carcere. Marra vi era già ed è stato lì che i carabineiri gli hanno comunicato la nuova ordinanza di custodia cautelare.     

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