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Idrocarburi in mare, i retroscena: "Così abbiamo evitato il disastro"

Il 25 agosto s'è rischiato l'inquinamento di un vasto tratto di costa, ad Alimini e dintorni. Il comandante della guardia costiera di Otranto, Francesco Amato, svela tutti i dettagli sull'operazione e fa il punto sulle indagini

OTRANTO – Era il 25 agosto quando i bagnanti che popolavano il tratto costiero degli Alimini, rimasero disorientati di fronte al mare invaso da ampie chiazze di catrame. L’eco di quell’evento non s’è spenta e ancora tanti sono i lati oscuri. Non è chiaro, ad esempio, quale sia stata la nave di passaggio artefice del versamento di idrocarburi che ha messo in allarme l’intera popolazione. Le indagini sono ancora in corso, ma su molti aspetti, oggi, il comandante del porto di Otranto, intende fare luce di fronte ai lettori del giornale. Rispondendo personalmente anche a tanti commenti inviati dagli utenti nei precedenti articoli riguardanti l’episodio di cronaca (i cui link si trovano al sinistro lato della pagina, Ndr).

Il tenente di vascello Francesco Amato, romano, è a capo da poco più di un anno della guardia costiera di Otranto. Dottore in Scienze ambientali marine e ispettore abilitato per il naviglio nazionale ed internazionale, parla oggi da tecnico, superando la bagarre politica, per aiutare a comprendere cosa sia successo veramente e come si sono mosse le autorità. Scongiurando un danno ambientale e lottando contro il tempo. si era sotto la minaccia di una mareggiata, che avrebbe reso ancor ardue le operazioni.

-       Comandante, ci racconti come è andata in quel lungo weekend di due settimane addietro.

“Nel pomeriggio di sabato 25, lunghe strisce di catrame sono state rilevate, a tratti, lungo alcune spiagge poco a nord del porto di Otranto, per circa quattro chilometri di litorale. Due motovedette, la Cp809 e la Cp518), furono dirottate nelle zone di mare interessate. I nostri militari, invece, furono inviati lungo tutto il litorale di competenza. Le motovedette avevano il compito di ricercare le chiazze di catrame a mare per guidare il mezzo “Alce Nero” della società convenzionata “Castalia Ecolmar”, equipaggiata con apparecchiature anti inquinamento. La Cp809, inoltre, trasferì in mare i tecnici dell’Arpa, subito intervenuti per il prelievo dei campioni di idrocarburi. Sulle spiagge, intanto, affluirono i rappresentanti delle amministrazioni locali e i volontari. Il mare era ancora calmo, ma lo sarebbe stato solo per poco più di 24 ore, e questo imponeva azioni rapide ed efficaci”.

-       Perché e in che modo furono mobilitate le forze “di terra”?

“Rimanemmo molto colpiti dalla situazione, ne capimmo la gravità e coinvolgemmo subito il prefetto, i sindaci di Otranto e di Melendugno e tutte le associazioni di protezione civile e di volontariato presenti sul territorio, sulle quali puntammo fortemente.

Mi tornavano alla mente, infatti, gli studi effettuati sullo sversamento di idrocarburi della petroliera Exxon Valdez presso la riserva naturale detta “Prince William Sound” (Alaska) nel 1989, in un caso dalle proporzioni ovviamente diverse ed estremamente maggiori di questo. Lo Stato vinse la sua battaglia all’enorme sversamento di idrocarburi sulle pregiatissime coste del parco proprio con la volontaria partecipazione alle operazioni da parte di migliaia di cittadini americani. Le cronache raccontano che anche il nonno con il proprio gozzo, normalmente impiegato solo per andare a pescare con il nipote, contribuì agli sforzi della Us Coast Guard: comuni cittadini si riversarono lungo decine di chilometri di spiagge contaminate prestando tempo e braccia alle attività di bonifica delle squadre specializzate. Non fu la qualità dei soggetti coinvolti, cioè, ma il loro numero, a fare la differenza, per quanto i lavori si svolsero regolarmente sotto una direzione istituzionale. Se questo modello era risultato vincente per un inquinamento di tali proporzioni, pensai, tanto più lo sarebbe stato su scala ridotta”.

-       Qual è stata la risposta dei sindaci e di tutta la “macchina” delle amministrazioni locali?

“Pronta, unitaria e di grande fiducia nei confronti di tutti i nostri suggerimenti. Tra i pochi casi, in letteratura, in cui la bonifica inizia quando l’inquinamento è ancora in atto”.

-       In che senso?

“Nel senso che, già dal tardo pomeriggio, non solo noi, ma tutte le squadre comunali e di volontariato, protezione civile, Misericordia, eccetera, oltre che due ditte di smaltimento dei rifiuti, erano sulle zone colpite, ad operare per la rimozione meccanica del catrame, sotto il coordinamento del comandante della polizia municipale di Otranto, fino al calar del buio. Alcune spiagge dovettero essere bonificate nuovamente il giorno dopo”.

-       E cosa successe il giorno dopo?

“Acquisimmo in tempo reale, già dalle 7 del mattino, le rilevazioni fornite dall’aereo “Manta” della guardia costiera, decollato alle 5 da Catania, inviato subito nell’area delle operazioni perché dotato di sofisticati sensori per il telerilevamento ambientale. La situazione, però, era più drammatica del previsto e di quanto fosse già stata osservata da terra e da mare: ben sette diverse chiazze catramose, delle dimensioni comprese tra le decine e le centinaia di metri per lato, minacciavano il litorale a distanze irrisorie: da meno di un miglio a quattro miglia dalla costa, e con una mareggiata attesa entro le 18 ore: in pratica, stavamo per subire un danno ambientale. Il tutto, ricordo, in un’affollata domenica d’agosto”.

-       Come avete fatto, allora?

“Vista la distribuzione e la distanza dalla riva delle chiazze, consapevoli della loro naturale variabilità di forma e direzione e dei minimi tempi a disposizione per l’intervento, siamo stai costretti ad agire sulla base di criteri di priorità. L’intervento è stato tempestivo e tutte le aree sono state oggetto di azioni di salvaguardia fino a totale bonifica. La fascia costiera è stata il bene considerato “capitale” da parte di questo e dei superiori uffici del corpo e delle altre istituzioni centrali. E le civiche amministrazioni coinvolte hanno fatto la loro parte”.

Immagine2 023-2-       Ci parli ancora di chi vi ha aiutato.

“La capitaneria di porto di Gallipoli, ad esempio, ha effettuato il superiore coordinamento di tutte le operazioni, ed inviato sul posto un gruppo di militari a sostegno di quelli dipendenti. Quella di Brindisi era pronta a mobilitare ulteriori risorse e professionisti locali per la lotta all’inquinamento. Il comando generale del corpo ed il ministero dell’Ambiente hanno messo a disposizione aerei e unità navali anti inquinamento; per quanto riguarda le locali amministrazioni civiche, i sindaci di Otranto e Melendugno si sono recati in spiaggia con i propri staff rimanendo in contatto con noi, oltre che riunendosi qui in sede e garantendo la propria disponibilità per ogni tipo di intervento che si fosse ritenuto necessario, mentre è doveroso segnalare che anche il Comune di Lecce è intervenuto nel teatro operativo con un proprio battello pneumatico, sempre sotto il coordinamento dell’autorità marittima”.

-       E se alcuni tratti di costa fossero stati colpiti?

“Lo sono stati, ma, come dicevo, la macchina della bonifica era già in moto. In ogni caso, se il danno fosse stato consistente, si sarebbero applicati tutti i più moderni metodi di risanamento, meccanico, chimico e biologico, di cui l’Italia dispone. Ciò non è accaduto, e a due giorni dall’evento l’allarme era già completamente rientrato. L’Alce Nero ha impiegato in mare oltre 200 metri di ‘panne assorbenti’, che hanno raccolto molto materiale inquinante, ora in fase di smaltimento, mentre a terra hanno agito i Comuni”.

-       Qualcuno però dice che non vi sia la stessa attenzione, da parte della guardia costiera, per casi di presunto inquinamento nella zona di San Cataldo e più a Nord. Perché?

“Ho letto alcuni commenti di questo tenore. Ci siamo resi conto da tempo che alcune zone meritavano maggiori cure, e ci siamo rimboccati le maniche lavorando su tre diverse linee di azione: la prima è stata la programmazione di inedite operazioni di polizia e tutela del cittadino, già note ai lettori di questo giornale; la seconda è stata la dislocazione di una motovedetta nel porto di San Foca, la nuova Cp721, che ha già portato risultati su diversi fronti; la terza, a più ampio respiro, è stata la redazione di un accordo (in fase di sottoscrizione, ma già operativo) che consente a questo comando di coordinare ispettori ambientali ed unità nautiche appartenenti al Comune di Lecce, proprio ai fini della tutela anti inquinamento oltre che di protezione civile. Puntiamo ad essere più presenti unendo le forze in campo, operativi in un sistema più grande ed aperti alle segnalazioni degli utenti”.

-       Che ruolo hanno i cittadini e le loro segnalazioni?

“I cittadini sono coloro cui va offerto un pubblico servizio, e le loro segnalazioni non fanno che aiutarci a migliorare il nostro lavoro. Strano, ad esempio, che quella mattina non ci siano pervenute già dal mare lamentele da parte dei diportisti di passaggio: avrebbero contribuito ad anticipare l’intervento di salvaguardia. Fortunatamente, ci sono quelli che archiviano il sabato sera per venire ad imbrattarsi di catrame, ben consci che lo Stato è un’unica squadra, in cui cittadini e istituzioni giocano insieme, per segnare l’unico goal rappresentato dal bene di tutti. E lo si notava dall’entusiasmo nei volti di chi ha partecipato. Le istituzioni sono utili al cittadino quanto il cittadino alle istituzioni”.

-       Come procedono le indagini? Qualche lettore scrive che basterebbe utilizzare sistemi come “Marine Traffic”, disponibile su fonti aperte (internet) per giungere al colpevole.

“Non è così. Il sistema nominato dal lettore, pur moderno ed efficiente, non indica chi sversi a mare, ma solo quali siano le navi, a decine, che transitano ogni giorno nel Canale, dirette nei più diversi porti del mondo. Per quanto riguarda le indagini, dirette dalla Procura di Lecce, posso assicurare che assolutamente nulla è stato lasciato o rimarrà intentato”.

-       Ma non basterebbe investigare sulle petroliere transitate?

“No. Dobbiamo essere aperti ad ogni possibilità. Infatti, mentre le petroliere sono dotate di grosse casse di bordo per contenere le acque di lavaggio, le cosiddette “slope”, poi fatte decantare per poter re-immettere nelle cisterne del carico i residui del lavaggio stesso, che mantengono il loro valore economico, una nave di altro tipo, con più bassa disponibilità di depositi di bordo, potrebbe ottenere un risparmio nello sversare in mare i normali residui di esercizio del motore, le cosiddette “sludge” o “sentine dense”, stoccate in quantità considerevoli a bordo delle navi, anche a seguito di un fatto imprevisto, come la rottura di dispositivi o parti meccaniche, pompe di sentina, eccetera. Si tenga conto, a questo proposito, che molte navi utilizzano carburanti talmente densi da dover essere riscaldati prima del loro utilizzo, con surrogati di esercizio bituminosi molto simili a quelli riscontrati sabato 25 agosto. Il catrame, insomma, non deriva per forza dalle petroliere”.

-       Per il suo prossimo incarico presso il comando generale di Roma, cosa le rimarrà della Città dei Martiri?

“Non certo solo un ricordo. Tornerò a godermi finalmente queste spiagge appena possibile da turista, e, se ci fossero problemi… chiamerò immediatamente la capitaneria…”

-       Quale messaggio vuole lasciare ai salentini?

“Considerate il vostro mare come se fosse, non dico il giardino, ma lo stesso soggiorno di casa vostra. E’ la vostra risorsa più grande”. 

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