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Gabriele De Giorgi

Giornalista LeccePrima

Concessioni balneari: una Guerra Santa che si è trasformata in boomerang

La sentenza del Consiglio di Stato boccia la linea del Tar di Lecce e rende evidente la miopia di una classe dirigente nazionale che per un decennio almeno ha preferito aggirare il tema, per tornaconto immediato

LECCE - La soluzione più ragionevole era lì, a portata di mano già da un anno, ma ci sono voluti un fiume di polemiche, un contenzioso amministrativo, veleni politici e avventurosi protagonismi perché venisse affermata dal Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria con una sentenza "di chiusura", che cioè non lascia campo a ulteriori interpretazioni: le proroghe automatiche delle concessioni balneari sono contrarie all'ordinamento e devono essere disapplicate non solo dai giudici, ma anche dalla pubblica amministrazione. Come era stato fatto a Lecce.

Chiarito il principio, dal punto di vista pratico si dispone una proroga meramente tecnica fino al 31 dicembre del 2023 con lo scopo di "evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni in essere" e "di tenere conto dei tempi tecnici perché le amministrazioni predispongano le procedure di gara richieste". Anche questo era stato fatto a Lecce, con la proposta dell'amministrazione Salvemini (2020) di proporre agli attuali titolari di concessioni un ulteriore periodo di tre anni e non quello previsto dalla legge nazionale che aveva stabilito una proroga di ben 15 anni, con scadenza al 2033.

Con tale "non scelta" il Parlamento voleva rimandare ancora una volta alle calende greche la risoluzione di un problema sul quale la giurisprudenza, italiana ed europea era stata sufficientemente netta: bastava mettere in fila le sentenze delle varie corti e attivare il buonsenso per comprendere che il compito della politica sarebbe stato quello di guidare una transizione, nell'interesse di tutti (compresi i concessionari), e non di difendere l'indifendibile status quo, un modello di oligopolio per chi gestisce le spiagge con prezzi da libero mercato per chi ne fruisce (sempre più alti).

La magistratura ha quindi dovuto supplire all'ignavia di tutte le principali forze politiche del Paese, indipendentemente dalle formule temporanee delle maggioranze. E davanti all'ipotesi di nuove tergiversazioni sulla riforma delle concessioni, l'Adunanza Plenaria ha chiarito che "oltre tale data (il 2023, ndr), anche in assenza di una disciplina legislativa, esse cesseranno di produrre effetti, nonostante qualsiasi eventuale proroga legislativa che dovesse nel frattempo intervenire". 

Il nodo economico: un regime di oligopolio

Nelle 58 pagine della sentenza i giudici hanno anche contestualizzato la vicenda dal punto di vista economico per rimarcare come non sia certo lo Stato a trarre i maggiori benefici dal regime concessorio attuale, con un ammontare dei canoni che si aggira attorno ai 100 milioni di euro a fronte di un giro di affari stimato sui 15 miliardi di euro all'anno: "Pensare che questo settore, così nevralgico per il Paese possa essere tenuto al riparo dalle regole della concorrenza e dell'evidenza pubblica, sottraendo al mercato e alla libera competizione economica risorse naturali in grado di occasionare profitti ragguardevoli in capo ai singoli operatori economici, rappresenta una posizione insostenibile, non solo sul piano costituzionale nazionale, ma soprattutto e ancor prima, per quello che più ci interessa ai fini del presente giudizio, rispetto ai principi europei a tutela della concorrenza e della libera circolazione".

Su quest'ultimo aspetto si era concentrato la scorsa settimana l'approccio fatto dal premier Draghi che, davanti alle barricate della Lega e alla mancanza di volontà delle altre forze di maggioranza di procedere a una riforma ragionata, si era limitato a disporre una mappatura delle concessioni esistenti, proprio allo scopo di far emergere come il quadro attuale favorisse solo i concessionari (circa due terzi degli oltre 30mila versano il canone annuo minimo, pari a 2.500 euro). Il Consiglio di Stato ha fatto il resto.

Bocciata in pieno la linea del Tar Lecce

Il supremo organo della giustizia amministrativa ha ribadito che le concessioni con finalità turistico ricreativa rientrano pienamente nel disposto della direttiva Bolkestein (sulla rimozione degli ostacoli alla concorrenza e alla libertà di impresa) e che questa è direttamente applicabile nell'ordinamento italiano, non avendo bisogno di alcuna normativa di dettaglio. Tranchant quindi la risposta data alla sezione di Lecce del Tar regionale, il cui presidente, Antonio Pasca, aveva accolto tutti i ricorsi dei balneari contro il diniego alla proroga al 2033 opposto dal Comune di Lecce. Un ragionamento giuridico, quello del tribunale locale, che l'Adunanza Plenaria ha definito "suggestivo" ma non meritevole di accoglimento, senza dimenticare di ricordare che si è trattato di una "unica isolata eccezione" nel panorama della giurisprudenza amministrativa sia di primo sia di secondo grado. 

Secondo il Tar sarebbe, infatti, toccato eventualmente a un giudice, e non a un dirigente della pubblica amministrazione, disapplicare una legge in contrasto con il diritto eurounitario (quella sulla proroga automatica). "Delle due l'una - scrivono ancora i giudici a Roma -: o si ammette che la legge non è disapplicabile nemmeno dal giudice (ma in questo modo il contrasto con il principio di primazia del diritto dell'Unione diventa stridente) oppure si ammette che l'amministrazione è 'costretta' ad adottare un atto illegittimo, destinato poi a essere annullato dal giudice, che può fare ciò che la pubblica amministrazione non ha potuto fare, cioè non applicare la legge nazionale anticomunitaria. Ma immaginare un'amministrazione 'costretta' ad adottare atti comunitariamente illegittimi e farlo in nome di una certezza del diritto (legata all'asserita difficoltà di individuare le direttive self-executing) appare una contraddizione in termini".

Ultima occasione per una vera riforma

L'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha dunque scritto una pagina che rappresenta un punto di svolta e che non potrà essere ignorata. Il ricorso presentato dal Comune di Lecce - con gli avvocati Silvestro Lazzari e Laura Astuto  - contro le sentenze del Tar (e una vicenda analoga relativa alla Sicilia, ma con ricorso presentato dai balneari, soccombenti in primo grado) ha portato al pronunciamento di ieri al quale è stata data grande enfasi a livello nazionale perché si tratta non di una bega provinciale, ma di una questione che riguarda direttamente un paese peninsulare con un litorale tra i più belli e variegati del mondo. 

Da qui al 2023 la classe dirigente è chiamata a trasformare questa "lezione di diritto" in una azione normativa e politica coerente, senza ulteriori sotterfugi e tentativi di aggiramento. Si dovrebbe da subito lavorare seriamente per creare le condizioni affinché la transizione all'apertura di uno dei settori più blindati che ci siano in Italia avvenga nella maniera più equa possibile, senza lacerazioni e conflitti. Difficile però che ciò avvenga, almeno a giudicare dai toni di una perserverante narrazione tossica - alimentata da veementi attacchi e pure da qualche conflitto di interesse - che ha spinto i concessionari, anche in buona fede, a imbarcarsi in una Guerra Santa che si è trasformata in un boomerang: in un certo senso sono stati mandati a sbattere contro un muro. 

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