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Sentenza del Tar

Disposto riesame dell'interdittiva: i rischi devono essere concreti e attuali

Il provvedimento del 2019 ha investito, a latere dell'operazione “Tornado”, una cooperativa di cui era presidente l'allora sindaco di Scorrano che risultava tra gli indagati insieme a un dipendente

LECCE - È stato annullato dai giudici amministrativi il provvedimento con cui, nel settembre del 2019, il prefetto di Lecce aveva rigettato l’istanza di riesame dell’interdittiva antimafia emessa un paio di mesi prima nei confronti della cooperativa “Nuova Era”.

La Sezione Prima del Tar Puglia, sede di Lecce, ha infatti accolto il ricorso per motivi aggiunti (mentre ha respinto quello introduttivo) presentato dall’avvocato Valeria Pellegrino, che ha difeso la cooperativa.

L’operazione “Tornado”

La vicenda ha origine nel giugno del 2019: nell’operazione “Tornado”, , coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Lecce ed eseguita dai carabinieri, vengono coinvolti tra gli altri l’allora sindaco di Scorrano e un 42enne. Entrambi sono indagati a piede libero: il primo è anche presidente della cooperativa (sarà poi assolto in sede penale perché il fatto non sussite), il secondo è un dipendente (verrà poi condannato).

Secondo i riscontri investigativi sarebbe stato quest’ultimo l’elemento di contatto con la criminalità organizzata nel contesto di uno schema in cui sarebbero stata promessa l’aggiudicazione di appalti e servizi pubblici in cambio di consenso elettorale (per le amministrative del 2017 e le politiche del 2018). In particolare si parla della gestione del parco La Favorita, con annesso chiosco e parcheggi comunali.

L’interdittiva e l’istanza di riesame

Il 2 luglio il prefetto firma l’interdittiva nei confronti della cooperativa, due settimane dopo viene depositato il ricorso e fatta istanza di sospensione cautelare del provvedimento (percorso che si esaurisce a novembre con il rigetto da parte del Consiglio di Stato). Prefettura e ministero dell’Interno si costituiscono subito in giudizio.

Intanto il presidente della cooperativa si dimette e il dipendente viene licenziato. Sulla base di queste misure viene presentata un’istanza di riesame dell’interdittiva. Il 5 settembre l’ufficio territoriale del governo conferma la propria posizione specificando che l’istanza, presentata “solo 15 giorni dopo l’adozione del provvedimento interdittivo in questione, non può essere valutata favorevolmente in considerazione del breve lasso temporale intercorso rispetto alla conclusione dell’iter procedimentale che ha portato al provvedimento prefettizio di cui trattasi, con conseguente permanenza dei presupposti di fatto e di diritto che hanno determinato l’adozione dell’atto medesimo”.

Il 10 dello stesso mese avviene il deposito dei motivi aggiunti con riferimento al provvedimento di conferma dell’interdittiva. Si arriva dunque alla sentenza pubblicata il 13 febbraio, che fa seguito all’udienza pubblica dell’8.

Nel merito della sentenza

Il primo motivo, riguardante la legittimità costituzionale dell’interdittiva, non è stato accolto. Il secondo, invece, sì: il prefetto, nel confermare l’interdittiva, non si sarebbe dovuto limitare solo a constatare il decorso di appena due settimane dal provvedimento originario, ma avrebbe dovuto valutare in concreto la persistenza o meno di circostanze che giustificassero la misura.

Va ricordato, infatti, che intanto il presidente si era dimesso e il dipendente era stato licenziato. I giudici - presidente Ettore Manca, estensore Alessandro Cappadonia - non escludono la probabilità che quelle misure possano essere state adottate per eludere l’interdittiva, ma aggiungono che “nei casi in cui la giurisprudenza ha ritenuto che le misure di self cleaning poste in essere dalle imprese attinte da informazione interdittiva fossero effettivamente elusive della legislazione antimafia, residuavano comunque ulteriori indizi attestanti la probabile perduranza dell’influenza delle associazioni mafiose sulla gestione dell’impresa, quali ad esempio la successione nelle quote societarie o nelle cariche sociali di familiari o prestanome o la sussistenza di una regia familiare, anche di fatto, alla quale non risultassero estranei soggetti contigui alle associazioni mafiose; indizi che, invece, nel caso di specie non sono stati evidenziati nel provvedimento da ultimo impugnato”.

La sentenza riconosce quindi, rispetto al provvedimento di conferma dell’interdittiva, il difetto di istruttoria e la carenza di motivazione. I giudici, infine, indicano la strada da seguire: la prefettura è chiamata a riesaminare l’interdittiva alla luce degli eventuali e concreti rischi attualmente esistenti, tenendo conto del percorso compiuto in regime di controllo giudiziario dalla società che peraltro, per quanto dichiarato in udienza, “è allo stato oggetto di una procedura fallimentare scaturita da una situazione di dissesto economico conseguente agli effetti della interdittiva”.

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