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Il commento

L’egemonia “culturale” delle auto e il nuovo nemico: la tribù dei leccesi in bici

Il traffico veicolare incide sulle emissioni e direttamente anche sulla salute, eppure c'è sempre un motivo per usare il mezzo privato e allo stesso tempo di lamentarsi perché tutti fanno lo stesso. Un cambio di mentalità non è un capriccio ideologico, ma una urgenza di stretta attualità

LECCE - “Sogno il giorno in cui passi inosservato il sindaco che va in bici”. Quello di Carlo Salvemini è stato quasi uno sfogo a margine della conferenza stampa di presentazione del programma per la Settimana europea della mobilità (leggi qui).

La questione del traffico, del resto, è sempre di estrema attualità quando riprende l’attività scolastica e, più in genere, la routine quotidiana. Archiviata, si spera per sempre, la lunga parentesi pandemica, le strade tornano a brulicare di auto e a determinare criticità nelle ore di punta, soprattutto in corrispondenza di scuole, di alcuni viali cittadini, di arterie di ingresso dall’hinterland al capoluogo. Per una serie di circostanze, però, il tema gode quest’anno di una particolare intensità anche perché terreno fertile per le polemiche che troppo spesso ignorano i dati di fatto.

I dati non mentono

Un’indagine diffusa dal data analyst Davide Stasi, di cui abbiamo dato notizia a fine marzo, indicava un rapporto tra auto immatricolate e residenti pari al 70 percento, dato che colloca Lecce oltre la media nazionale che a sua volta già supera quella europea. Il legame tra alcuni inquinanti e l’aumento di alcune patologie, tra cui alcune forme tumorali, è un dato di fatto. Ridurre le emissioni è una necessità strettamente attuale, eppure l’argomento è tremendamente tabù quando va ad incidere sulle abitudini consolidate.

Un’altra statistica rilevante è quella degli incidenti con investimento di pedoni e ciclisti: sono troppi e nella stragrande maggioranza dei casi la responsabilità è interamente del conducente del mezzo a motore. Questi due fattori oggettivi non possono essere taciuti se si vuole affrontare la questione della mobilità con un minimo di onestà intellettuale.

L’egemonia “culturale” delle auto

Lecce è una città profondamente legata all’uso dell’auto anche per spostamenti molto brevi. Questo determina il paradosso che chi contribuisce a generare traffico è il primo a lamentarsi. Ma non è vero che ogni attività quotidiana necessiti dell’uso dell’auto, tantomeno di arrivare direttamente davanti al punto di destinazione: l’esempio tipico è quello dell’accompagnamento a scuola che si pretende sia davanti all’ingresso addirittura per ragazzotti già cresciuti alle prese con versioni di latino e greco o equazioni di secondo grado.

Lecce è una città che subisce una pressione importante del carico veicolare proveniente da una parte significativa della provincia: dal lunedì a venerdì per esigenze scolastiche, di lavoro, di commissioni; il sabato e la domenica per le passeggiate. Basta farsi un giro dopo le 21 nei giorni feriali in tutta l’area urbana delimitata dai viali e dalla circonvallazione per vedere i tanti posti auto disponibili. Se il centro storico è protetto da maglie che via via si vanno stringendo, ma non ancora abbastanza – la Ztl –, la parte più moderna e commerciale è comprensibilmente quella dove, soprattutto in determinate fasce orarie, si concentrano i maggiori disagi. I primi danneggiati sono proprio coloro che, invece, si muovo in auto per esigenze reali.

Ultimo, ma non per importanza, il fattore servizi: Lecce è anche una città che deve recuperare, da questo punto di vista, molto terreno. Il fatto che il trasporto pubblico sia stato affidato a suo tempo a una società mista che ha preferito - per esigenze di bilancio del socio di maggioranza, il Comune, e di profitto di quello privato - puntare sulla redditività delle strisce blu e non sull’efficienza della rete urbana dei bus hanno determinato un problema grande quanto una casa, una sorta di conflitto di interessi che ha paralizzato un reale sviluppo della mobilità alternativa all’auto. Anzi, più auto, più incassi, questo era il mantra.

Ecco perché la trasformazione di Sgm è uno degli obiettivi più ambiziosi (e difficili) di questa amministrazione: al momento si è in regime di proroga per ragioni tecniche – la terza -, ma entro l’anno ci si attende la definizione dell’operazione che renderà la società al 100 per 100 pubblica, come anche ci si attende il riconoscimento da parte della Regione Puglia di un milione di chilometri aggiuntivi per estendere le frequenze delle linee e i collegamenti con zone della cinta periferica attualmente marginali.  

Il nuovo nemico è chi usa la bici

In questo quadro si cala la vicenda dei cittadini che utilizzano prevalentemente la bici, considerati dagli altri quasi una minoranza etnica, un gruppo di sognatori o di gente che ha tempo libero per prendersela con calma. A Lecce l’odio per le bici è oggi tangibile, una sorta di odio di classe rovesciato: prima ignorati, i ciclisti sono poi diventati un nemico quando gli investimenti pubblici sulle piste ciclabili sono così diventati importanti (perché vincolati a finanziamenti europei ben precisi) da stimolare la nascita di nuovi cantieri e il completamento dei vecchi.

L’avvio di questo percorso è iniziato ben prima che Salvemini diventasse sindaco, così come precedente alla sua amministrazione è la realizzazione delle corsie preferenziali che hanno sottratto parcheggi e spazio di manovra alle auto. Il tempo che è passato da quelle “innovazioni” è stato abbastanza da placare le polemiche del partito dell’auto a tutti i costi, polemiche che pure allora non mancarono (come non mancarono quando si decise di pedonalizzare Piazza Sant’Oronzo, cosa che oggi non discuterebbe davvero nessuno). Non che adesso non ci siano palesi e continue violazioni, come nel caso di viale De Pietro in entrata verso via XXV luglio, o che non siano stati fatti errori di valutazione, come nel caso dell’allargamento della corsia preferenziale di viale Otranto (poi si è tornati alla situazione di partenza), ma grosso modo il concetto di corsia preferenziale sembra essere stato assimilato, quantomeno accettato.

Il nuovo nemico, di anno in anno, sono diventate sempre più le piste ciclabili e l’argomentazione contraria più gettonata è che sono poco utilizzate. “Come se io decidessi di eliminare i marciapiedi perché ci passa poca gente e fare ulteriore spazio alle auto”, ha dichiarato il sindaco a margine della conferenza quando esponenti di associazioni e cronisti hanno posto domande e factto considerazioni sulla mobilità. Il tema, insomma, è anche quello di creare le infrastrutture perché possano cambiare le abitudini. Lo si fa con scelte impopolari, decisioni che creano malcontento. Di solito chi dipende a doppio filo dall’ossessione del consenso e del presentismo (massimizzare tutto e subito, anche le polemiche) non è mai molto incline al cambiamento.

Una città in cui la mobilità sostenibile abbia un ruolo e una dignità non è un capriccio ideologico - l'argomento dovrebbe quindi essere depoliticizzato -, ma una necessità storica che tra l’altro la congiuntura economica, che si prefigura critica se non drammatica, non fa altro che accelerare. E nel corso degli anni lo sarà sempre di più, qualunque amministrazione sieda a Palazzo Carafa. Chi non lo capisce è francamente una persona fuori dal mondo reale.

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