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Giovedì, 28 Marzo 2024
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Emergenza covid-19 e lavoro, lo psicoterapeuta: “Non perdete il ritmo”

Il coronavirus ha modificato drasticamente le nostre abitudini di vita, soprattutto quelle lavorative. Come reagire ai cambiamenti? Ecco i consigli dell’esperto Guido Scopece

LECCE - C’è chi ha smesso di lavorare, chi continua a farlo da casa. C’è chi invece le proprie mansioni le svolge nello stesso luogo fisico che però non è più quello di prima: indossa nuovi accessori, guanti e mascherina, tenendosi a debita distanza da quei colleghi con i quali fino a qualche giorno fa attendeva il momento di scambiare due chiacchiere e condividere la pausa caffè. Il coronavirus ha cambiato drasticamente le nostre abitudini di vita, soprattutto il rapporto con il lavoro. Ne abbiamo parlato con lo psicoterapeuta, esperto della materia, Guido Scopece.

Dottor Scopece, quali sono le conseguenze dello stop forzato dal lavoro? Come reagire?

“Il nostro organismo è regolato in molte sue fasi da un vero e proprio orologio biologico che segue un andamento ben preciso: dato che alterare i suoi equilibri comporta disturbi e malesseri anche importanti, è bene conoscerlo e rispettarlo il più possibile. Mai come in questo momento appare evidente quanto la nostra attività quotidiana sia quasi totalmente legata al lavoro. Di conseguenza questa brusca interruzione sta mettendo a dura prova tutti noi. La cosa positiva è che siamo esseri viventi estremamente adattivi e siamo perfettamente in grado di gestire questo cambiamento, ancor più con la consapevolezza che si tratta di qualcosa di momentaneo. Sicuramente, è importante cercare di mantenere una regolarità nella propria giornata, riorganizzandosi con un giusto equilibrio tra nuovi impegni e momenti di svago, senza eccedere in una direzione o nell’altra”.

Cosa suggerisce invece a chi sta lavorando in smart working?

“Questa domanda mi riguarda personalmente, poiché, al fine di salvaguardare la mia salute, quella dei miei cari e dei pazienti, sto conducendo la maggior parte delle sedute tramite piattaforme di videochiamata, mettendomi anche a disposizione dei privati cittadini e di alcune associazioni per consulenze online.

C’è da dire che non tutti i lavori sono allo stesso modo adatti allo smart working, e di conseguenza il passaggio diviene ancora più complicato. Ma non impossibile.

Oltretutto, il lavoro è anche un momento relazionale, di confronto con gli altri, che ricarica, paradossalmente, le energie all’esterno per poi riportarle nell’ambiente familiare (anche se spesso, viceversa, lo stress lavorativo viene purtroppo portato tra le mura domestiche e nelle relazioni significative), nonché un modo per intessere relazioni e sviluppare il proprio “Sé sociale”.

Mancando quindi questo passaggio, e ritrovandosi spesso a dover lavorare a stretto contatto con gli altri familiari, con i figli e i coniugi, per esempio, che naturalmente continuano a vivere la propria casa normalmente, soprattutto nella fase iniziale del cambiamento, si incontreranno grandi difficoltà. Ma si possono ottenere comunque buoni risultati, se si trova la giusta misura, dividendo in maniera equa i propri spazi fisici e temporali con il resto della famiglia”.   

C’è chi continua a recarsi sul posto di lavoro con l’angoscia di essere contagiato.

“Questo è un punto molto delicato. Per medici e infermieri, per esempio, che lavorano nelle zone più colpite la situazione è veramente complessa. Molti di loro sono costretti a vivere lontani dalle proprie famiglie e sopportano turnazioni estenuanti. Purtroppo questo non può che comportare una modalità lavorativa rischiosa, poiché in una situazione di stanchezza estrema aumentano le possibilità di commettere errori o piccole superficialità che possono costare carissimo.

Poi c’è chi sta continuando a lavorare in supermercati, aziende, fabbriche e dipartimenti, e inizia a vedere “il vicino” come un potenziale “untore”, modificando negativamente le relazioni, magari proprio con quei colleghi con cui si trascorreva la maggior parte del tempo.

Un consiglio è sicuramente quello di non alimentare un clima di terrore e di paura “dell’altro”, cosa che, purtroppo, è una caratteristica fin troppo insita dell’essere umano. In questo momento siamo tutti sulla stessa barca, e di certo lanciare qualcuno in mare non è la soluzione. Bisogna remare tutti insieme e con lo stesso obiettivo”.

Il maggiore tempo libero, come dovrebbe investirlo, chi ha famiglia?

“Mai come adesso i padri e le madri hanno l’opportunità di dedicare più tempo ai propri figli, troppo spesso trascurati e affidati a nonni e babysitter a causa dei ritmi lavorativi frenetici. Possono ritornare a giocare con loro o, se più grandi, a parlare con loro, cercando di ascoltarli, di comprenderne le difficoltà e i disagi, che, soprattutto in età adolescenziale sono molto frequenti e, possono portare a vere e proprie “crisi esistenziali”. La comunicazione faccia a faccia è in via d’estinzione. E’ il momento giusto per recuperarla, insieme alla lentezza”.

E chi è single?

“Chi vive da solo e per propria volontà molto probabilmente è abituato a questa condizione e avrà più strumenti di “sopravvivenza” alla solitudine e alla noia di chi si trova nella stessa condizione forzatamente. Per chi è solo o single per scelta, questo potrebbe essere un momento per ritrovarsi, per prendersi cura di se e dei propri bisogni, magari dedicandosi e regalandosi qualche piccolo piacere, anche culinario per esempio o qualche ora di sonno in più. Potrebbe anche essere utile avvicinarsi a una nuova attività o arte mai sperimentata, come la pittura o la fotografia, stando in casa naturalmente!”.

Quanto alimentazione e sport incidono sulla tenuta mentale?

“Un’alimentazione sana influisce positivamente già in una situazione normale, figuriamoci in una situazione di forte stress. Le abbuffate e le restrizioni date dai sensi di colpa di certo non aiutano. La cosa migliore è mangiare regolarmente e in maniera equilibrata, concedendosi qualche momento piacevole in più per aiutare l’umore. Lo sport ha una funzione fondamentale sul mantenimento di un buon livello dell’umore e sulla riduzione dello stress e dell’ansia. I motivi sono molteplici: sicuramente aiuta a distrarsi dagli eventi stressanti, riducendo la così detta ansia di “tratto”; in secondo luogo la produzione di beta-endorfine (i nostri antidolorifici naturali) legata all’attività fisica sembrerebbe produrre uno stato euforica, un senso di leggerezza e sollievo, e accanto alle endorfine, un altro fattore neurofisiologico con effetti importanti sull’umore e sull’ansia è il cosiddetto Bdnf (Brain derived neurotrophic factor), rispetto al quale vari studi hanno messo in luce come l’esercizio fisico, soprattutto se condotto con regolarità, abbia un impatto significativo sul migliorarne i livelli; in ultimo, ma non ultimo si ritiene che l’aumento del proprio senso di efficacia in ambito sportivo, legato al raggiungimento degli obiettivi prefissati e al superamento delle difficoltà, possa di fatto incrementare la percezione di controllo dei sintomi in persone che soffrono di depressione. Naturalmente, con la chiusura di palestre e impianti sportivi e le restrizioni sulle uscite “non necessarie”,  le possibilità di fare attività fisica sono di gran lunga ridotte, ma anche in casa è possibile fare esercizio fisico sia aerobico che anaerobico e chi è sempre stato uno sportivo lo sa e sa come farlo. Per i più pigri può essere invece un modo per passare il tempo diversamente e farsi del bene. Un buono stato di salute aumenta in maniera importante le difese immunitarie.”Lo psicoterapeuta Guido Scopece-4

In questi giorni c’è stato, inevitabilmente, un aumento nell’utilizzo dei social. Hanno il vantaggio di “accorciare” le distanze e far sentire le persone meno sole, ma hanno anche l’effetto deterrente di far da eco e, in tempi rapidissimi, di notizie false che generano ansie e ingigantiscono preoccupazioni in un momento già così delicato …

“Su questo argomento si potrebbe parlare per giorni e giorni data la vastità di pro e contro legati allo sviluppo tecnologico. In queste giornate probabilmente la maggior parte di noi sta ricevendo un gran numero di videochiamate da amici e parenti, ma anche da persone con cui non erano in contatto abitualmente. Tale modalità comunicativa in realtà era utilizzata pochissimo, se non dalle persone realmente distanti. Probabilmente il bisogno di “vedere” l’altro, per fortuna, non è ancora completamente estinto come si temeva fino a pochi giorni fa. Di contro con la videochiamata si entra nell’intimità di ognuno, cosa che non tutti sono disposti a condividere. Accertiamoci quindi magari, prima di utilizzarla che, dall’altra parte ci sia una volontà di mostrarsi. Quanto alle fake news e al bombardamento mediatico, sono una vera e propria piaga degli ultimi anni. Utilizzate in primis per scopi politici, ora sono vere e proprie armi terroristiche. Nei gruppi whatsapp e sui social si scatenano dibattiti (spesso con toni offensivi) sulla veridicità di una notizia piuttosto che di un dato. Questo non fa altro che alimentare nei più sensibili il panico e lentamente sta minando le fondamenta anche di chi ha una buona capacità di gestione dell’imprevisto. E’ fondamentale verificare le fonti delle informazioni che riceviamo e solo se necessario condividerle. Meglio un solo notiziario al giorno per poi dedicarsi ad altro.”

Come combattere la paura della malattia?

“La paura non va combattuta poiché si tratta di un’emozione fondamentale per la nostra sopravvivenza e per prevenire i pericoli ed evitarli. Certo è che, per essere funzionale, deve corrispondere ai livelli effettivi di pericolo. I nostri antenati ne facevano esperienza diretta di fronte a pericoli reali, oggi invece la maggior parte dei pericoli sono inoculati dall’esterno e sovradimensionati da una comunicazione spesso terroristica e mal gestita. E’ necessario perciò non sottovalutare la malattia, evitando, di contro, i comportamenti esasperati che posso portare a vere e proprie psicosi collettive. Bisogna cercare di attenersi ai dati oggettivi e ufficiali di pericolosità, seguendo in maniera attenta le misure collettive adottate al fine di ridurre il più possibile la diffusione del virus. Il panico ci fa ignorare l’oggettività del pericolo e perdiamo gran parte della nostra capacità di giudicare la situazione. Quindi è opportuno non cercare ossessivamente informazioni, seguire le indicazioni dell’Istituto Superiore di Sanità e aiutare gli altri a comprendere le ragioni di tutto ciò senza essere aggressivi o offensivi.”

Eppure, nonostante non si parli d’altro, c’è chi continua a uscire di casa senza una delle valide giustificazioni imposte dal decreto ministeriale. Cosa accade nella testa di queste persone?

“Credo che per alcuni il sottovalutare la situazione sia legato alla scarsa informazione o alla difficoltà di comprenderne la gravità. Dobbiamo comunque ricordarci che non tutti usano social e media allo stesso modo. In altri casi potrebbe trattarsi di veri e propri meccanismi di difesa psicologici, in cui la negazione del problema aiuta a superare in maniera meno pesante un periodo di forte stress. Non credo nella stupidità in assoluto, quindi sono queste le persone che vanno sensibilizzate e aiutate a comprendere, a volte anche tramite misure più pesanti come la denuncia all’autorità giudiziaria, lì dove è evidente la mancanza di volontà di farlo.”

Oggi è come se ci trovassimo tutti ai domiciliari. Ritiene che la privazione della libertà consentirà in futuro di avere meno giustizialisti e cittadini più sensibili e consapevoli dell’importanza di misure alternative alla detenzione, finalizzate alla rieducazione del reo, previste dal nostro ordinamento?

“E’ difficile prevederlo, essendo gli esseri umani animali estremamente adattivi, anche la memoria di situazioni traumatiche viene spesso rimossa. Fatto sta che, personalmente e per esperienza (lavorando anche con ex detenuti), credo la rieducazione sia la strada migliore, restituendo dignità a vite spesso non facili e forzatamente legate alla delinquenza. Chissà però se questa condizione, come ne “A’Livella” del buon Totò, ci possa aiutare a riflettere non solo su questo, ma su tutte le relazioni umane”.

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