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Attualità Tiggiano

Tiggiano in festa per i 100 anni di Anna. La storia e i ricordi in un racconto del nipote

Ha festeggiato uno speciale compleanno con amici, famigliari, il sindaco e i due parroci. Una vita densa quella dell’anziana, ricostruita dal suo parente

LECCE – Il traguardo dei cento anni. Grande festa a Tiggiano, giovedì scorso, per la festa di Anna Negro e per il suo speciale compleanno. Giovedì ha infatti festeggiato assieme agli amici, ai famgliari, al sindaco di Tiggiano  Giacomo Cazzato e ai parroci don Antonio  De Giorgi e don Antonio Riva. Questi ultimi, per l’occasione, hanno anche celebrato una messa. Di seguito un omaggio alla festeggiata, da parte di suo nipote, Mario Negro. In una sorta di racconto, la ricostruzione della vita intensa di una donna coraggiosa e tenera.

“I genitori si erano appena trasferiti nella nuova palazzina di via Manzoni insieme ai nonni paterni Angelo e Margiotta Clementina. Avevano vissuto tre anni nel casale di vico Margiotta, dov’era nata la primogenita Immacolata che, ancora lattante, si ammalò gravemente e morì.  Anna era quindi la prima bimba che cresceva da quell’unione, nonché la maggiore di altri sei figli che arrivarono in seguito e di tutti i nipoti da parte dei nonni paterni.  Da un paio d’anni era passata l’influenza spagnola che uccise cinquanta milioni di persone nel mondo e, pochi mesi prima, c’era stata la Marcia su Roma che portò, in Italia, al governo Mussolini.

Sempre da pochi anni era terminato il primo conflitto mondiale che annientò un’intera generazione di giovani ed anche la famiglia di Anna ne uscì profondamente segnata. Lo zio Salvatore era morto sul Carso in una delle sanguinose battaglie del monte San Michele. Era il più grande dei fratelli di Biagio che, in quel periodo bellico, tornò volontariamente dagli Stati Uniti d’America come tanti giovani emigrati che furono invitati a rientrare in Italia per servire la madrepatria con la promessa di lauta ricompensa e l’onore di indossare la divisa grigioverde; ad attenderli, invece, si scatenava una guerra completamente assurda, non voluta dalla stragrande maggioranza del popolo italiano e che costò perdite crudeli tra trincee, bombardamenti aerei, uso di gas e lanciafiamme. Nelle prime fasi di questa nefasta opera si aggiunsero strategie militari messe in campo secondo tradizionali ed avventate tecniche di combattimento che videro soccombere, ineluttabilmente, ai colpi del nemico austroungarico migliaia e migliaia di questi giovani inviati sulle prime linee del fronte, totalmente inesperti di armi e privi di addestramento.

Nonostante i tristi accadimenti, non mancavano a Biagio e Peppi gli auspici di formare una famiglia numerosa e felice. La nuova casa era costruita all’estremità del paese; riusciva a farsi scorgere tra ampi spiazzi di aie e seminativi nella pianura antistante, con i suoi archi balconati al piano superiore e le tinte blu e rosa che le decoravano la facciata. Dal terrazzo si ammirava quella distesa di terreni coltivati, dai contorni geometrici, che giungeva sino ai rilievi delle serre salentine; dalla parte opposta, invece, accanto all’agglomerato urbano, adergeva un intreccio di stradine di campagna, bordate di muretti a secco, ove spuntavano grandi ed ombreggianti alberi di noce, leccio e carrubo che si stagliavano nel nitido paesaggio.

Era un grazioso edificio nello stile architettonico dell’epoca, costruito coi risparmi dei nonni e dal lavoro del padre e dello zio Giuseppe che, col traino, provvidero al trasporto dei conci di tufo dalle vicine cave, felici di occuparvi presto, con le proprie famiglie, le due abitazioni al pian terreno. I nonni, invece, si erano riservati i locali soprastanti con accesso diretto da una scala centrale; c’era poi un cortile laterale che separava la palazzina da una rimessa che veniva utilizzata per deposito di attrezzature e ricovero di animali.   

La madre aveva un carattere mite, mansueto, non era mai stata a scuola, ma sapeva raccontare, con ordine e minuziosità, antiche ed edificanti storie realmente accadute, oltre a ricordare vecchie filastrocche e ripetere spesso i dieci comandamenti. Era la terza figlia di Ippazio, un maestro mondatore con dei possedimenti che partecipava attivamente alla vita del paese; da molti anni, ricopriva la carica di assessore comunale, poi, divenuto sindaco nel 1926, le sue funzioni vennero, di lì a poco, trasferite al podestà nominato dal governo con regio decreto, come prevedeva l’ordinamento amministrativo dello Stato fascista.

Ippazio restò vedovo che era molto giovane. Peppi e le altre figliolette furono accudite dallo zio Michele e da persone esterne alla famiglia. La piccola Anna notava la presenza della zia Chicca che collaborava nei servizi domestici, oppure dello “zio Cosimo” di Alessano che, invero, non era un parente, ma alloggiava in una casupola poco distante mentre lavorava alla carbonaia posizionata in via Vittorio Veneto, in un’area vicina all’abitazione di via Manzoni: si trattava di un’attività che, nel periodo di stenti, costituì fonte di provviste che permisero di risollevare, notevolmente, l’economia familiare. Biagio, infatti, nella stagione estiva, era solito organizzare la produzione di legna e del carbone che veniva utilizzato come combustibile nelle cucine e stufe da riscaldamento, ma anche per la lavorazione tradizionale del ferro, vetro e metalli preziosi.

Anna badava ai fratelli più piccoli, dedicandosi attentamente alle faccende di casa. A dodici anni lavorava al magazzino, la fabbrica del tabacco di proprietà dei nobili del paese;  in estate, poi, le piaceva fermarsi nel negozio alimentari dei nonni Angelo e Tini situato al centro del paese, sulla via principale, nell’attuale ufficio delle poste, che costituiva un’importante rivendita e punto di ristoro lungo il tragitto di trasportatori e viandanti.

La ragazza doveva ancora prestare manodopera al lavoro nei campi, alle possidenze sulla via del mare, ove si coglievano fichi, mandorle, caffè e cicorie selvatiche, che venivano venduti al negozio o ad altri mercanti, se non in fiere locali dove la nonna poteva recarsi in groppa al suo asinello.

Era la fine degli anni Trenta. Biagio addestrava cavalli e s’impegnava ad approvvigionare la merce da esporre per la rivendita, disposto a raggiungere località piuttosto distanti col suo traino pur di acquistare prodotti tipici e nuove prelibatezze; in piazza Castello, inoltre, gestiva l’ufficio di collocamento sindacale con annessa sede dell’Opera nazionale dopolavoro, al cui interno, s’intrattenevano i lavoratori nel tempo libero per giuochi ed attività ricreative. Qui, veniva trasmesso, in diretta radio, il “cd. comunicato” del Duce che i tiggianesi si apprestavano ad ascoltare dalla piazza.

In quell’ufficio Anna era entusiasta nel compilare richieste di lavoro a favore di braccianti agricoli e tenere in ordine registri, cartelle, tesseramenti: un’incombenza che, a parte alcuni periodi, proseguì anche nel secondo dopoguerra e sino alla morte del padre, avvenuta nel 1973, il quale, nel proprio domicilio di via Manzoni, continuò a presiedere la sezione dei coltivatori diretti di Tiggiano e Corsano e gestire il patronato Epaca, l’Ente di patrocinio e assistenza per i cittadini e l’agricoltura.

Questi impegni familiari resero Anna responsabile ed operosa sin da adolescente. La cura e l’amore che poneva a servizio degli altri erano assai evidenti con la sua indole incline ad aiutare gli ammalati. Iniziò presto a fare medicazioni e iniezioni che venivano prescritte, anche le più delicate, andando incontro ad ogni esigenza e sempre con cautela e controllo del medico; comprendeva l’altrui disagio nel trovare, specie in orari notturni o di festa, una persona capace e disponibile che potesse rimediare a situazioni di sofferenza e bisogno. Ancora oggi, continua a ricevere quei meritati apprezzamenti quando la gente del paese le ricorda gli episodi in cui il suo intervento si rilevò fondamentale e risolutivo, riuscendo a dare sollievo a malcapitati e persone che versavano in precarie condizioni di salute.

Ciò avveniva mentre imperversava una seconda guerra mondiale. La sorella minore, Concetta, ricoverata all’ospedale di Gallipoli per una ferita che non riusciva a rimarginarsi, fu costretta ad uno sfollamento e condotta in un nosocomio delle Marche, a ridosso della linea Gotica, dove restò due anni senza possibilità di fornire notizie ai suoi cari, procurando costante apprensione all’interno della famiglia che durò sino al termine del conflitto.

Anna, ormai ventenne, iniziava a frequentare un ragazzo, giovane ed energico, ma che non si rilevò la persona giusta con cui legarsi per tutta la vita.  Solo qualche anno più tardi conobbe Carmelo, un soldato reduce dalla campagna del Nordafrica, durante la quale fu catturato dalle truppe inglesi ed inviato in un campo di prigionia allestito in Libia. Anna lo ascoltava partecipe nei suoi racconti di drammatiche storie avvenute nel deserto, ove anche la fame e la sete causavano la morte di tanti commilitoni. Con lui, fu subito sconfinato amore e capì che poteva instaurarci il rapporto coniugale di reciproca intesa che desiderava.

Si unì in matrimonio in una giornata del 1948, proprio quando venne a mancare il nonno Ippazio. Le nozze si svolsero dunque in sordina, con animo sommesso degli invitati e variazioni al programma, evitando clamori e passaggi in piazza Castello presso la casa del nonno. Una coincidenza che in qualche modo segnò ulteriormente il senso di vita rattenuta che i coniugi mantennero negli anni a venire.

Nel Salento, in quel periodo, era sensibilmente aumentata la coltivazione del tabacco. A Tiggiano fu costruito un nuovo magazzino in cui venivano lavorate le foglie secche destinate alla produzione di sigarette. L’esperienza maturata sin da bambina nella vecchia fabbrica permise ad Anna di svolgere il ruolo della cosiddetta Maestra che in seguito esercitò anche nella fabbrica di Botrugno, sempre di proprietà dei baroni di Tiggiano. Aveva ben appreso i processi di classificazione delle foglie di tabacco nei singoli comparti dell’opificio. Si esponeva con cognizione e non era insolita sostenere accesi contraddittori dinanzi ai nobili proprietari per dimostrarli i tempi minimi necessari alla lavorazione, di fronte alle loro pressanti e sistematiche richieste di velocizzarne la produzione. Riteneva doveroso tutelare strenuamente le centinaia di tabacchine che, per rincorrere maggiori profitti all’impresa, operavano in condizioni di estremo disagio e  fatica.

Al magazzino di Tiggiano la situazione stava chiaramente diventando insostenibile e la spasmodica offerta di manodopera fece lievitare forme più stringenti di selezione e di sfruttamento delle operarie. Una dozzina d’anni più tardi, le donne tabacchine organizzarono uno sciopero generale che durò ventotto giorni ed ebbe notevole risonanza nell’opinione pubblica ed ampia eco sulla stampa locale.

I coniugi Anna e Carmelo erano già emigrati nel New Jersey, entrambi con un lavoro in fabbrica, ove rimasero per tutto il periodo degli anni sessanta. Anna era stata assunta da un’impresa di confezioni per abbigliamento dove, nonostante il problema della lingua, riuscì ad apprendere il funzionamento di una complessa macchina che cuciva maniche di giacche. Anche negli Usa ebbe modo di essere altruista e mostrare il suo coraggio, soprattutto quando venne chiamata a fare un’iniezione ad un ammalato che portava una protesi all’arto interessato: un episodio che ricorda volentieri perché dapprima non voleva neanche provarci, col timore di non saper individuare la vena giusta in quella specifica condizione, ma che alla fine ci riuscì perfettamente. Ed ancora in una circostanza, proprio nei confronti del suo datore di lavoro, sofferente di una rara patologia, che, per pigrizia e superficialità, indugiò intere giornate a recarsi al centro medico, assai distante, per seguire la terapia antibiotica prescrittagli per cui si trovò in gravi condizioni, manifestando seri sintomi di infezione. Anna, dopo aver ricevuto le indicazioni del medico che aveva contattato telefonicamente, si propose ad intervenire in quella situazione di emergenza, nello stupore generale dei presenti, e si apprestò a preparare il farmaco e procedere all’iniezione; così, lentamente, l’imprenditore si rimise in sesto.

Nel 1967 morì la nonna Tini, sei mesi dopo aver soffiato le sue cento candeline. Anna e Carmelo esitavano a decidere se stabilirsi definitivamente in America oppure tornare in Italia.  Non avevano figli e l’amore per i genitori anziani li portò a scegliere di costruire una casa al posto della rimessa in via Manzoni e quindi rientrare a Tiggiano per avviarsi poi al pensionamento. Carmelo si dedicò a coltivare l’orto e agli hobbies della caccia e della pesca. Anna continuava a ricamare, prestare assistenza sanitaria ai bisognosi ed essere un continuo punto di riferimento per tutta la famiglia. Rimasta vedova nel 1992, ha sempre vissuto in via Manzoni e, da circa un anno, ancora in buona salute, dimora a Gagliano del Capo nella casa di riposo San Giorgio, dove prosegue la sua entusiasmante avventura”.

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