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Mercoledì, 24 Aprile 2024
La sentenza / Squinzano

Infondate le ragioni della Lega Navale: corretto il diniego alla proroga al 2033

Il Consiglio di Stato ha chiuso il contenzioso relativo a una concessione a Casalabate. Specificando che già in primo grado si sarebbe dovuta dichiarare l'inammissibilità del ricorso, comunque respinto

CASALABATE (Trepuzzi/Squinzano) – La Sezione Settima del Consiglio di Stato (presidente Roberto Giovagnoli, estensore Daniela Di Carlo) ha confermato la correttezza dell’operato del Comune di Squinzano che aveva opposto il diniego alla richiesta di proroga di concessione demaniale avanzata dalla sezione di Casalabate della Lega Navale Italiana. Dopo aver accordato la sospensione cautelare, a giugno scorso, l'analisi nel merito della questione ha definitivamente chiuso il cerchio.

Il provvedimento del Comune risale a luglio del 2021 e si fonda su due presupposti: la contrarietà della proroga automatica al diritto dell’Unione Europea (come sancito più volte dalla giurisprudenza maggioritaria e ribadito definitivamente da una storica sentenza dello stesso Consiglio di Stato del novembre del 2021) e la presenza di abusi edilizi non sanabili (già riscontrati nel 2004). La concessione, per la durata di cinque anni, risale al 2010 e riguarda una superficie di 7mila metri quadrati per uso nautico (poi integrata con una seconda concessione, sempre per cinque anni, per ulteriori 1600 metri quadrati).

Nell'aprile di quest'anno i giudici leccesi (Antonio Pasca presidente, Ettore Manca estensore) avevano comunque respinto il ricorso concentrandosi sulla questione degli abusi edilizi. I giudici di Palazzo Spada, dopo l’udienza che si è tenuta l’8 ottobre, hanno scritto in sentenza che il fatto che la parte ricorrente non si sia opposta al primo presupposto del diniego (la contrarietà al diritto Ue) avrebbe dovuto determinare già in primo grado la dichiarazione di inammissibilità del ricorso “in quanto è un principio consolidato dell’indirizzo esegetico seguito dalla giurisprudenza amministrativa che laddove un provvedimento amministrativo negativo sia sorretto da una pluralità di motivazioni fra loro autonome, ciascuna delle quali da sola sufficiente a sostenere il diniego, la fondatezza di una sola di esse priva di utilità (e quindi di interesse) la decisione del giudice sulle altre”.

Premesso questo, la sentenza del Consiglio di Stato chiarisce che il ricorso è da ritenersi comunque infondato: “Trattandosi di illecito permanente, la risalenza nel tempo dell’opera edilizia abusiva, di per sé, non incide sul potere di repressione dell’abuso da parte della pubblica amministrazione e il tempo non può legittimare in via di fatto una situazione di illegalità diffusa”.

Inoltre, aggiungono i giudici, il fatto che la parte ricorrente si sia prodigata per eliminare gli abusi dopo aver presentato la richiesta di proroga al 2033, ma prima di aver ricevuto il diniego del Comune, è sintomatico “della mancanza di una situazione di legittimo affidamento della ricorrente, che di fatto si è giovata per lungo tempo degli effetti permanenti derivanti dall’alterazione dello stato dei luoghi in conseguenza della realizzazione dei manufatti abusivi ad opera di un terzo soggetto e delle proroghe dei titoli che sono state emanate dalle varie Amministrazioni comunali che si sono succedute, e che ha perseverato nel comportamento di mantenere i suddetti abusi finché possibile, finanche dichiarandone l’esistenza nella domanda di proroga da ultimo protocollata”.

Soddisfazione per la sentenza è stata espressa da Beatrice Agata Mariano, componente della commissione straordinaria che nel frattempo si era insediata e che aveva deciso di resistere in giudizio davanti ai giudici del Consiglio di Stato affidandosi all'avvocato Alessandro Rosato: “Pur nel complesso contesto normativo e giurisprudenziale, la definitiva pronuncia  del  giudice amministrativo di secondo grado, confermando la legittimità dell’operato della Pubblica Amministrazione rispetto alle opere edilizie realizzate in assenza di titoli abilitativi, in un’ottica di tutela dei beni demaniali, rappresenta un significativo punto fermo per il ripristino della legalità, la restituzione alla collettività di beni pubblici e il loro corretto utilizzo, nel rigoroso rispetto degli obblighi derivanti dalle concessioni o imposti da norme di legge o di regolamento”.

Leggi la sentenza del CdS

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