Il sogno del patron di Deghi: “Vorrei che la città fosse orgogliosa di questi ragazzi”
L'azienda fondata da Alberto Paglialunga compete con i colossi dell' e-commerce. L'ultimo investimento, l'acquisizione delle ex Manifatture Tabacchi, è anche un atto di amore verso Lecce e un luogo che ha rappresentato un pezzo importante di storia del capoluogo
LECCE - Concepita nel 2009 da Alberto Paglialunga, che all’epoca non aveva ancora compiuto 30 anni, nel corso del tempo l’idea che è racchiusa nel nome Deghi è diventata una struttura operativa in costante e veloce crescita, che ha oggi 260 dipendenti e che ha appena annunciato l'ultimo di una serie di investimenti destinati a proiettare l’azienda - protagonista di primo livello nella vendita online di prodotti d’arredo per bagni, interni e giardino - in una fase nuova.
Attualmente sono 14 i magazzini, disseminati nell’hinterland leccese, ma in tempi molto ragionevoli aprirà i battenti prima un grande parco logistico, Parco Deghi, nella zona industriale e poi - un paio di anni sembrano un orizzonte razionale - ricomincerà a battere il cuore delle ex Manifatture Tabacchi di viale della Repubblica, praticamente alle soglie di uno dei quartieri più popolari e popolosi della città. Il vasto complesso si chiamerà Manifatture Deghi.
Molti spunti erano quindi già sul bloc notes quando Paglialunga mi ha accolto nel quartier generale sulla via per San Cesario, al primo piano del centro (dove prima c'era il Mercatone Uno) che ospita gli spazi espositivi. Nel corso dell'incontro, che si è prolungato per due ore, sono venuti fuori così tanti spunti che la suddivisione dell'intervista in due parti mi è parsa la scelta più logica, per non disperdere il carico degli argomenti discussi. La seconda e ultima parte sarà pubblicata venerdì, in tarda mattinata.
L’intervista non inizia con una domanda, ma con una considerazione. La genesi di questa avventura imprenditoriale richiama molto l’epica di alcuni nerd di successo: il prestito di poche centinaia di euro, il garage e altre cose che sono state già raccontate. C’erano le premesse perché potessi diventare una sorta di guru, invece nel tuo lessico c’è poco spazio per la prima persona singolare, perché preferisci parlare di gruppo, di squadra. E sei molto onesto quando riconosci alla fortuna, come hai fatto in più dichiarazioni, un ruolo importante nel tuo percorso.
“Nella vita bisogna dar merito a chi riesce a difendere il tuo sogno, facendolo proprio. Per me è facile svegliarsi la mattina, pensare al lavoro, lavorare e poi tornare a casa riservando anche l’ultimo pensiero al lavoro. Poi però ci sono le persone che hanno un orario di lavoro, ma che mi scrivono la sera tardi, anche durante le feste e allora mi rendo conto di essere riuscito a trasmettere con sincerità quello che era un mio proposito, riuscire a scrivere una pagina imprenditoriale bella che però non deve avere un solo volto. Le aziende che hanno un volto valgono quel volto, io invece devo far sì che questa azienda possa andare avanti senza il suo fondatore. Sarebbe la mia più grande soddisfazione vedere il team che va avanti senza chiedermi un parere. Io posso essere convinto di aver raggiunto tanto nella mia vita, forse più di quello che immaginavo, meritavo non so, ma oggi io vinco insieme agli altri: quando assumo con un contratto indeterminato, quando i ragazzi fanno corsi di inglese e informatica per migliorarsi, quando vedi la carriera di chi ha iniziato da zero con me, persone che magari non pensavano di avere certe potenzialità. Io sono fiero di loro e non ti nego che quando per strada passo inosservato sono molto contento, perché viene riconosciuto il logo, l’azienda, non il singolo”.
Si diceva della fortuna, a un certo punto, ma anche dell’intuizione. Cosa è rimasto oggi di quel che eri prima della svolta?
“I fallimenti, tanti. Porte chiuse in faccia, assegni non dati, svegliarsi senza sapere che fare. Inventarsi un lavoro. Sentirsi perdenti, non compreso. Non voler essere raccomandato. Non chiedere mai nulla a nessuno. Ho dei ricordi di quando lavoravo: ho anche venduto gadget natalizi, ma rientravo a casa a mani vuote perché non avevo la faccia tosta di entrare nei locali, nei negozi e chiedere se volessero acquistare qualcosa. Mi porto dietro tanta rabbia agonistica, per cui per me Deghi è stata la rinascita: vi ho visto un’opportunità e ci ho messo dentro tutta la mia vita. I migliori anni della mia vita”.
Nel 2021 l’annuncio del polo logistico nella zona industriale, pochi giorni addietro quello della ex Manifattura della British American Tobacco di viale della Repubblica. Oltre alle evidenti necessità di un’azienda in forte crescita, ha influito anche il desiderio di un legame fisico più forte con la tua città?
“Sono nato a Copertino, ma ho vissuto sempre a Lecce. Sono totalmente legato alla città. Più che legarmi, allora, vorrei farne parte. Vorrei, forse in maniera presuntuosa, che la città fosse orgogliosa di questa azienda, dei suoi ragazzi, del fatto che ce la giochiamo contro colossi. Questi spazi sono indispensabili per il nostro futuro, ma il messaggio che cerco di lanciare ogni volta che posso è che è possibile fare. Molte volte si ha la netta sensazione che si possa fare poco, io l’ho vissuta sulla mia pelle. Se sei una persona comune, ma hai forza di volontà, e sai tramutare in forza le cicatrici che ti porti dietro, allora puoi fare cose importanti nella tua terra e questa è la soddisfazione più grande per me”.
Esiste, in una parte del mondo imprenditoriale, una narrazione per cui la burocrazia e le istituzioni spesso non agevolano lo sviluppo, anzi. Qual è il tuo rapporto con chi governa il territorio?
“Parlo con le istituzioni delle esigenze aziendali, ma la politica non è mai entrata nella mia azienda durante il periodo elettorale. Il discorso istituzionale è diverso. Quando tu sei libero, ci parli serenamente con i rappresentanti del territorio. Se sei vincolato con una parte, fai fatica perché non sai mai se stai parlando alla persona più adatta. Ho un rapporto limpido, quindi, con le istituzioni: parlo con Alessandro Delli Noci perché è l’assessore regionale alle Attività Produttive; parlo con il sindaco Carlo Salvemini che è stato il primo a essere messo a conoscenza dell’investimento perché mi sembrava doveroso informare il primo cittadino di Lecce. E devo dire che così come io non ho mai chiesto nulla a loro, così loro non hanno chiesto nulla a me. Io non mi sono mai lamentato di nulla: a un certo punto brontolavo perché mancava l’Adsl, poi ho fatto da solo perché sembrava fossi diventato un testimonial della banda larga. Porto le merci a Bari, nonostante ci sia lo scalo di Surbo, che è chiuso: costa di più, sì, ma questo lo sappiamo. Siamo nel Tacco d’Italia ed è oggettivamente più difficile far arrivare o spedire le merci, però dobbiamo dire pure che c’è un grande vantaggio, che è quello del personale: è molto più facile trovarlo qui, per me, rispetto a contesti più affollati da aziende dove c'è un turnover più ampio perché l'offerta è superiore”.