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"L’anno che a Roma fu due volte Natale", fra dramma e comicità

"I toni da favola nera, da storia surreale, non sviano mai dalla cocente tragedia della realtà che lo scrittore coglie a pieno. Roberto Venturini ha scritto un grande affresco della contemporaneità"

L’anno che a Roma fu due volte Natale (SEM) di Roberto Venturini è uno dei dodici libri finalisti candidati all’edizione 2021del Premio Strega su proposta di Maria Pia Ammirati con la seguente motivazione: “Con il romanzo di Roberto Venturini L’anno che a Roma fu due volte Natale (SEM), ci troviamo di fronte a un dramma dall’inizio alla fine con al centro però la sorpresa di una grande scena dai rapidi lampi di comicità”.

“Non un paradosso, ma una tecnica combinatoria che fa della narrazione di Venturini una vera e propria miscela di generi, dove la tragedia si combina al grottesco. Il tutto armonizzato dalla fitta trama di rimandi, citazioni, metafore e analogie strappate al caos della contemporaneità, e dalla rutilante società dell’immagine fatta di televisione, pubblicità, politica, star system”.

“Sulla scena della periferia marittima romana si muove un mondo di perdenti, come nell’esplicita citazione di Amore Tossico di Caligari. I toni da favola nera, da storia surreale, non sviano mai dalla cocente tragedia della realtà che lo scrittore coglie a pieno. Roberto Venturini ha scritto un grande affresco della contemporaneità”.

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La protagonista del romanzo L’anno che a Roma fu due volte Natale, di Roberto Venturini è Alfreda, un’accumulatrice seriale, compulsiva e romantica che ha instaurato un legame emotivo con le cose di cui si circonda. Quell’accatastamento occupa fisicamente il vuoto lasciato dalla morte del marito, le concede tregua e un senso di affidabilità perché quel mondo inanimato non la può abbandonare, né deludere.

E nella dimensione onirica e allucinata del buio silenzioso della notte coltiva la sua amicizia con Sandra Mondaini, che ha conosciuto e ospitato una volta a pranzo con Raimondo Vianello ai tempi d’oro del Villaggio Tognazzi di Torvaianica, quando gli attori nelle pause di lavoro estive da Cinecittà ci trovavano la vicina comodità della vacanza.

La terapia di recupero per la cattiva gestione degli spazi domestici di Alfreda arriva dal figlio Marco quando le promette di aiutarla in un’impresa picaresca, cioè ricongiungere le salme di Sandra (sepolta a Milano) e Raimondo (sepolto a Roma) in cambio del disfacimento dalle cose superflue stipate in casa e la conseguente disinfestazione dell’ambiente malsano in cui abitano.

Da questo momento la storia assume balistiche strampalate, tragiche e comiche per i due protagonisti e la famiglia acquisita che li accompagna in quest’avventura delirante di riscatto e sentimento. Ogni personaggio è infatti testimonial di un degrado periferico, marginale (laddove il marginale è contemporaneo), e la cui somma restituisce un’installazione di arte relazionale che Venturini si occupa di conservare con una narrazione fatta di disarmante sincerità.

L’anno che a Roma fu due volte Natale è un’elegia romana in una palla di vetro; l’autore la capovolge nell’incipit per lasciar cadere lentamente la neve. Una coltre bianca copre l’arenile e le vite senza riscatto né emancipazione di un campione di umanità, inconsapevolmente rassegnato all’esercizio del fine grottesco mai; un’umanità che cammina e imprime lettere struggenti sul bianco immacolato a raccontare separazioni, strappi, e tentativi di ricongiungimento compiuti e non.

La lingua di Venturini è potente, alta nelle descrizioni particolareggiate, lirica nel rapporto con la natura, cinica e disincantata nel proporre battute memorabili in romanesco e mirabolanti colpi di scena.

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