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Il lavoro ai tempi del virus: Primo Maggio incentrato sulla tutela della salute

Una festa del Lavoro insolita, senza celebrazioni di piazza, che contempla nuove paure di restare senza occupazione e senza reddito. Cgil, Cisl e Uil: "Sono 15mila le aziende salentine che hanno chiesto la cassa integrazione"

LECCE – Una festa del lavoro senza celebrazioni in piazza e all'insegna della sicurezza e della tutela della salute pubblica: quest'anno il 1° maggio avrà una veste insolita a causa dell'emergenza coronavirus che ha trasformato provvisoriamente i modi e le forme della produzione.

La novità è già nel logo scelto dai sindacati confederali che riproduce l'immagine dei lavoratori che, in questi mesi di lockdown, hanno mandato avanti il Paese. A loro va il ringraziamento dei segretari generali di Cgil, Cisl e Uil Lecce, Valentina Fragassi, Antonio Nicolì e Salvatore Giannetto:  “Un grazie va rivolto a chi ha dimostrato che l'Italia si salva se riparte dal lavoro, a quanti hanno presidiato ogni postazione della trincea socio-sanitaria ed ai tanti che hanno continuato a fare il loro dovere”.

Il significato della festa del Lavoro quest'anno si è arricchito di nuovi scenari, decisamente non rosei: “Alle consuete problematiche del nostro Paese e del Mezzogiorno – chiosano i segretari - si sono sommate nuove paure ed inquietudini legate al rischio di perdere occupazione e reddito e al diritto alla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro”.

Questi sono stati i punti cardine dei Protocolli Covi-19 siglati, a livello nazionale, tra le parti sociali e il governo. Gli accordi sono serviti a fissare le regole per evitare i contagi negli ambienti di lavoro e per utilizzare gli ammortizzatori sociali per sventare i licenziamenti di massa. In  questo modo è stata garantita una ripartenza del sistema produttivo, per quanto graduale.

I protocolli hanno segnato una rivoluzione nell’approccio dei datori di lavoro in questa materia, ritenuta finora derogabile, ed infine una grande azione di controllo o di repressione delle inadempienze da parte delle stesse parti sociali e degli organi pubblici come Asl, Ispettorato del lavoro e Inail.

Il ricorso alla cassa integrazione, nella provincia di Lecce, è indicativo della crisi trasversale: sono 15mila le aziende che ne hanno fatto ricorso, per un numero di lavoratori stimato in oltre 80 mila, a cui sommare gli invisibili del lavoro domestico e di cura, del lavoro stagionale nel turismo e nello spettacolo, delle giornate in  agricoltura e delle partite Iva, vere o false.

Particolarmente preoccupante è il dato della cassa in deroga a causa della lentezza con cui sta procedendo l’esame delle istanze da parte della Regione Puglia.

A proposito della fase 2, i sindacalisti spiegano che il Paese e il Mezzogiorno devono trovare una modalità per ripartire in coerenza con il diritto alla salute e ripensando il rapporto fra valore sociale e valore economico delle attività produttive.

“Occorre ripartire da una programmazione di lungo e medio periodo della ricostruzione in un contesto europeo; ripartire da una coesione istituzionale e sociale e ripartire da una rinnovata centralità dell’intervento nei territori meridionali”, chiosano gli esponenti di Cgil, Cisl e Uil.

“Nel nostro Salento dobbiamo ricostruire un senso di comunità e ritornare ad essere un sistema territoriale, dobbiamo imparare a riconoscere le interdipendenze esistenti fra i sistemi produttivi locali, le reti infrastrutturali, l’efficienza della pubblica amministrazione, l’efficacia dei sistemi sanitari e della formazione e ricerca, i sistemi di protezione sociale nelle fragilità esistenziali, lo stretta legame fra buona impresa e buona occupazione”, concludono loro.

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