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"Zebù bambino": Cortese indaga la crudeltà del mondo adulto che ferisce l’infanzia

La raccolta poetica Zebù bambino di Davide Cortese è la prima pubblicazione della collana Deserti Luoghi della casa editrice Terra d’ulivi. La silloge, con la curatela di Giovanni Ibello, è "dedicata all’amico Gabriele Galloni che è stato il primo a leggere questi versi"

La raccolta poetica Zebù bambino di Davide Cortese è la prima pubblicazione della collana Deserti Luoghi della casa editrice Terra d’ulivi. La silloge, con la curatela di Giovanni Ibello, è dedicata all’amico Gabriele Galloni che è stato il primo a leggere questi versi.

Zebù bambino si apre dunque con una dedica al poeta Gabriele Galloni prematuramente scomparso nel 2020 e del quale TerzaPagina ha parlato il 6 settembre 2021 in occasione del primo anniversario della sua morte e ne parlerà ancora prossimamente per la raccolta postuma La luna sulle case popolari (Chi Più Ne Art Edizioni).

Chi è Zebù? Zebù è il diminutivo che il poeta Davide Cortese usa per parlare di Belzebù, il Principe dei Demoni per la tradizione cristiana. Una tradizione che ha lasciato scaturire una demonologia talmente complessa da permeare le tradizioni e le superstizioni europee per secoli.

Belzebù significa ‘Dio delle mosche’ (Ba’al : signore, padrone, di probabile derivazione accadica, e zĕbūb o z’bhubh: mosca), ma non tutti gli etimologisti concordano. Alcuni si oppongono infatti a questa lettura lineare e propendono a credere che sia Baʿal zĕbūl, in cui zĕbūl, da una radice araba con le consonanti z-b-l, stia per principe o anche per colui che si eleva, e dunque significhi Principe Baal.

Certo è che al netto del’etimo, nei secoli la letteratura se n’è sempre occupata: nella Divina Commedia il Sommo gli dedica il verso 127 del canto XXXIV dell’Inferno definendolo “principe de’ dimoni e de’ traditori di loro signori”, identificandolo con Lucifero, mentre per Golding ne “Il signore delle mosche” il male non è un’entità astratta, è qualcosa di insito nella natura umana da cui nessuno può salvarsi.

Nei versi di Davide Cortese, Zebù è raccontato come un angelo randagio con le ali nere, un gamin infuocato e irriverente dai due volti che si specchiano/nelle ginocchia sbucciate/del demone bambino. È un bullo contemporaneo che fa dispetti, scherzi, ruba all’emporio un lecca lecca a forma di cuore… e che manifesta una fragilità assoluta.

Talvolta se ne sta solo

ginocchia sotto il mento

in cima ad un pensiero

battuto dal vento.

Nessuno lo vede e piange

nel silenzio che fa spavento.

Lacrima zolfo, il piccolo Zebù

gocce che sfrigolano

cadendo giù.

Cortese indaga il male insito nella natura di Zebù, un male che è indipendente dalla sua volontà, e lo rende un male lirico, struggente. Il male di un ragazzino che nel silenzio della solitudine stilla umore sulfureo e genera il suo campo fumarolico d’azione, assuefatto a quell’odore sgradevole spesso collegato ai diavoli e ad altre presenze infernali.

Zebù rappresenta la crudeltà del mondo adulto che ferisce l’infanzia, le cicatrici impresse sulla pelle bambina, il corpo che acquisisce memoria del dolore e mai più lo dimentica. È il confine trasparente che lega notte e giorno (Scoccano insieme/ la mezzanotte e il mezzogiorno), luce e tenebra, e lascia che positivo e negativo si sovrappongano con l’illusione che l’uno diventi inizio e fine dell’altro senza però riuscirci mai.

Come due facce della stessa medaglia Zebù rappresenta il male insito naturalmente e Gesù il bene assoluto, restando necessari l’uno all’altro, ma di fatto inconciliabili.

Da un punto di vista stilistico e linguistico Cortese calibra il suo impianto lirico su versi semplici, con rime che hanno la spontaneità del linguaggio infantile e una certa genuina innocenza che ne accresce l’immediatezza, dimostrando una profonda maturità poetica e una levità mista a irriverenza, che è in fondo una forma assoluta di preghiera.

Zebù bambino è una plaquette preziosa arricchita dall’intensa postfazione intitolata Factum loquendi. Strumentario «per vedere il buio pesto» curata da Mattia Tarantino

A Nicea, nella chiesa dell’Assunzione, è conservato un antico mosaico. […] Il mosaico ci mostra due angeli.[…] Hanno uno sguardo obliquo […]

e da quel dono dell’obliquità si lascia ispirare la visione e la voce poetica di Davide Cortese.

Davide Cortese è nato a Lipari nel 1974 e vive a Roma. Laureato in Lettere moderne all’Università di Messina, ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie nel 1998 con il titolo ES (Edizioni EDAS), alla quale sono seguite: Babylon Guest House (Libroitaliano), Storie del bimbo ciliegia (Autoproduzione), ANUDA (Aletti. Diventato poi un e-book con Edizioni LaRecherche.it), OSSARIO (Arduino Sacco Editore), MADREPERLA (LietoColle), Lettere da Eldorado (Progetto Cultura),  DARKANA (LietoColle) e VIENTU (Poesie in dialetto eoliano – Edizioni Progetto Cultura).

Ha pubblicato poesie in antologie e riviste cartacee e on-line. Nel 2015 in Campidoglio ha ricevuto il Premio Internazionale “Don Luigi Di Liegro” per la Poesia. È anche autore di due raccolte di racconti: Ikebana degli attimi (Firenze Libri), NUOVA OZ (Escamontage), del romanzo Tattoo Motel (Lepisma), della monografia I MORTICIEDDI – Morti e bambini in un’antica tradizione eoliana (Progetto Cultura), della fiaba Piccolo re di un’isola di pietra pomice (Progetto Cultura) e di un cortometraggio, Mahara, premiato dal Maestro Ettore Scola a EOLIE IN VIDEO nel 2004 e all’EscaMontage Film Festival nel 2013.

Ha inoltre curato l’antologia-evento YOUNG POETS * Antologia vivente di giovani poetiGIOIA – Antologia di poeti bambini (Con fotografie di Dino Ignani. Edizioni Progetto Cultura) e VOCE DEL VERBO VIVERE – Autobiografie di tredicenni (Escamontage).

Accanto alla copertina della raccolta, l’opera Sinestesia (2015) di Annamaria Amabile.

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