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"Cinquecento catenelle d'oro", il potere magico delle storie, dei libri e del cinema

Salvatore Basile, sceneggiatore de “Il Commissario Ricciardi” e “I bastardi di Pizzofalcone” per citare solo alcune fiction RAI, parla del suo terzo romanzo Cinquecento catenelle d'oro su TerzaPagina

Il nuovo romanzo di Salvatore Basile Cinquecento catenelle d'oro (Garzanti) è la celebrazione assoluta del potere magico e salvifico delle storie, dei libri e del cinema. Fin dalle prime pagine incontriamo la piccola Maria Pepe la cui vita semplice è scandita da pochi gesti: occuparsi della terra e raccogliere quotidianamente secchi d’acqua da un pozzo in mezzo ai campi di grano. Sullo sfondo della narrazione Calandra, un paese immaginario del sud Italia sul finire dell’800, un’ ambientazione che diventa a sua volta un personaggio a tutti gli effetti.

Maria vive con un padre amorevole e gentilee una madre dura, ruvida e severa. In casa nessuno sa leggere fino a quando una nobildonna, la Baronessa Matilde, da cui Maria va a servizio, non decide di insegnarle a leggere e trasmetterle l’amore per i libri e la cultura. Maria è intelligente, volenterosa, motivata a conoscere e in questo esercizio di alfabetizzazione assapora anche la libertà, la libertà di capire il mondo in maniera diversa. È così che concepisce il potere magico che solo la cultura può insegnare: la possibilità di scegliere.

Quando la baronessa muore e le lascia la sua proprietà, il Barone, suo fratello, imbarca una battaglia per riottenere a tutti i costi cosa gli è stato “ingiustamente” tolto.

Per la famiglia di Maria non è semplice gestire questa fortuna inattesa; è una fortuna che comporta un sacrificio enorme in termini economici il mantenimento di questa improvvisa eredità. Ecco perché suo padre decide di partire per l’America in cerca di lavoro.

Alla morte della baronessa, ormai figura di riferimento per Maria, si aggiunge lo strappo della separazione dal padre; è l’inizio di un periodo molto duro, aggravato dalle critiche e dal disappunto materno ingigantito dall’ incapacità di riconoscere nella figlia una sua simile.

Sono le fotografie in bianco e nero che il padre le spedisce dall’America e i suoi racconti di palazzi che toccano il cielo, di fotografie che si muovono, di treni che corrono sullo schermo a tenerle compagnia insieme a Domenico, un giovane fotografo. L’incontro tra Maria e Domenico sancisce la nascita di una grande storia d’amore e il consolidamento del cambiamento che sta avvenendo in lei.

Il maschile amorevole rappresentato dal padre e da Domenico le danno infatti la forza di osare, la determinazione a voler perseguire un percorso di libertà ed emancipazione.

Il femminile gioca un ruolo altrettanto importante in questo romanzo: sono le donne tra forza e dolcezza a muovere il mondo narrativo di Basile; donne che l’autore ha conosciuto nella quotidianità e trasformato in esseri di carta capaci di generare dinamiche e snodi fondamentali nel corso della storia. Sono donne ricche, povere, molto diverse tra loro, ma tutte dotate di un lessico emotivo tale da affascinare e insegnare.

Cinquecento catenelle d'oro è un romanzo maturo, quello che più di tutti gli altri somiglia all’autore; il romanzo da cui traspare ancor più nettamente la bellezza del suo animo, semmai fosse possibile, e la sua capacità unica di scrittura. Parole morbide, poetiche e ricche di speranza che abbracciano il lettore e lo inchiodano alla dolcezza di questa lettura.

Intervista a Salvatore Basile

Dopo "Lo strano viaggio di un oggetto smarrito" e "La leggenda del ragazzo che credeva nel mare" torna alla scrittura con "Cinquecento catenelle d'oro". Com’è nato quest’ultimo libro?

L’idea è nata dalla concomitanza di due “scoperte”. La prima è stata, anni fa, la figura di Elvira Notari, che ho conosciuto grazie a un’amica sceneggiatrice. Elvira Notari è stata la prima regista italiana, agli inizi del ‘900. Napoletana, ha iniziato a riprendere scene di vita quotidiana per strada, poi è passata al racconto cinematografico, fino a girare più di 100 film in America. È morta sola e dimenticata a Salerno, negli anni ’40. Una figura incredibile di donna coraggiosa e intraprendente, regista e donna in un periodo in cui alle donne erano vietate quasi tutte le strade professionali. La seconda scoperta è arrivata seguendo un seminario di Galimberti, nel quale raccontava che nell’entroterra lucano del 1950, alcuni paesi non conoscevano l’esistenza degli specchi. Fu l’antropologo De Martino a portarne alcuni durante le sue visite di studio. Le persone cadevano in crisi mistica, nel vedere la propria immagine riflessa con tanta nitidezza. Da quel momento, ho cominciato a ragionare su come sarebbe stato, nel periodo di nascita del cinema, in una di quelle zone, venire a sapere delle “fotografie che si muovono”, senza conoscerne il reale meccanismo. Non il cinema in sé, quindi, ma la sua idea indefinita in un contesto nel quale perfino le fotografie erano rare, a molti sconosciute. Poi è arrivata Maria Pepe, con la sua storia tra le mani.

Chi è per lei Maria Pepe, la ragazzina protagonista del suo ultimo romanzo?

È una figlia, una madre, una delle mie prozie conosciute appena nell’infanzia. È la forza ancestrale di cui è impregnato il Sud di ogni angolo del mondo. Ma soprattutto è il simbolo delle donne che, non solo non si arrendono, ma continuano a generare la vita. Ogni figura del romanzo genera vita, rigenera, partorisce con le parole e con le azioni ciò che determinerà le azioni degli altri. Mi piace pensare che Maria possa rappresentare tutte le donne che sanno usare l’immaginazione per cambiare la loro vita e quella degli altri.

Nei suoi romanzi il luogo di ambientazione è sempre un paese immaginario. Come costruisce queste ambientazioni magiche eppure così credibili da far credere che esistano davvero?

Mi piace “inventare” paesi immaginari, in questo modo posso adattare la loro conformazione al racconto, modellare i paesaggi, le case, le strade e il clima sugli stati d’animo dei protagonisti e, quindi, fare in modo che interagiscano con la storia come dei personaggi. La credibilità deriva dal fatto che li colloco in zone davvero esistenti, che conosco bene, nelle quali ho vissuto oppure ci sono stato di passaggio, soprattutto nell’infanzia. Lo sguardo che avevo da bambino mi restituisce una magia che è già “incorporata” e strutturata nel ricordo, con la nitidezza che deriva dall’emozione vissuta con quello sguardo ingenuo ma aperto, attento, curioso, privo di prevenzioni

A differenza dei due precedenti romanzi questa storia è lontana nel tempo- il suo libro mi ha fatto pensare a Nuovo Mondo di Emanuele Crialese. Cosa le interessava lasciar trapelare di quel mondo italiano di fine ottocento fatto di povertà e immigrazione  verso gli Stati Uniti?

Soprattutto la condizione femminile e quella delle classi disagiate. La povertà che i nostri genitori hanno provato solo in tempi di guerra e che, allora, invece, rappresentava il quotidiano. La fame che ti costringe a lottare alla giornata, a sognare lo stretto necessario per sopravvivere. Ho avuto (e ho ancora) la sensazione che, in quelle condizioni, sviluppare l’immaginazione per “sognare in grande” fosse un lusso e un’attività addirittura disdicevole. Eppure, l’unico mezzo per cambiare in meglio la vita. Come ancora oggi, come sempre.

In questo romanzo omaggia anche il cinema e il suo potere rivoluzionario. Che cos’è per lei il cinema? E cosa rappresenta il cinema per Maria, la protagonista del libro?

Il cinema, per me, è la mia infanzia, i primi film visti in televisione o nei cinema parrocchiali, nei cosiddetti cinema di terza visione che oggi non esistono più. E quindi un immaginario rivelato e, insieme alla lettura, la possibilità di trasportarsi altrove e realizzare le fantasie, prendere spunto per innescarne altre. Oggi è qualcosa di molto diverso: tranne alcune felici eccezioni (che per fortuna esistono ed esisteranno sempre), il cinema, a mio avviso, si è appiattito su sé stesso, riproducendo schemi narrativi che sono ciascuno la riproposizione se non la copia del precedente. Credo che l’innovazione del linguaggio narrativo, che una volta era una delle funzioni del cinema, sia oggi appannaggio della serialità di alto livello.

Per Maria, invece, il cinema è un’idea che non riesce a mettere a fuoco, ma nella quale spera. Lei sa che, dall’altro capo del mondo, le fotografie si muovono, gliel’ha scritto suo padre. E quindi si fida, gli crede. Dovrà scoprire che questa sorta di miracolo si chiama cinematografo. E che può cambiare la sua vita e quella di tantissime altre persone.

Salvatore Basile è nato a Napoli e vive a Roma, dove lavora come sceneggiature e regista. Tra le sue sceneggiature ricordiamo: Ultimo, San Pietro, Cime tempestose, La cittadella, Sarò sempre tuo padre, L’uomo sbagliato, Fuga per la libertà, Giovanni Paolo II, L’uomo che cavalcava nel buio. È ideatore di serie tv come: Il giudice Mastrangelo, Il Restauratore, Un passo dal cielo e Una pallottola sul cuore. Ha curato, inoltre, la regia de L’uomo che cavalcava nel buio e di alcuni episodi de Il restauratore, Don Matteo 8 e Un passo dal cielo 2. Ha lavorato a due serie Tv tratte dai romanzi di Maurizio De Giovanni (Il Commissario Ricciardi) e di Chiara Gamberale (Le luci nelle case deli altri).

Dal 2005 è docente del Master in Sceneggiatura televisiva e cinematografica presso l’Università Cattolica di Milano. Per Garzanti ha pubblicato Lo Strano Viaggio di un Oggetto Smarrito (2016) i cui diritti sono stati venduti in Germania (Blanvalet); in Grecia (Mamaya), in Francia (Editions Denoel) e in Albania (Dituria), La Leggenda del Ragazzo che credeva nel mare (2018) i cui diritti sono stati acquistati in Germania (Blanvalet) e Cinquecento Catenelle D’Oro (aprile 2022).

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