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Martedì, 16 Aprile 2024
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Simona Lo Iacono e il lavoro di recupero della memoria della "tigre di Noto"

Il romanzo del magistrato del tribunale di Catania è un omaggio e una riscoperta di una donna, la professoressa Anna Maria Ciccone, che ha dedicato la vita alla scienza e che nel contempo, con astuzia, forza e coraggio, ha combattuto i nazisti

“Penso che la matematica sia una delle manifestazioni più significative dell’amore per la sapienza e come tale la matematica è caratterizzata da un lato da una grande libertà e dall’altro da un’intuizione che il mondo diciamo è grandissimo, è fatto di cose visibili e invisibili, e la matematica ha forse una capacità unica tra tutte le scienze di passare dalla osservazione delle cose visibili all’immaginazione delle cose invisibili [...]” Ennio De Giorgi (Lecce,1928/Pisa,1996), vincitore dei premi Wolf e Caccioppoli.

Non cito a caso il nostro professor Ennio De Giorgi, perché lui e la professoressa Anna Maria Ciccone, la protagonista de La tigre di Noto (Neri Pozza) l’ultimo romanzo di Simona Lo Iacono, hanno molto in comune: sono entrambi laureati in matematica, hanno insegnato alla Normale di Pisa applicando una metodologia sperimentale con percorsi didattici nuovi, hanno amato incondizionatamente i libri, sono stati generosi verso il prossimo, e hanno nutrito la convinzione che la scienza avesse bisogno della poesia per interpretare l’universo; e nessuno dei due ha avuto un adeguato riconoscimento postumo.

Per Anna Maria Ciccone il percorso di recupero storico e letterario è fortunatamente iniziato un pomeriggio di due anni fa quando la scrittrice Simona Lo Iacono la sente nominare per la prima volta; è l’avvocatessa Rina Rossittoa parlarle della tigre di Noto mentre sono al carcere di Bicocca per allestire lo spettacolo I civioti in pretura di Martoglio con alcuni detenuti minori.

Simona Lo Iacono inizia a cercare e trova una ricerca condotta dal dottor Mario Piccolino, un neurofisiologo sperimentale, che durante studi di altra natura incappa casualmente in una lettera scritta dal rettore della Normale alla professoressa Ciccone nel 1944. Le ricerche proseguono in campo storico, e infine negli archivi della Normale, e con i brandelli raccolti, Simona Lo Iacono riesce a restituire voce, giustizia, memoria ad una donna che con astuzia, forza e coraggio ha combattuto i nazisti; li ha combattuti dapprima per difendere il suo mentore all’Istituto di Fisica della Scuola di Ingegneria, il professore Gerhard Herzberg, primo nella lista degli Indesiderabili,e poi tutti i libri della biblioteca della Scuola Normale Superiore di Pisa quando inizia il progetto “la scienza degli ebrei senza ebrei”, con lo scopo di eliminare quel popolo distruggendone i libri (si stimano circa centomila volumi in tutta Europa).

La durezza della Storia sullo sfondo si somma e incastra con la dolcezza di una donna empatica, altruista, controcorrente, determinata, visionaria che, con uno sguardo traballante e imbambolato dalla luce e spesso sfiorato dal buio della contingenza, racconta un gioco di rovesciamenti continui capace di ripristinare un equilibrio, una compensazione: il dolore del rifiuto familiare per le sue scelte, la capacità di trovare affetto materno surrogato in Rosa, la governante, e poi in Cate, l’affittacamere di Pisa; il dolore della rinuncia di un amore sfiorato e il dono inatteso di un legame coassiale più grande.

La tigre di Noto è un romanzo costruito per immagini immaginate, alcune nitide, altre sbiadite, tagliate, sbavate di pianto, o dai bordi ingialliti, e dagli angoli storti; un album narrato in cui emerge il movimento coreutico degli atomi, l’analisi chimica degli oggetti astronomici, l’osservazione del cielo notturno, il valore etimologico della parola desiderio (de-sidera), e con grazia, garbo e tenacia la catarsi da un’epoca oscura grazie alla luce naturale dell’intelligenza emotiva di una donna che soffre senza mai disperarsi.

Simona Lo Iacono affonda le mani nelle pieghe più dolorose e incantate della sua vita, e ci accompagna in un viaggio narrativo di spostamenti fisici e movimenti interiori, come se l’occhio inceppato di Mariannina, in cui si poteva annidare qualcosa di slabbrato, un presentimento di follia o ingiustizia, fosse rivolto verso l’interno e la guidasse ad una conoscenza sempre più profonda di se stessa, e della sua esperienza professionale da scienziata.

Anna Maria Ciccone crede nell’esistenza di un legame nascosto, di un vincolo sacro tra povertà e conoscenza, sebbene fosse nata in una famiglia di ricchi commercianti che la ostacola e la rimuove dalla visione genealogica per il suo atto di ribellione, quando alla vita regolare di figlia-moglie-madre preferisce l’emancipazione, il bisogno di un laboratorio tutto per sé se volessimo parafrasare Virginia Woolf.

I personaggi di Simona Lo Iacono sono imperfetti, difettosi, inadeguati al mondo e al tempo che abitano, eppure sempre umanamente straordinari; e l’autrice ce li racconta con sincerità, delicatezza e uno sguardo materno che sa creare un legame con il lettore permettendogli di carezzare il visibile e l’invisibile della narrazione; in questo romanzo inoltre la cifra stilistica si fonda su una teoria che potremmo definire dei climi linguistici con cui l’autrice sa abilmente restituire la veracità solare della lingua del sud, delle sue radici,  e tutta l’asprezza polverosa della Germania nella sua ora più buia mentre progetta e mette in  atto la seconda guerra mondiale e le persecuzioni razziali.

Dagli studi compiuti sulla vita della professoressa Ciccone, è stato possibile evincere quali poeti leggesse? E se così non fosse, secondo lei quali avrebbero potuto essere i suoi preferiti?

“No, non abbiamo notizia delle poesie predilette dalla professoressa Ciccone, ma la poesia che maggiormente si addice alla sua personalità è quella che mette in relazione le cose, che contempla la bellezza, che associa gli esseri viventi gli uni agli altri. Sono certa che – da buona abitante della “Magna Grecia” – Anna Maria avrà  amato i lirici greci, il loro sguardo incantato sulla natura e sugli astri, la loro apertura al mistero del creato come segno dell’amore e del dolore dell’uomo. Ad esempio è molto probabile che Anna Maria Ciccone conoscesse i versi vertiginosi di Saffo, quando dice: “Tramontata è la luna, e le Pleiadi a mezzo della notte…”

“È attraverso poesie come questa che scandagliava l’universo, comprendendo che l’osservazione estatica dei versi la metteva a contatto con il mistero e  con le nascoste leggi della fisica”.

Nella ricerca della voce dell’autrice, quale aspetto la ha aiutata maggiormente? e qual è stato il momento del processo preparatorio in cui ha compreso di averla veramente trovata?

“L’aspetto che mi ha aiutata maggiormente a penetrare l’intimo sentire della protagonista è il suo sguardo. Perché è nel modo in cui guardiamo il mondo che si gioca la nostra scelta tra bene e male, tra indifferenza e compassione, tra condivisione e rifiuto. Lo sguardo di Anna Maria è apertissimo, non giudica, sa collocarsi dove altri non guardano, è controcorrente. Mi è piaciuto il coraggio di questo sguardo, il suo saper percorrere strade che altri avrebbero evitato, il suo anelito di attraversare non solo la luce ma anche il buio. E quindi ho veramente  trovato Anna Maria Ciccone quando ho “indossato” i suoi occhi, quando ho fatto mio il suo modo di percepire la creazione e di leggere su di essa, come se fosse un libro”.

Per concludere, nella lista dei suoi classici preferiti quale occupa il primo posto? Ce lo racconta in un tweet?

“Tutti i libri di Anna Maria Ortese, e tutte le storie  sulle sue creature piccole, defilate, scompaginate. L’imperfezione della loro vita, e quindi la loro luminosa altezza”.

Simona Lo Iacono è un magistrato del tribunale di Catania. Il suo quarto romanzo Le streghe di Lenzavacche (Edizioni E/O, 2016), selezionato nella dozzina del Premio Strega nell’anno della sua pubblicazione, ha vinto il Premio Chianti. Ai romanzi  Il morso (2017) e  L'albatro (2019) segue La tigre di Noto (tutti editi da Neri Pozza), pubblicato lo scorso 29 aprile.

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