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La poesia di Donati dà speranza lirica alla libertà e al futuro

La rubrica TerzaPagina apre il 2022 parlando di poesia con l’augurio che quest’anno ci sia poesia nella vita di tutti. Il primo ospite è Sergio Daniele Donati con la sua raccolta di esordio Il canto della Moabita (Ensemble – collana Alter Poesia)

Il canto della Moabita

Davanti al pozzo

nel deserto

la Moabita cantava;

chiamava a sé

la discesa sacra.

Piogge invisibili,

ciglia,

pelle scura

(e il) bronzo della mia spada.

La Moabita cantava

davanti al pozzo;

spostavo i sandali

su terre arse,

cieco, muto, non udente.

La Moabita,

davanti al pozzo,

cantava,

e il mio viaggio

terminava là

nella terra del miracolo.

Mi chinavo ai suoi piedi,

cieco, muto, udente.

La Moabita cantava davanti al pozzo.

e leccavo la sabbia

e le mani si poggiavano

sui suoi polpacci.

Muto, udente, vedente.

La Moabita cantava

davanti al pozzo

le cingevo i fianchi

vedente, udente

e la voce (mia, non mia)

sapeva di sale

e del volo della poiana

nel deserto dei miracoli.

«Dammi un nome, Moabita», supplicavo.

Mi posava una mano sul volto

e cantava

e chiamava la discesa

sacra.

Nel deserto dei miracoli

davanti al pozzo

la Moabita cantava

e calava il sole

e sorgeva la luna.

«Dammi un nome, Moabita», chiedevo

il volto rigato da lacrime

di petrolio.

Nel deserto dei miracoli

davanti al pozzo

la Moabita cantava

e guardava nei miei occhi

e chiamava la discesa

sacra.

«Dammi un nome, Moabita».

Nel deserto dei miracoli

davanti al pozzo

la Moabita si offuscava

e chiamava la discesa

sacra

con formule antiche.

Mi teneva per mano

e mi chiamava KolHamidbar - קול המדבר*

 e la discesa sacra

scendeva

sui nostri volti

eterni.

(*KolHamidbar – קול המדבר significa in ebraico Voce del Deserto)

Con questa poesia, che le dà il nome, si apre la raccolta di esordio di Sergio Daniele Donati per la collana Alter poesia della casa editrice Ensemble. Una poesia che ci conduce all’immediata conoscenza della Moabita e del suo canto. Il poeta invoca la Moabita per eccellenza, la principessa Ruth, modello di lucidità, convinzione e coraggio, le chiede di donargli un nome per definire la sua identità poetica e circoscrivere le sue radici liriche.

Se nella raccolta La légende des siècles di Victor Hugo la stessa Ruth è cantata per evocazione e di lei, nella poesia Booz endormi, il poeta per simmetria inversa sublima Booz, il maschile, la vecchiaia e un certo simbolismo fallico secondo la lettura lacaniana, in Donati invece Ruth è un’amica (etimologicamente intesa), il simbolo di un’alterità, di un conflitto che si risolve in integrazione; di un’alterità prossima e vicina, conflittuale sì, ma non oppositiva perché il conflitto di cui parla l’autore è appunto passibile di elaborazione; di un’alterità femminile, nella sua accezione spirituale, che dà vita e corpo alla voce poetica. Ruth ha una forte valenza profetica, è un richiamo esplicito contro ogni discriminazione sia nei confronti della donna che nei confronti degli stranieri. Con Ruth, Dio si fa provvidenza per l’uomo attraverso l’uomo stesso. La liberazione dei più deboli da ogni forma di schiavitù tocca invece al singolo e alla comunità, senza deleghe o supplenze.

Su ognuno grava la responsabilità di farsi salvezza per il fratello. È questa l’attualità della lettura della figura di Ruth in tempi di rigetto del forestiero, di timore del migrante, di disprezzo del bianco verso il nero, di guerre nazionaliste, di tensione fratricida fra l’integralista e il progressista, di sospetto reciproco fra le religioni occidentali e orientali. Con Donati si intravede la possibilità di un’alterità riconosciuta proprio come è avvenuto per Ruth. Donati come Ruth, anch’egli mosso dall’amore, l’unico linguaggio che rinnova la vita dal di dentro, dà speranza lirica alla libertà e al futuro. E il suo futuro è già presente nelle significative poesie dedicate al figlio Gabriel, da Ruach (traduzione dall’ebraico: vento) alle sei Benedizioni per mio figlio mentre dorme (e sogna), a cui seguono le Benedizioni del bambino per tutti:

C’è distanza tra parlare e dire./lo puoi capire solo se la Parola è sacra per te/e il Silenzio è la tua guida. /Che sia questo il sogno di tutti voi.

Dal Regno del Silenziosi approda a quello del Sogno e qui, tra incagli negli specchi, balbettii di parole e un monito all’ego che trasborda, emerge la dimensione onirica che riporta alla purezza infantile. Una purezza scevra di emozioni sociali indotte; una purezza immediata, cruda e fragile, luminosa, cullata dalla nenia sommessa della vita che si canta e, che, cantata parola dopo parola, dà forma allo sguardo. Uno sguardo non miope, ma solo ignaro della balistica che il fato sta disegnando tra quotidiano e sublime.

Nella terza parte intitolata Nel Regno della Parola, se volessimo considerare il silenzio come alterità della parola che l’autore ammanta di assoluta sacralità, l’equilibrio tra significato e significante si rende perfetto: Giunchi di cristallo, pensieri color indaco; la lira d’ambra del rapsodo; il suono di miele delle sue ciglia vissute; Le lacrime evaporano, verticali; La mia gola è porpora. C’è dunque una cura e un’attenzione al verbo che ci permette di definire questo poeta colto e raffinato, e la sua poesia onirica e al contempo immediata.

Donati conosce il peso dell’inchiostro e della memoria e li dosa con accuratezza per mantenere un perfetto equilibrio tra sostanza concettuale ed estetica. La sua poesia è parola che inciampa sul silenzio:

Inciampare sul Silenzio

La parola sorge dal Silenzio e al Silenzio torna. In mezzo, la balbuzie umana tende fili di significato sognato, cercato. Costruiamo il nostro mondo onirico attorno ai nostri inciampi, consci dell’impossibilità di dire, schiavi del nostro anelito all’ordine. Ci sostengono flussi millenari di conoscenza, anch’essi sorti dal Silenzio e, attraverso la Parola, giunti al nostro sguardo bambino. E appoggiamo l’un l’altro i nostri limiti, poiché l’altro ci sostiene e l’Altro ci definisce. La parola sorge dal Silenzio e al Silenzio torna, conscia di aver detto solo il contorno di un firmamento indicibile.

La sua poesia è il canto dell’imperfezione che ci rende umani finiti e bisognosi dell’altro per definirci come corpi nello spazio, siderali. Desideri di carne che avvolgono lo spirito.

Sergio Daniele Donati (Milano, 1966) è un avvocato, studioso e insegnante di meditazione ebraica ed estremo orientale. Insegna cultura ebraica e meditazione in associazioni e scuole di formazione. È stato allievo di Haim Baharier e di altri maestri di pensiero ebraico. Autore del libro E mi coprii i volti al soffio del Silenzio (Mimesis, 2018), con Il canto della Moabita è alla sua prima raccolta poetica.

Accanto all’immagine di copertina del libro, il dipinto di William Blake del 1795 Noemi invita Rut e Orpa a ritornare in terra moabita (fonte Wikipedia).

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