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Giovedì, 25 Aprile 2024
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“Pong”, il mondo in equilibro tra follia e ironia di Sibylle Lewitscharoff

Lewitscharoff è una scrittrice che approfitta del territorio della narrazione per manifestare il suo sapere, una commistione di teologia, filosofia e psicanalisi, e ha la capacità alta di mescolarle e narrativizzarle senza sottrarre godibilità

A un pazzo il mondo piace perché lui ci vive al centro. Non da qualche parte in un centro qualsiasi, ma proprio nel pericoloso nucleo più denso, il centro dell'uovo. Spostare un solo capello in quel fragile spazio farebbe vacillare il mondo e deragliare dall'orbita luna sole via lattea e addio al sistema. Tutto questo un pazzo lo sa perfettamente e allora per esempio si guarda bene dall’alzare il braccio troppo in alto per il saluto, di modo che non accadano disgrazie, massi non rotolino precipitando giù dall’alto, i grandi sui più piccoli, e poi altri ancora più grandi sui più piccoli, e poi altri ancora più grandi su quelli già enormi, e finiscano per spezzare i cardini sottili a cui è appeso il mondo. […] E che altro? Altre paure? Sì. Purtroppo paure a palate.

La paura che salti un bottone.

La paura di essere solo tratteggiato.

La paura di perdere le connessioni celesti.

La paura che gli entri l’aria ghiacciata dall’ombelico.

La paura che false consorti lo citino in giudizio.

Questo è l’incipit di Pong, il primo romanzo di Sibylle Lewitscharoff pubblicato quest’anno in Italia da Del Vecchio Editore con la curatela (traduzione e saggio conclusivo) di Paola Del Zoppo per la Collana forme lunghe, che dell’autrice ha già tradotto Apostoloff e Blumenberg.

Un incipit che è una caduta verticale nella storia di Pong, nelle sue paure, nelle sue fobie destate da un bottone che salta, dall’idea di essere un’immagine frammentata dal tratteggio e non dalla compattezza della carne, di perdere i contatti con il divino, che l’aria ghiacciata gli entri dall’ombelico, e che false mogli lo chiamino in giudizio. Pong è come un quadro. Dentro quel quadro c’è Pong. Al punto che non si è in grado di dire se sia vero o solo un’immagine. È Pong. È proprio lui. È il personaggio, è il romanzo stesso.

La sua è la storia di un personaggio umano e irrazionale pieno di interrogativi sinceri e folli, che con il suo pensiero delirante misura cose, persone, amori, dolori e solitudini.

Pong è un pescatore di uomini e storie, un pensatore profondo e delirante; un insoddisfatto e un deluso che spera e cerca di compiere le missioni che una voce gli assegna, e accompagna al contempo il lettore nell’ascolto vocale di questa entità superiore per dare un senso all’umanità e alla paura, e tra l’essere e il nulla trova il divenire: il miracolo della trasformazione, che non è sua, individuale, ma è un momento trasformativo cosmico.

Così si assiste alla nascita di Pong già adulto. Con tutti i denti e i capelli perché il suo non è un parto normale, viene al mondo in un Zac che lo rende impermeabile alle menzogne. Non lotta con la menzogna, però la pelle si irrita moltissimo. […] vive in un involucro speciale e per evitare il pericolo è obbligato a evitare connessioni con le altre persone. E ha i suoi metodi per tenere la gente lontana.

Non ha antenati, ma si assiste alla cova e alla schiusa delle uova da cui nascono i suoi discendenti, il maschio Resbam e la femmina Resbal che sono molto piccoli tanto da tenerli sul palmo di una mano e che a loro volta generano figli, e con una stilografica annota il carattere di ognuno, il lascito testamentario. La sua è una progenie con cui dare avvio ad un epilogo, alla trasmigrazione dall’Era del Grande Uomo a quella del Piccolo Uomo per poi svanire nell’inconcepibile.

In Pong convogliano e stratificano molte esperienze letterarie, ma particolarmente importante è quella narrativa e tematica di Daniel Paul Schreber con Memorie di un malato di nervi in cui c’è la follia, un rapporto particolare con Dio, la missione di creare una nuova umanità, ma per farlo Schreber necessita di essere evirato e trasformato in donna, solo così può partorire altri Esseri. Ma la coazione a pensare disturba il suo piano, non è padrone dei suoi pensieri in quanto plasmati e guidati da forze oscure; i suoi pensieri sono responsabili dei demoni che si insinuano nel dialogo costante che intrattiene con Dio.

Se Schreber incarna l’immagine di un’Europa prossima ad essere sopraffatta dalla paranoia, Pong, che va incontro alla luna con un grido di gioia, lascia un finale aperto.

Lewitscharoff è una scrittrice che approfitta del territorio della narrazione per manifestare il suo sapere, una commistione di teologia, filosofia e psicanalisi, e ha la capacità alta di mescolarle e narrativizzarle senza sottrarre godibilità.

In occasione della vincita del Premio Bachman nel 1998 (giudicato dalla giuria come un romanzo narrato in un esperanto poetico dei migliori), il Süddeutsche Zeitung affermò che a differenza di altri vincitori che si sono sforzati di espandere i principi del linguaggio, Lewitscharoff ha inventato un linguaggio tutto nuovo tessendolo con mano leggera.

La mano leggera di un’autrice dalla scrittura precisa, cristallina, lirica con dialoghi interiori commoventi, una lingua nuova, il lewitscharoffiano, che la traduttrice Paola Del Zoppo restituisce in italiano con grazia e cura mantenendo un equilibrio assoluto tra follia, ironia e bellezza lirica.

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