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Ordinanza di sgombero per la casa dell'ex sindaco. Una storia lunga 40 anni

Tra iter complessi, sentenze e ricorsi, fino alla sentenza di giugno del Consiglio di Stato. L'immobile, dichiarato abusivo, si trova a Vernole: Mario Mangione ci vive con la moglie, cui l'ha donato nel 1998

VERNOLE – Entro 30 giorni dalla notifica, avvenuta a fine ottobre, dell’ordinanza del Servizio Urbanistica del Comune di Vernole, l’ex sindaco Mario Mangione e la consorte devono lasciare l’immobile in cui vivono da decenni.

La natura abusiva della costruzione, infatti, è stata sancita definitivamente dalla giustizia amministrativa nel giugno scorso e richiamata più volte nel procedimento penale che ha visto l’ex primo cittadino condannato in tutti i gradi di giudizio, fino alla Cassazione, per abuso d’ufficio nei confronti di colui che per 25 anni era stato il responsabile del Servizio Lavori Pubblici, Urbanistica e Assetto del Territorio del Comune di Vernole, l’ingegnere Giovanni Oronzo De Giorgi.

Nell’ordinanza redatta dall’attuale responsabile, l’architetto Serena Lezzi, si dichiara inoltre l’acquisizione gratuita di diritto al patrimonio comunale dell’abitazione – sita sulla Provinciale Vernole-Melendugno – e delle relative pertinenze e si irroga alla moglie di Mangione, diventata proprietaria dell’immobile nel 1998 dopo una donazione del marito, una sanzione di 20mila euro.

È questo dunque l’ultimo atto di una storia che inizia nell’ottobre del 1978 – quaranta anni addietro – con l’istanza presentata da Mangione per il rilascio di concessione edilizia ai fini della costruzione di una casa rurale su un terreno ricadente in zona agricola soggetta a vincolo paesaggistico. Nell’aprile successivo, con apposita concessione edilizia, venne autorizzato un progetto, con precise indicazioni delle metrature per superfici abitabili e non, in funzione della conduzione del fondo agricolo.

Ma le cose sono andate diversamente tanto che, nel marzo del 1995, quando era sindaco – lo sarebbe stato fino al 1999, poi consigliere comunale fino al 2007, di nuovo sindaco dal 2008 al 2013 – Mangione presentò una istanza per la definizione agevolata di un abuso edilizio relativo alla recinzione della proprietà e nel settembre successivo ne inoltrò una seconda, questa volta per richiedere la sanatoria di altre opere realizzate in difformità rispetto a quanto previsto dalla concessione edilizia.

Alla luce del sopralluogo eseguito dai carabinieri e dal geometra dell’ufficio tecnico comunale, che aveva messo in evidenza una serie di difformità tra quanto realizzato e il progetto originariamente approvato – tra queste anche un campo da tennis -, De Giorgi, in qualità di responsabile del settore, espresse parere negativo. Tre anni dopo anche la commissione edilizia comunale emise un provvedimento di diniego. Trascorsi tre mesi, però, Mangione presentò una nuova domanda di condono per estendere la prima istanza, quella per la recinzione, anche alla casa, al garage, al deposito. Anche la nuova istruttoria predisposta dall’Ufficio Condono si concluse nel 2004 con un parere contrario. E nel gennaio del 2005, non essendoci stata alcuna impugnazione, De Giorgi ordinò la demolizione delle opere abusive.

Ecco dunque il momento in cui si apre il contenzioso amministrativo che, a giugno scorso, dopo ben 13 anni, si è concluso con una sentenza, quella del Consiglio di Stato, che riforma integralmente il pronunciamento con il quale il Tar Puglia, nel 2015, aveva annullato gli atti del Comune finalizzati alla demolizione, in particolare quello del novembre del 2014, firmato dall’allora responsabile del servizio, Riccardo Taurino. Quel provvedimento, dopo la decisione dei giudici di Palazzo Spada, è tornato dunque nuovamente eseguibile indipendentemente dal fatto che due mesi addietro sia stato presentato un ricorso per revocazione: l’avvocato Angelo Vantaggiato, che difende la moglie di Mangione, la signora Giuseppa Spagnolo, ritiene che ci sia stato un eccesso di potere giurisdizionale.

La nuova ingiunzione di demolizione era fondata sul passo indietro fatto dall’ufficio Urbanistica della Regione che aveva ritirato in autotutela, sulla base degli erronei presupposti, la determina con cui nel 2012 aveva accordato l’applicazione della sanzione per danno paesaggistico. Gli uffici di Bari si erano dunque di fatto accodati, salvo poi ricredersi, alla più generale “fiscalizzazione” dell’abuso che nel 2010, quando era stato nominato responsabile dell’Unità Operativa Edilizia, Urbanistica e Assetto del Territorio Antonio Castrignanò, era stata concessa per un importo di 36mila euro.

Come emerso all’esito di un esposto presentato nel 2014 da De Giorgi con l’assistenza dell’avvocato Francesco Calabro, l’abuso edilizio in zona vincolata non poteva essere “sanato” con una sanzione pecuniaria, ma doveva essere rimosso alla radice. Ne è scaturito dunque un nuovo processo penale che vede imputato Castrignanò (difeso da Silvio Verri) per abuso d'ufficio e falso e che è alle battute finali: la sentenza, infatti, è attesa poco prima di Natale.

Intanto, alla fine di novembre, sarà scaduto il termine perentorio indicato nell’ordinanza di sgombero dell’immobile. Come tutti gli atti amministrativi, anche quest’ultimo è passibile di ricorso al Tar da presentare entro 60 giorni dalla notifica oppure può essere oggetto di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica entro tre mesi. Potrebbe dunque essere vicina l’ultima pagina di questa storia, scandita in quattro decenni da richieste di sanatoria, pareri, provvedimenti, sentenze, ricorsi e intrecci tra il piano amministrativo e quello penale. Una storia senza dubbio molto italiana.

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