"Quando ho firmato, la penna pesava": Manifatture, investimento anche del cuore
Il patron di Deghi, Alberto Paglialunga, parla dell'acquisizione del vasto compendio immobiliare di viale della Repubblica, del rapporto con il fondo di investimenti che ha rilevato una parte delle azioni e di quello con i suoi collaboratori
LECCE – L’intervista ad Alberto Paglialunga, amministratore di Deghi Spa, riprende dal punto in cui si era interrotta: l’acquisizione dei terreni per la realizzazione del parco logistico nella zona industriale di Lecce e del compendio immobiliare della ex Manifattura Tabacchi di viale della Repubblica.
Il successo in termini di letture della prima parte, davvero consistente, suggerisce che attorno a questa storia esiste un interesse diffuso, sicuramente nei riguardi del fondatore e dell’azienda, ma anche del loro rapporto con il territorio di cui stanno diventando un simbolo.
Leggi: la prima parte dell'intervista
Quella di Deghi è una storia in costruzione che ogni giorno si arricchisce di una nuova pagina: bisogna dunque resistere alla tentazione del giudizio e seguirne con grande attenzione gli sviluppi.
Gli ultimi due grandi investimenti quanto incidono sul bilancio della società e quanto sul bilancio delle tue ore di sonno?
“Dovremmo chiedere al Cfo (capo ufficio finanze, ndr), ma non incidono tantissimo perché è stato messo tutto a budget. L’azienda in 15 anni non ha mai redistribuito utili. I soldi sono sempre rimasti in azienda. Sin dai tempi di Novoli ho detto ai ragazzi che avevamo un salvadanaio e che al momento opportuno lo avremmo aperto. Non basta, ovviamente, per gli investimenti attuali e noi dovremo essere bravi a impegnarci affinché questo sforzo venga ripagato nel più breve tempo possibile. Il bilancio delle ore di sonno è invece diverse: per esempio, per il parco logistico alla zona industriale ho firmato senza provare emozioni di alcun tipo, per me è un investimento come un altro, mentre per le Manifatture la penna ha pesato. Non è stato un discorso meramente economico, ma di responsabilità verso l’oggetto che stavo acquistando: un pezzo di città, un contenitore di vite, di esperienze, di amicizie, di amori, di storie e di sofferenze. E poi l’immobile mette soggezione. Per questo non ho dormito per un po’ e sono contento perché significa che sono vivo”.
Sappiamo che si chiamerà Manifatture Deghi, nome che suggerisce una possibile destinazione: è così?
“La memoria non si cancella, Deghi è anche una forzatura. Noi abbiamo le idee chiare sulle cose facili, quelle che sappiamo fare: c’è un capannone di 16mila metri quadrati e per quello tutto sommato siamo bravi. Poi ci sono i piani dove il lavoro è più complesso, bisogna studiare e lavorare per step: da un mese siamo impegnati sul verde, poi c’è da ripulire tutto e quindi capire ciò che può essere salvato: alcuni edifici stanno collassando. Quando avremo le idee chiare, credo verso giugno o luglio faremo una conferenza per presentare il prima e il dopo. Nel complesso sarà un’operazione che non durerà meno di due anni. Noi cerchiamo di accelerare: se non fosse per il Parco logistico, le cui ultime autorizzazioni sono questione di poche ore fa, concentreremmo tutte le attenzioni sulle manifatture. Si tratta di studio, di riuscire per una volta a fare una cosa che possa durare nel tempo, cioè riuscire ad anticipare quelle che saranno le esigenze dell’azienda tra qualche anno: di cosa avremo bisogno? Fino a un anno e mezzo fa avevamo uffici in 100 metri quadrati, ora ne abbiamo su 1.400 e iniziano a stare stretti. Ci stiamo lavorando”.
In questi anni di vorticosa crescita hai suscitato molto interesse, immagino anche da parte dei colossi del settore. Ci sono state proposte che ti hanno tentato?
“A volte bisogna avere la forza di non ascoltarle. Quando hai dei sogni, sai che non hanno valore. Tutto si può comprare, tranne i sogni. A volte ti senti inadeguato, senti la responsabilità di 260 famiglie e se non la vivi positivamente, questa pressione può anche pesarti. In certi momenti questo ti dà meno sicurezza, per cui senti il bisogno di confrontarti con qualcuno all’esterno. Ecco perché alcuni anni fa ho ceduto delle azioni a un fondo di investimento che ringrazio per la fiducia, la liquidità e l’esperienza che ha portato a questa azienda. Oggi mi rendo conto che siamo anche riusciti a ‘salentinizzare’ le persone che lo rappresentano: sono tutti tifosi del Lecce, sono innamorati della città. Ovviamente ci ho lavorato un po’, adesso sono entusiasti di venire qui e ripartono portandosi dietro l’entusiasmo del nostro team. Abbiamo creato un buon connubio, con ampia autonomia, ma anche con un’attenzione più maniacale rispetto a prima sulla parte dei numeri”.
Concludiamo dal punto dal quale siamo partiti, dalla tua squadra: sul sito di Deghi ci sono 241 volti, quelli di chi lavora con te e per te. Non mi è sfuggito, prima, di notare il premio "Best Workplace 2022".
“Una delle mie soddisfazioni più grandi riguarda il Cfo: io avevo Stefano Giuri sui conti, ma quando è arrivato il fondo, la prima cosa cui si è pensato è stata quella di fare dei colloqui per quella posizione. È successo, però, che i candidati non ci convincessero e più si andava avanti, più Stefano si faceva notare, fino a quando la referente del fondo mi ha proposto proprio lui come Cfo. Io le ho risposto che non spettava a me candidarlo, perché era un mio uomo, ma che se erano loro a farlo, allora a me sarebbe andato benissimo: così è diventato Cfo ed è da poco anche nel consiglio di amministrazione. Questi sono i casi di successo: non solo Alberto Paglialunga, ma anche Gianmarco, Veronica, Francesca. Perché non si parla mai dei manager di questa azienda? Chi sono? Sono ragazzi. Per far girare bene quest’azienda ci sono i manager: oggi è manager un ragazzo che cinque anni fa scaricava i container, un altro, albanese, che ha iniziato con me pitturando inferriate e ora coordina 70 persone; il responsabile del personale della logistica è uno di loro perché doveva portarmi le esigenze vere del magazzino e si chiama Mauro. Bisogna dare merito a questi ragazzi che valgono quanto me. Quando mi chiedono come faccia a dormire la notte, rispondo che se rinunciamo tutti a mezzora, allora dormiamo tutti. Se andiamo avanti con questo principio, ce la facciamo. Sono ragazzi pragmatici. La mia storia è anche la loro e quindi è diventata la nostra storia”.