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Presidenza del tribunale di Lecce, continua il braccio di ferro

Il Csm ha ritenuto infondato il nuovo ricorso al Consiglio di Stato presentato dal giudice Alessandro Silvestrini che chiede venga eseguita la sentenza di annullamento nei riguardi di Roberto Tanisi

LECCE - Diventa sempre più bollente la poltrona della presidenza del Tribunale di Lecce. Ieri il plenum del Consiglio superiore della magistratura, su sollecitazione della quinta commissione, ha accolto la proposta di invitare l’Avvocatura Generale dello Stato a resistere al ricorso presentato dal giudice  Alessandro Silvestrini al Consiglio di Stato e alla relativa istanza cautelare, dandone comunicazione alla ministra della Giustizia Marta Cartabia.

Ecco i passaggi salienti della vicenda che ha preso oramai l’aspetto di una vera e propria battaglia. Tutto ha avuto inizio non appena Roberto Tanisi, nel luglio del 2019, ha preso le redini del Palazzo. Il “rivale”, sconfitto per un solo voto, si rivolse invano prima al Tar, poi al Consiglio di Stato, sostenendo quanto segue: Tanisi non avrebbe avuto la facoltà di convocare il Consiglio giudiziario che espresse il parere attitudinale alla sua candidatura alla presidenza del Tribunale perché il Csm aveva già revocato la sua nomina da presidente della Corte d’Appello; l’iter sarebbe stato quindi compromesso, perché il Consiglio giudiziario fu chiamato a esprimere un giudizio proprio nei suoi riguardi.

Il Consiglio di Stato accolse il ricorso, ritenendo la procedura viziata solo riguardo al parere attitudinale, ma non relativo al merito. Così, il Csm - pur non condividendo la decisione, in considerazione del fatto che Tanisi, all’epoca, continuava a occupare la presidenza della Corte d’Appello in attesa dell’arrivo imminente del titolare, e di fatto si astenne dal partecipare sia alla riunione che alla deliberazione che lo riguardava – chiese al consiglio giudiziario di esprimere un nuovo parere.

Colmata quindi la “falla”, la presidenza sembrava “blindata”. Ma le acque non si sarebbero placate: Silvestrini ha continuato a non darsi pace e ha presentato un nuovo ricorso, sostenendo che la procedura sarebbe comunque illegittima, poiché la nullità del parere attitudinale avrebbe reso nulla la stessa domanda di candidatura e ha chiesto quindi al Consiglio di Stato di ordinare l’applicazione della sentenza di annullamento della nomina, in via cautelare, disposta con la sentenza del 16 agosto dello scorso anno e passata in giudicato lo scorso 30 novembre.

La questione è finita al vaglio dell’ufficio studi del Csm che, seguendo l’orientamento della giurisprudenza amministrativa, non ha dubbi sul fatto che il ricorso sia infondato: “La regola della retroazione della procedura al momento in cui si è determinato il vizio che ha affetto l’atto endoprocedimentale, presupposto della decisione finale, con conseguente obbligo per il Consiglio di rinnovarla a partire da tale momento, vale per il caso, come quello per cui si procede, in cui l’annullamento della delibera affondi le sue radici esclusivamente nel vizio inficiante il parere attitudinale, ovvero riguardi un altro atto presupposto affetto da vizi di natura procedurale che possa essere sanato attraverso la sua semplice rinnovazione, mentre quando la delibera di conferimento di un incarico sia stata annullata oltre che per vizi afferenti l’atto presupposto, anche per vizi inerenti il merito della valutazione dei candidati e la sentenza che l’ha annullata abbia dettato i parametri da osservare in sede di riedizione del potere, determinando, quindi, effetti conformativi per il Consiglio, dovrà essere rinnovata l’intera procedura comparativa, da svolgersi tenendo conto dell’obbligo di conformarsi ai parametri tracciati dal giudicato amministrativo”.

Insomma, secondo l’ufficio studi, il Consiglio Superiore ha agito in modo assolutamente legittimo per dare esecuzione alla sentenza, ovvero richiedere il nuovo parere attitudinale al competente Consiglio giudiziario, rispettando quindi il giudicato in ogni sua parte, non potendo, per le ragioni già illustrate, dichiarare inammissibile la domanda di Tanisi e procedere alla rinnovazione della comparazione prescindendo dall’esame del suo profilo professionale.

Sono queste le valutazioni illustrate dalla quinta commissione del Csm che, come detto, sono state accolte dal plenum. Ora non resta che attendere gli sviluppi di questa vicenda.

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