rotate-mobile
Attualità

Proroga delle concessioni e canoni demaniali: i due nodi che spiegano il "caso" italiano

Sulla prima questione decide tra un mese il Consiglio di Stato in adunanza plenaria, ma c’è un altro punto importante da affrontare: si tutela abbastanza il valore economico del bene pubblico rappresentato dal litorale?

LECCE – Il 20 ottobre il Consiglio di Stato, nella forma dell’adunanza plenaria – quella riservata alle questioni particolarmente spinose - dovrà dibattere e poi prendere posizione sul tema delle concessioni demaniali marittime a uso turistico e ricettivo che il legislatore ha prolungato automaticamente al 2033.

Il tema interessa tutte le regioni costiere del Belpaese, ma è soprattutto grazie al ricorso del Comune di Lecce contro le sentenze del Tar del capoluogo salentino che la matassa sarà districata, si spera una volta per tutte, in un consesso collegiale così importante.  Un altro contenzioso che è stato assorbito dalla questione riguarda invece la Sicilia.

Il ruolo del Tar di Lecce

Antonio Pasca, presidente del tribunale leccese – che per ironia della sorte ha sede di fronte a Palazzo Carafa, “casa” del Comune – ha emesso una serie di sentenze fotocopia accogliendo i ricorsi dei concessionari che si opponevano alla durata triennale della proroga che l’amministrazione Salvemini, in un primo momento, ha ritenuto di concedere agli interessati. Una scelta tecnica nell’attesa che sia messo ordine definitivo a una materia che, lo dice il diritto comunitario, impone l’affidamento tramite gara di evidenza pubblica, per garantire che le spiagge italiane non siano oggetto di oligopolio e un unicum nel panorama europeo, tanto per il numero delle concessioni quanto per come sono state assegnate e prolungate.

Pasca ha sostanzialmente detto, partendo da una posizione certamente minoritaria nella giurisprudenza, che non spetta ai funzionari dello Stato (dunque anche ai dirigenti comunali) disapplicare una legge ritenuta in contrasto con le norme europee, ma ai giudici, e che la direttiva Bolkestein, che regola i servizi in regime di libero mercato, non è direttamente esecutiva: avrebbe bisogno cioè di una norma nazionale di recepimento. Questo l’antefatto.

Molte polemiche si sono scatenate, anche con toni molto accesi: gli attuali concessionari non perdonano al sindaco di non essersi semplicemente adeguato alla proroga che, peraltro, vede tutti i principali partiti italiani d’accordo: il centrodestra in maniera esplicita, il Pd più silenziosamente ma senza risparmio di energie, mentre il M5S nicchia – avendo accettato già nel 2018 il diktat della Lega, quando erano al governo insieme – e il mondo frastagliato della sinistra tace. A parte alcune formazioni di ispirazione riformista ed europeista, a tutti in fondo sta bene così.

Una anomalia tutta italiana

Le associazioni di categoria dei balneari, del resto, fanno bene il loro lavoro di lobbying. I dati del rapporto “Spiagge 2021” di Legambiente spiegano molte cose: Toscana ed Emilia Romagna, regioni tradizionalmente “rosse”, sono quelle che hanno la maggiore percentuale di litorale sabbioso in concessione. Prima di loro solo la Liguria che tuttavia di spiaggia ne ha ben poca.

Nella Versilia e nella provincia di Massa e Carrara, fa presente quel report, lungo 30 chilometri di costa ci sono 683 stabilimenti, pari al 90 percento della spiaggia disponibile. In Romagna, nei circa 52 chilometri tra Cattolica e Cervia si trovano 906 stabilimenti e meno del 10 percento di spiaggia libera. Nel complesso si stima che in Italia più della metà delle aree sabbiose sia sottratto alla libera fruizione. Nel Mezzogiorno primeggia la Campania con il 68,1 percento dato in concessione, poi c’è la Puglia con il 39,1. Non è solo un tema di numeri, ma anche di qualità perché i tratti di costa più belli sono appannaggio degli stabilimenti: ai frequentatori delle spiagge libere restano spesso gli “scarti”. Infine, questione non banale, dal 2018 il numero delle concessioni è pure aumentato in quasi tutte le regioni.

Va ricordato che la costa, ricchezza straordinaria dell’Italia, è un bene demaniale, appartiene cioè allo Stato che ha il dovere di "valorizzarlo". Nel 2019 le entrate demaniali hanno prodotto un gettito nominale di 115 milioni di euro, di cui 83 ricossi. Considerando gli ultimi 15 anni – precisa il documento di Legambiente - l’erario avanza dai concessionari 235 milioni circa. Il settore produce, però, un volume d’affari da capogiro: stime molto attendibili indicano una media di 15 miliardi all’anno.

Il litorale di Lecce: 22 concessioni

Sul litorale di Lecce sono 22 le concessioni attive: 8 a Frigole, 6 a San Cataldo (non sono inclusi gli stabilimenti che insistono sul territorio di Vernole), 5 a Torre Chianca e 2 rispettivamente a Spiaggiabella e Torre Rinalda.

Complessivamente contribuiscono alle casse dello Stato con poco più di 125 mila euro, per una media di 5.600 euro ciascuno. Ma ogni concessione ha la sua storia e sono diversi i fattori che determinano l’importo, dalla valenza turistica del lotto alla presenza o meno di opere di difficile rimozione, passando per la superficie. Così, di fatto, la situazione è molto diversificata: in otto versano al demanio il minimo di 2.500 euro all’anno (e questo dal 2020 in virtù di un adeguamento del minimo previsto), mentre altri tre concessionari non arrivano a 3mila euro. Quattro concessioni “valgono” più di 10mila euro.

Alcune regioni hanno introdotto un canone aggiuntivo, del 10 percento nel caso della Puglia, destinato per tre quarti al Comune di riferimento, per la parte restante alla Regione. Tradotto in cifre significa 9.400 euro all’anno circa al Comune di Lecce e poco più di 3mila all’amministrazione regionale.

Quanto vale la costa?

Esiste dunque, in Italia e non solo nel Salento, anche una questione economica che va di pari passo con una farraginosa gestione delle informazioni. Il Sid (Sistema informativo del demanio) infatti, è pieno di lacune: alcuni dati sono stati aggiornati, ma di molte concessioni mancano proprie le indicazioni su quali siano i relativi canoni demaniali. È come se lo Stato italiano, rispetto a uno dei suoi beni più preziosi, la costa, non avesse sufficientemente chiaro il quadro della situazione. In altre parole c’è un tema di congruità del canone versato. La domanda, sic et simpliciter, è: l’importo dei canoni è adeguato oppure si tratta di una “svendita” della gestione di un bene pubblico?

Il pronunciamento del Consiglio di Stato dunque servirà a garantire per il futuro chiarezza rispetto alle questioni di legittimità delle proroghe e della coerenza tra diritto europeo e leggi nazionali, ma spetta alla classe dirigente affrontare il tema, altrettanto importante, dell’aggiornamento dei canoni e anche della migliore offerta, dal punto di vista degli interessi pubblici.

Dovrebbe essere abbastanza chiaro, fuori dalla falsa prospettiva di una diatriba localistica, che il nodo delle concessioni non può essere sciolto se non dentro uno sguardo complessivo sulla costa che contempli la tutela ambientale e l’utilizzo sostenibile e diversificato, con la possibilità di dare spazio a iniziative di gestione nuove. Allo stato attuale le idee degli aspiranti imprenditori balneari rimbalzano contro un muro di gomma, poiché tutto quello che si poteva assegnare nei decenni scorsi è stato concesso.

E non è un caso che proprio Legambiente abbia deciso di tenere a Lecce, a luglio, la prima Conferenza nazionale dei paesaggi costieri. Nel capoluogo salentino, infatti, sta per essere discusso in consiglio comunale – dopo tutta una serie di passaggi intermedi -, il Piano comunale delle coste, quello strumento di programmazione e di visione del litorale del quale, per legge, tutti i comuni costieri dovrebbero essere già dotati. Ma la resistenza sono tante perché si va a incidere sullo status quo e quindi anche sulle storiche dinamiche di consenso.

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Proroga delle concessioni e canoni demaniali: i due nodi che spiegano il "caso" italiano

LeccePrima è in caricamento