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L'antico relitto è al sicuro, ma il problema sono gli ancoraggi a La Strea

Impiegate venti tonnellate di sabbia e mille sacchi di iuta grazie alla collaborazione di sommozzatori dei carabinieri, sub dell’amp e archeologi della Soprintendenza. “I diportisti devono sapere che la zona è interdetta da tempo”

PORTO CESAREO - Sono state impiegate venti tonnellate di sabbia distribuite in mille sacchi di juta e c'è voluta la forza di cinque carabinieri sommozzatori del nucleo subacquei di Pescara, coadiuvati dai sub dell’Amp e dagli archeologi della Soprintendenza di Lecce, per concludere l'impresa. È terminata oggi, infatti, la delicata operazione di salvaguardia del relitto, con molta probabilità di epoca medievale, scoperto dalle mareggiate. Rischiava soprattutto di essere danneggiato dagli ancoraggi delle imbarcazioni, al largo della Strea, nel Seno di Levante di Porto Cesareo.

sacchi di iuta con sabbia-2

La redazione di LeccePrima è salita a bordo del gommone “L’anfora” con gli archeologi subacquei della Soprintendenza per seguire da vicino l’incessante attività che in questi giorni ha incuriosito e attirato l’attenzione di turisti e passanti, che scattavano foto e realizzavano video a chi si è reso protagonista della tutela di antiche vestigia che il mare ha restituito alla luce.

“Il relitto era stato segnalato nel 2015 da un pescatore professionista del posto, Pasquale de Braco -  spiega la funzionaria archeologa Serena Strafella -, e l’Amp, dopo la segnalazione fatta a noi della Soprintendenza, era andata a fare una ricognizione con Cristiano Alfonso che stava preparando una tesi di dottorato su Porto Cesareo”, prosegue l’archeologa mentre indossa la muta, prima di imbarcarsi per raggiungere il sito archeologico a circa 700 metri dalla banchina che costeggia la Torre Cesarea.

relitto-2

Il relitto è largo circa sette metri e lungo 17 ed è stato possibile effettuare l’intervento di salvaguardia grazie ai fondi richiesti dalla Soprintendente Maria Piccarreta in occasione della violenta mareggiata del mese di novembre 2019, che scoprì sarcofagi e sepolture a Torre Chianca: nell’attivazione dell’unità di crisi furono inseriti anche i relitti di Porto Cesareo.

“Si tratta di resti lignei individuabili da un occhio esperto, perché sopra c’è la zavorra che lo copre”. L’archeologa racconta che nella stiva delle navi venivano posate pietre pesanti. Facevano sì che l’imbarcazione avesse il suo assetto per galleggiare bene. “Quando affondano, il legno, che è la parte più morbida, si decompone o viene coperto dalla sabbia e di solito si vede solo questa massa di pietrame”.

zavorra sul relitto-2

Dunque, su un fondale sabbioso si nota immediatamente un cumulo di pietre levigate dal mare. “La datazione proposta nel 2015 era di età medievale perché nella stessa zona era stato rinvenuto vasellame risalente al XII, XIII secolo dopo Cristo e si pensava si trattasse del contenuto che trasportava la nave. Ma in realtà potrebbe essere anche successivo. Avremo maggiori dettagli sottoponendo il materiale ligneo estratto in questi giorni al carbonio-14”. Anche se “un domani si potrà intervenire con un scavo, andare più in profondità, togliere la zavorra e mettere in luce il fasciame: magari viene fuori qualcosa che aiuti a capire cosa trasportasse la nave, oltre a scoprire da dove è partito il relitto e qual era la destinazione”. Tuttavia, l’archeologa Serena Strafella ricorda che il relitto della Strea non è l’unico della zona.

Il relitto di Belvedere e la navis lapidaria

“Un altro relitto è situato nell’insenatura di Belvedere, dove c’è Torre Chianca: proprio davanti, a pochi metri d’acqua e a pochi metri dalla riva, c’è un relitto databile al IX secolo dopo Cristo, quindi alto medioevo, riscavato e ricoperto dai sacchi di sabbia”. L’intervento, effettuato a causa delle mareggiate, è stato realizzato dall’Università del Salento con la collaborazione dell’Amp.

Video | Le interviste ai protagonisti

“Ma ci sono altri relitti, prosegue l’archeologa, anche di epoca romana, come per esempio quello della navis lapidaria, la nave che trasportava marmo. Lo sappiamo perché abbiamo trovato il carico, le famose colonne romane immerse vicino a Torre Chianca, che si vedono andando in immersione. Ma il relitto non è mai stato rinvenuto”.

Porto Cesareo, operazione salvaguardia relitto

Il problema degli ancoraggi alla Strea

L’archeologo subacqueo Angelo Raguso, a bordo del gommone “L’anfora”, espone il problema che attanaglia da sempre la salvaguardia dei relitti: “Il rischio maggiore non sono le correnti, ma gli ancoraggi. L’area è già oggetto di interdizione alla balneazione, pesca sportiva e professionale, transito e ancoraggio come stabilito da un’ordinanza della capitaneria di porto nel 2015, ma non tutti ne conoscono l’esistenza”. E raccomanda: “È sempre bene muoversi dalla banchina consapevoli di quali sono le problematiche di un’area che poi viene navigata dai diportisti”.


La pianificazione dell’intervento

A occuparsi della parte tecnica, l’archeologo Giampaolo Colucci: “La pianificazione è stata interessante perché con una gru abbiamo messo in acqua i sacconi sui pellet e con galleggiamento li abbiamo trainati fino al relitto. La cosa complicata è stata posizionare i sacchi sui pellet, ben mille chiusi all’interno di sacconi che in tutto contenevano venti tonnellate di sabbia di fiume”. Dunque, una volta giunti sul relitto, i sacconi sono stati aperti e i mille sacchi sistemati sul tessuto non tessuto su due strati (il tessuto non tessuto è un materiale come il pannolencio o il feltro).

carabinieri subacquei-2

La collaborazione dei sommozzatori dei carabinieri

In questa attività gli archeologi subacquei e i sub dell’Amp sono stati aiutati dai carabinieri sommozzatori del Nucleo di Pescara, con competenza sulle regioni Marche, Abruzzo, Molise e Puglia. “Ci muoviamo nel caso di esigenze di polizia giudiziaria, o come in questo caso, per la tutela del patrimonio culturale sommerso che è uno dei compiti che ha in prerogativa l’Arma dei carabinieri” spiega il sommozzatore, impegnato sul fondale, che risale in superficie. “In questo caso collaboriamo con la Soprintendenza della Puglia per tutelare e coprire il relitto, rovinato dagli ancoraggi abusivi delle barche in estate”.

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